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Un anno di articoli sull’evoluzione e sugli ingredienti dei vaccini che promettono di riportare il mondo alla normalità.

di Lisa Ovi

Un anno fa cominciavamo a sentire parlare di un nuovo coronavirus in circolazione in Cina e dei mercati di Wuhan. La velocità con cui il virus chiamato SARS-CoV-19 ha fatto il giro del mondo diffondendo la malattia che ha preso il nome di Covid-19, ci ha colti impreparati.

La tecnologia da sola si è dimostrata incapace di salvarci dal covid-19. In un’epoca di Intelligenza Artificiale, medicina genomica e auto a guida autonoma, la nostra risposta più efficace allo scoppio della pandemia è stata la quarantena di massa. In attesa di una terapia vincente o di un vaccino che possano riportarci alla normalità, siamo stati invitati alla prudenza da immunologi di fama internazionale come Alberto Mantovani.

Oggi vogliamo ripercorrere le tappe principali di quella che è stata una vera e propria rincorsa al vaccino, tra Case farmaceutiche e governi mondiali.

Due concetti hanno fatto subito la loro comparsa sul nostro orizzonte: la necessità di perseguire l’immunità di gregge e di ottenerla con un vaccino, per evitare il maggiore numero di morti possibile. Laddove la creazione di un vaccino ha sempre richiesto anni di studi, lo scorso marzo si calcolò la possibilità di produrne uno in meno di 18 mesi. MIT Technology Review ha analizzato per i suoi lettori le mosse necessarie per arrivare ad avere un vaccino, pure tra tante voci che invitavano alla cautela.

Sia il Warp Speed Program degli Stati Uniti, sia il Coronavirus Global Response guidato dalla Commissione Europea hanno stanziato fondi senza precedenti per la ricerca di vaccini e cure. Codagenix, in collaborazione con il Serum Institute of India, ha sviluppato un vaccino basato su una forma di coronavirus indebolito. Gamaleya, il Centro nazionale di ricerca per l’epidemiologia e la microbiologia di Mosca, è invece responsabile del vaccino Sputnik, già distribuito tra gli operatori sanitari a partire dall’autunno scorso, nonostante le polemiche sulle procedure di sicurezza abbreviate.

Abbiamo visto molte proposte di vaccini fare la loro comparsa nel corso dei mesi. Vaccini efficaci nelle scimmie, vaccini fai-da-te, un vaccino della Novavax, un’alternativa al vaccino della Ely Lilly. Volontari in tutto il mondo si sono fatti avanti per testare il vaccino e favorirne lo sviluppo accelerato ed è recente la notizia che l’immunità al virus potrebbe durare anni, dopo che per mesi ci siamo chiesti se potesse scomparire in pochi mesi.

Eccoli dunque, i primi vaccini: due prodotti completamente nuovi. I vaccini di Pfizer/BioNTech e Moderna si basano infatti sull’RNA. Funzionano iniettando negli individui un frammento di materiale genetico che contiene istruzioni su come creare la proteina spike, l’arma utilizzata dal coronavirus per invadere le cellule delle proprie vittime. Ricevuta l’iniezione, il corpo utilizza queste istruzioni per creare la propria versione della proteina spike su cui il sistema immunitario si allenerà a riconoscere e respingere il virus vero e proprio. MIT Technology Review ha analizzato per i propri lettori il contenuto del vaccino Pfizer.

Con un’efficacia dichiarata che supera il 90%, questi vaccini hanno già ottenuto l’approvazione per una distribuzione d’emergenza sia negli USA sia in Europa. Prima a lanciare la propria campagna di vaccinazione è stata la Gran Bretagna.

Più tradizionale appare il vaccino adenovirus della Oxford/AstraZeneca, avvantaggiato da una possibilità di distribuzione più semplice, che non richiede la conservazione a temperature particolarmente rigide, ma che ha incontrato più difficoltà nel corso del suo sviluppo. Dopo avere dichiarato un’efficacia del proprio vaccino pari al 90%, la AstraZeneca ha avviato nuovi test globali per chiarire i dubbi sui dosaggi necessari a ottenere tale livello di efficacia. Ciò non ha impedito all’Ente regolatore britannico di consentirne comunque l’utilizzazione nella popolazione.

Purtroppo non possiamo ancora cantare vittoria. Come riferisce il CEO di Moderna, infatti, nessuno era pronto a produrre su due piedi un miliardo di vaccini genetici. Nè si è rivelata tanto semplice la loro distribuzione e somministrazione, a dispetto dei tanti piani studiati dai governi del mondo, che si tratti di USA e GB o della Cina. Tanto meno si sa ancora che impatto avrà sui piani di vaccinazione le eventuali resistenze della popolazione a vaccinarsi con prodotti creati tanto velocemente e che già dividono personale sanitario e social.

(lo)