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Coltivare una vita ricca di rapporti sociali previene l’invecchiamento e le malattie neurologiche. Un aspetto sempre più importante, con l’aspettativa di vita che cresce

Le aspettative di vita della popolazione umana si fanno sempre più rosee. Soprattutto nei paesi industrializzati, i bambini nati negli ultimi 65 anni hanno visto aumentare le proprie possibilità di raggiungere un’età media di circa 80 anni, rispetto ai 65 più tipici degli anni ’50.

L’Italia è considerato uno dei paesi più fortunati, complice un’attenzione allo stile di vita ed una dieta variegata, ricca di pesce fresco, frutta e verdura, la giusta dose di carboidrati e olio d’oliva.

Aspettativa di Vita globale 1770-2019, Our World in Data

Sfide della longevità

Ciononostante, ogni buona notizia si accompagna ad una sfida da affrontare. Con una popolazione sempre più longeva, la sfida alle porte è quella dell’aumento di casi di demenza e disturbi neurocognitivi, come Alzheimer, Parkinson, e tante altre ancora.

Il problema preoccupa la comunità medico-scientifica da lungo tempo. Nonostante decenni di ricerca e tanti progressi, infatti, siamo ancora lontani dal trovare una soluzione. Di assolutamente chiaro c’è solo il fatto che il problema è complesso, ramificato, radicato nella genetica, nelle condizioni ambientali, così come nello stile di vita quotidiano dell’individuo.

La pandemia da Covid-19 ha portato ad un possibile peggioramento della situazione. E non solo perchè tra i sintomi dell’infezione emergono sempre più segnali di una interferenza con le capacità cognitive dei pazienti.

Effetti dell’isolamento sociale sulla salute del cervello

Secondo un nuovo studio dell’Università di Warwick, infatti, tra le tante concause nello sviluppo dei disturbi neurocognitivi, è ora di prendere in seria considerazione proprio l’impatto dell’isolamento sociale.

Pubblicato su Neurology, lo studio è il risultato di una collaborazione interdisciplinare che ha analizzato i cambiamenti nelle strutture cerebrali associate alla memoria e alla funzione cognitiva. I ricercatori arrivano a dimostrare che le persone socialmente isolate hanno un 26% in più di probabilità di sviluppare forme di demenza.

Questo risultato è particolarmente significativo sulla scia di una pandemia che indotto gran parte dei governi del mondo ad utilizzare il ‘lockdown‘ come solo strumento di prevenzione nella lotta ad un virus per cui non esistevano, inizialmente, né test diagnostici, né cure, né vaccini.

I ricercatori dell’Università di Warwick, dell’Università di Cambridge e dell’Università di Fudan hanno analizzato i dati di neuroimaging di oltre 30.000 cittadini iscritti alla UK Biobank, la bio-banca dati britannica.

Adattata la selezione dei dati a vari fattori di rischio (inclusi fattori socio-economici, malattie croniche, stile di vita, depressione e genotipo APOE), i ricercatori hanno riscontrato, negli individui socialmente isolati, volumi di materia grigia ridotti nelle regioni cerebrali preposte alla memoria ed apprendimento.

C’è una differenza tra isolamento e solitudine

I ricercatori sono stati molto precisi nel distinguere tra isolamento e senso di solitudine. Come spiega Edmund Rolls, neuroscienziato e professore del Dipartimento di Informatica dell’Università di Warwick: “C’è una differenza tra l’isolamento sociale, una condizione oggettiva caratterizzata da scarse connessioni sociali, e la solitudine, una percezione di isolamento possibilmente soggettiva”.

Secondo i ricercatori, l’isolamento sociale oggettivo rappresenta un vero e proprio fattore di rischio di demenza a sé stante, al punto di poter essere preso in considerazione come biomarcatore per futuri disturbi neurocognitivi.

Barbara J Sahakian, del Dipartimento di Psichiatria dell’Università di Cambridge, ci tiene a sottolineare: “Ora che conosciamo il rischio che l’isolamento sociale comporta per la salute del cervello, è importante che comunità e governo si organizzino per garantire alle persone più anziane una possibilità di rimanere in comunicazione e contatto regolare con il resto della società”.

Immagine: Michal Jarmoluk, Pixabay