Mondo in crescita, pianeta in crisi: perché serve una “Transizione Equa”

”Just Transition”: bisogna che individui e aziende, partano da un’analisi del proprio impatto sull’ambiente e sulle risorse. Per inventare il futuro con serenità

Nel 1950, cinque anni dopo la fondazione delle Nazioni Unite, la popolazione mondiale si attestava attorno ai 2,6 miliardi di persone. Nell’ottobre 2011 siamo arrivati a circa 7 miliardi e, secondo le previsioni dell’ONU, ora del 2050 dovremmo essere circa 9,7 miliardi, quasi 11 miliardi per il 2100.

Il diritto a cibo, acqua, salute, energia ed uno stile di vita sostenibile è di tutti, anche su di un pianeta le cui risorse sono già messe a dura prova sia dall’aumento delle attività umane, sia dai cambiamenti climatici sempre più evidenti. Ne è esempio proprio la siccità che in questi giorni allarma il Nord Italia.

Fonte: Commissione Europea in Italia

Cos’è una Transizione Equa?

La necessità di percorrere insieme una nuova direzione, fondata su modelli economici, sociali e di vita. Questa è la “Just Transition”, una condizione ‘Giusta’ (o Equa) che considera il benessere di ogni abitante sulla Terra, senza dimenticare la salute del pianeta stesso.

Il concetto di Transizione Equa considera, dunque, l’impatto della trasformazione energetica sulle persone a partire dai lavoratori diretti e indiretti, e include le comunità e i consumatori. La gestione della riduzione delle emissioni deve quindi comprendere la gestione degli impatti sociali, ovvero deve essere inclusiva.

Accelerare il processo della transizione energetica attraverso soluzioni diversificate e con la sostituzione di un modello di economia lineare con quello di economia circolare, è diventato per l’Europa un obiettivo primario.

Nell’ambito del piano europeo per una “Just Transition” è fondamentale il ruolo svolto da settori chiave come quello dell’energia o dell’agricoltura, con la fornitura di servizi di primaria necessità.

In questo nuovo contesto, il ruolo delle multinazionali è cruciale in virtù del contributo di forte impatto di cui sono capaci, non solo garantendo una continua fornitura di servizi indispensabili come cibo ed energia, ma anche dal punto di vista di quella riduzione delle emissioni che raprpesenta il cuore della lotta al cambiamento climatico.

Eni per esempio, è in prima linea sul percorso di transizione energetica. Investe nella ricerca scientifica e tecnologica che oggi già le permette di testare, produrre e distribuire i primi prodotti energetici e chimici del futuro: sostenibili, net-zero e in una prospettiva di economia circolare.

Fonte: Enivideochannel

Un modello di business equo e sostenibile

Per essere sostenibile, un modello di business deve proporre prodotti che limitino l’impatto ambientale, a partire dalla raccolta delle materie prime, passando per il loro utilizzo e terminando con il loro destino finale: una forma di riciclo, di economia circolare. Ciascuno ha un ruolo decisivo in questo processo: per raggiungere la neutralità carbonica dobbiamo tutti scegliere i prodotti pensando a come li useremo, come li aggiusteremo e infine a come li smaltiremo correttamente!

La sostenibilità di un modello di business a livello sociale verrà garantita da reti di alleanze con enti privati, locali e globali, enti di ricerca ed enti terzi capaci di segnalare con obiettività le criticità di una filiera produttiva su cui investire alla ricerca delle migliori soluzioni.

In Eni, per esempio, questi parametri si traducono in un modello di business improntato su tre principi:

  • Eccellenza operativa lungo l’intera filiale di produzione e vendita
  • Alleanze per lo sviluppo
  • Neutralità carbonica al 2050 come obiettivo primario

Una catena di valore sostenibile

La mappa per vincere la sfida tra crescita demografica ed economica e lotta al cambiamento climatico è stata descritta da più punti di vista.

I 17 Obiettivi per uno Sviluppo Sostenibile pubblicati dall’ONU sono la base indispensabile ad ogni programma di transizione che abbracciare ogni aspetto economico e sociale senza lasciarsi alle spalle nessuno.

Il Green Deal europeo si propone come una cornice in cui tutti gli aspetti della vita sociale ed economica umana, locale o europea (ma non solo), si trovano già in fase di implementazione così come in via di nuovo sviluppo.

Forti di queste mappe, individui o imprese, diviene un atto di responsabilità personale studiare ed identificare quelle abitudini, quegli elementi critici del quotidiano vivere e produrre, su cui si ha la possibilità di agire per realizzare una transizione equa negli stili di vita non meno che in un’intera filiera economica e produttiva.

Foto: da Pixabay

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