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Con le aziende sotto pressione, emergono numerose proposte e soluzioni per contenere il cambiamento climatico, ma il miglior risultato possibile richiede un’azione coordinata.

di Lisa Ovi

Già nel gennaio 2020, in occasione del 50° anniversario del World Economic Forum di Davos, Svizzera, il cambiamento climatico aveva scalato la vetta delle priorità da affrontare, dominando la lista dei pericoli incombenti sull’economia mondiale. Giganti assicurativi come Swiss Re, per esempio, prevedono perdite pari ad almeno 23 trilioni di dollari entro il 2050, con i paesi più poveri posizionati a pagare il prezzo più alto.

La richiesta di una partecipazione attiva del mondo imprenditoriale nella lotta al cambiamento climatico è in costante crescita. Lo stesso WEF ha pubblicato a fine 2019 il Davos Manifesto 2020 in cui così descrive l’azione di una società responsabile:

Agisce come custode dell’universo ambientale e materiale per le generazioni future. Protegge consapevolmente la nostra biosfera e sostiene un’economia circolare, condivisa e rigenerativa.
Gestisce responsabilmente la creazione di valore a breve, medio e lungo termine perseguendo rendimenti sostenibili per gli azionisti che non sacrifichino il futuro per il presente.

Secondo quanto riportato dal Forum nel suo “Future of Nature and Business Report“, dare priorità alla natura potrebbe portare all’economia globale 10,1 trilioni di dollari all’anno e 395 milioni di posti di lavoro entro il 2030.

Come può muoversi, però, una società che fosse interessata ad assumere questo ruolo di responsabilità nei confronti del pianeta? Avere un quadro del proprio impatto sul clima, delle necessità di intervento e dei possibili contributi, richiede linee guida e coordinazione a livello internazionale.

Sappiamo che, secondo i rapporti dell’ONU sui progressi compiuti in merito agli Obiettivi di Sviluppo Sostenibile, le aziende del globo stanno facendo progressi sul fronte delle sfide ambientali, sociali e di governance, ma nel vasto mondo delle realtà geografiche, sociali ed economiche, gli occhi di tutti sono puntati soprattutto sul settore dell’energia, alla base di ogni attività umana.

Un programma per la completa decarbonizzazione di ogni prodotto e processo di produzione dell’energia entro il 2050 come quello di una multinazionale come Eni, non è semplice e richiede un’azione capillare che pervada ogni aspetto della società dal più globale al locale, sul piano tecnologico, economico, politico.

Ciò significa partecipare non solo ad organizzazioni internazionali come il World Business Council For Sustainable Development (WBCSD ), in cui oltre 200 aziende collaborano ad accelerare la transizione verso un mondo sostenibile, ma essere presenti, come Eni, sulla Zero Emissions Platform (ZEP), consigliere tecnico per l’Unione Europea sullo sviluppo di tecnologie CCS e CCU, o partecipare in Italia alla piattaforma ICESP di Enea, dove convergono iniziative, esperienze, criticità e prospettive in tema di economia circolare.

Si tratti di alimentare le attività economiche che muovono il mondo o sostenere la vita umana tenendo la luce accesa nelle case come negli ospedali, il settore energetico è onnipresente e la sua rivoluzione deve avvenire nella tutela di un mondo che dipende dalla fornitura di qualche forma di carburante. Ecco, dunque, la scelta di promuovere una transizione energetica con strumenti come il carbon pricing, o carbon tax, sostenuto a livello globale da The Carbon Pricing Leadership Coalition (CPLC).

Altro strumento sempre più noto è quello della compravendita di quote di emissioni, principalmente supportata dalla IETA, associazione che coinvolge il mondo del business nell’impegno sul clima promuovendo iniziative come la ‘Katowice Declaration on Sound Carbon Accounting’, una dichiarazione siglata nel 2018 da una da una pluralità di organizzazioni ambientaliste, grandi operatori nel trading di emissioni e importanti compagnie energetiche globali come Eni, che chiede l’introduzione di un sistema unificato, affidabile e trasparente per la rendicontazione degli scambi di emissioni di carbonio che avvengono tra Paesi, aziende, organizzazioni e comunità nell’ambito degli Accordi di Parigi sul clima.

Su di un piano pratico, sono tre le aree di intervento chiave per la riduzione delle emissioni nel settore dell’energia: la riduzione delle emissioni di metano, la riduzione delle emissioni di CO2 e il riciclo del carbonio tramite le tecnologie di cattura, utilizzo e stoccaggio di CO2 (CCUS).

Il metano è il componente principale del gas naturale ed un potente gas serra caratterizzato da un potenziale di riscaldamento globale decine di volte più alto della CO2. Una parte consistente delle emissioni di metano viene rilasciata nell’atmosfera durante la sua produzione, lavorazione, stoccaggio, trasporto, distribuzione e utilizzo. Si stima che circa il 3% della produzione mondiale totale di gas naturale venga perso ogni anno a causa di sfiati, perdite e flaring, con conseguenti costi economici e ambientali sostanziali.

Partner fondamentale nello studio e nella gestione delle dispersioni di metano lungo la filiera dei giganti energetici, è l’UNEP, il Programma delle Nazioni Unite per l’ambiente a cui fanno riferimento due partnership chiave:

Climate & Clean Air Coalition’s Oil & Gas Methane Partnership (CCAC OGMP), focalizzata ad ampliare la comprensione delle emissioni di metano lungo la filiera Oil & Gas, al fine di agevolare compagnie e governi nella riduzione delle emissioni.
Global Methane Alliance, il cui obiettivo è promuovere l’adozione di target di riduzione delle emissioni di metano nel settore energetico tramite il coinvolgimento di aziende, governi, organizzazioni internazionali ed ONG.

Alle attività dell’UNEP si affianca la Methane Guiding Principles, un’iniziativa che raccoglie Eni e altre sette compagnie del settore con l’obiettivo di ridurre le emissioni di metano lungo la value chain degli idrocarburi. Più in particolare, la Global Gas Flaring Reduction Partnership (GGFR), partnership pubblico-privata guidata dalla World Bank, si pone l’obiettivo di ridurre la pratica del flaring a livello globale anche attraverso il lancio dell’iniziativa zero routine flaring, che impegna gli aderenti ad azzerare entro il 2030 i volumi di gas relativi al flaring di routine.

Dato il ruolo centrale del metano nella transizione energetica, in relazione al Green Deal Europeo, Eni ed altre compagnie internazionali del settore, con la collaborazione delle maggiori organizzazioni del mondo accademico e non-profit, hanno indirizzato alla Commissione Europea un documento di raccomandazioni e suggerimenti di policy per il breve, medio e lungo periodo volte a conseguire la neutralità climatica entro il 2050. 

A sospingere l’accelerazione della risposta dell’industria energetica al climate change troviamo la Oil and Gas Climate Initiative (OGCI). Lanciata da Eni e altre cinque compagnie nel 2015, OGCI riunisce oggi dodici international energy company da tutto il mondo, a rappresentare circa un terzo della produzione mondiale di idrocarburi.

Per rafforzare l’impegno nella riduzione delle emissioni operative, OGCI ha comunicato nel 2020 un nuovo target collettivo per la riduzione dell’intensità emissiva GHG delle proprie filiere di produzione in linea con l’Accordo di Parigi. L’obiettivo si aggiunge a quello per la riduzione dell’intensità emissiva di metano annunciato nel 2018 ed ha portato le compagnie partecipanti ad un calo costante dell’intensità carbonica.

Le compagnie partecipanti sono inoltre responsabili dell’investimento di sette miliardi di euro l’anno nelle energie a basse o zero emissioni, olte che di un miliardo l’anno nella Ricerca e Sviluppo. L’iniziativa conta, inoltre, sette hub internazionali per la CCUS, quattro dei quali dovrebbero entrare in funzione entro il 2025.

Anche grazie al recente rapporto pubblicato dall’ONU sullo stato della lotta ai cambiamenti climatici, è ormai chiaro che le tecnologie CCS e CCU rivestiranno un ruolo fondamentale nella moderazione del riscaldamento globale. In questo caso, è un think tank internazionale, il Global CCS Institute, che si è assunto l’incarico di accelerare la diffusione della cattura, dello stoccaggio e dell’utilizzo del carbonio (CCS).

La fitta trama di collaborazioni, think tank e iniziative rivela la determinazione con cui aziende come Eni si sono assunte l’impegno di realizzare quel mondo pulito, giusto e sostenibile delineato dagli SDG dell’ONU. Rivela altresì anche la complessità del compito per un settore le cui infrastrutture di produzione e distribuzione coinvolgono ogni aspetto della vita economica umana moderna.

(lo)