Vuoi sapere quando morirai?

La durata della nostra vita è inscritta nel nostro DNA. Stiamo imparando a decifrarne il codice.

di Karen Weintraub

Sono in arrivo modelli capaci di prevedere la durata della nostra vita. Le misure in via di sviluppo non potranno predire una data precisa, ma ospedali, assicurazioni, e personale sanitario specializzato nelle cure palliative già le trovano utili. È necessario formulare come meglio utilizzare le informazioni raccolte, mentre gli esperti di etica si preoccupano di come reagiranno le persone una volta informate.

Steve Horvath, esperto in biostatistica della UCLA cresciuto a Francoforte, in Germania, descrive sé stesso come “molto etero,” mentre il suo gemello monozigote è gay. Qualche anno fa accettò di collaborare con un collega che stava studiando il DNA di due gemelli di opposto orientamento sessuale, alla ricerca di variazioni chimiche che potessero segnalare uno stato attivo, o meno, di determinati geni.
I ricercatori erano interessati a verificare la possibilità che cambiamenti epigenetici potessero spiegare attività differenti in DNA identici e, possibilmente, come mai due individui dal genoma identico possano esprimere differenze così profonde. Horvath rilevò “zero segnali” nell’epigenetica dei gemelli identici, ma portò alla luce un collegamento diretto tra cambiamenti epigenetici e invecchiamento. “Abbandonai ogni altro progetto e dedicai il mio laboratorio a questa ricerca: ‘Questo è il futuro,’ mi dissi.”

Horvath trovò particolarmente interessante l’influenza di determinati cambiamenti chimici sulla citosina — una delle quattro basi del DNA, le “lettere” del codice genetico — capaci di rendere i geni più o meno attivi. Data l’eta effettiva id un individuo, individuare questi cambiamenti nel suo DNA può aiutare a formulare un quadro di come il corpo stia invecchiando, se normalmente, lentamente o velocemente. I ricercatori di Horvarth hanno testato 13.000 campioni di sangue raccolti decenni fa da individui di cui è nota la data del decesso. I risultati hanno dimostrato che questo orologio biologico è in grado di predire la mortalità dell’individuo.

La maggior parte delle malattie — cancro, cardiopatie, Alzheimer — sono malattie dell’invecchiamento. Dopo 5 anni di ricerca, l’orologio di Horvath è ora capace di predire quanto a lungo vivrà un individuo prima di incorrere in qualcuna queste malattie. La versione più recente di questo orologio è così precisa che i ricercatori vi hanno dato il nome di dedicato il nome DNAm GrimAge, in onore del ‘Tristo Mietitore’. Più è giovane l’individuo analizzato, più preciso sarà l’orologio. Man mano che invecchiamo, la citosina presente in molteplici posizioni lungo il nostro DNA acquista o perde metile (CH3). L’idea geniale di Horvath fu misurare queste variazioni nella metilazione del DNA, individuare le 300-500 più significative e con esse comporre il proprio orologio. I ricercatori stimano che circa il 40% del ticchettare dell’orologio sia determinato dall’eredità genetica, il resto dallo stile di vita e dalla fortuna.

Morgan Levine, già ricercatrice nel laboratorio di Horvath ed ora alla direzione di un proprio laboratorio alla Yale, sta mettendo profili epigenetici individuali con i profili di cellule estratte da cordoni ombelicali sani. Più l’individuo devia da questo standard, peggio sembra dover andare. È convinta di poter arrivare a mettere a confronto d’età epigenetica per predire sin dalla giovane età chi sarà più a rischio di malattia quando c’è ancora tempo per fare qualcosa. “I nostri geni non sono il nostro destino, meno ancora lo è l’epigenetica,” spiega. “Dovrebbero esserci metodi per rallentare l’invecchiamento, dobbiamo solo scoprire quali siano.”

Una dieta sana, che comprenda verdura e pesce, è associata ad un rallentamento dell’invecchiamento epigenetico. L’insonnia è invece spesso associata ad un accelerazione dell’invecchiamento epigenetico. “Ogni elemento solitamente associato ad uno stile di vita sano ha rivelato il collegamento previsto ai nuovi biomarcatori, un risultato noioso, ma scientificamente interessante,” spiega. A sorpresa, l’attività fisica regolare non aggiunge che pochi mesi di vita, ma queste valutazioni sono state condotte solo sul DNA raccolto dal sangue e Horvath vorrebbe condurre simili analisi sui muscoli, per verificare se l’esercizio possa rivelare differenze più grandi.

Horvath rivela che: “Non meno disperatamente del mio prossimo desidero trovare un modo di rallentare l’invecchiamento,” ma non dimentica il costo sociale e finanziario associato ad una popolazione che invecchia. “Abbiamo bisogno anche di un modo per mantenere le persone sane più a lungo,” dichiara.
Horvath spera di riuscire ad affinare il proprio orologio a sufficienza da riflettere gli effetti di cambiamenti nello stile di vita. Gli investitori e il biotech stanno pompando milioni di dollari nella ricerca di farmaci capaci di rallentare l’invecchiamento e ritardare il sopraggiungere della malattia. Horvath spera che il suo orologio possa rivelarsi lo strumento capace di rivelare quali farmaci siano efficaci.

Società come la Reinsurance Group of America sono già interessate ad utilizzare l’orologio epigenetico per affinare le valutazioni di rischio degli individui interessati ad acquistare un’assicurazione sulla vita. Il Genetic Information Nondiscrimination Act del 2008 — chiamato anche GINA — protegge gli utenti dalla discriminazione basata sulla genetica, ma non copre l’epigenetica. Le leggi sulla privacy non prendono nemmeno in considerazione la possibilità che possano esistere, ed aver bisogno di essere protette, informazioni relative alla reale età biologica ed alla potenziale durata della vita di un individuo. Con il progredire della scienza, sarà importante necessario aggiornare queste leggi.

Interrogata sull’utilità dell’orologio epigenetico e di altre tecniche per predire la durata della vita degli individui, Can Diane Meier, professoressa in geriatria e medicina palliativa della School of Medicine at Mount Sinai, New York, spiega: “Non ho mai visto alcuno di questi orologi essere preciso, anzi, le persone vivono veramente molto a lungo anche con un grosso carico di malattia e fragilità.”

Gal Salomon, CEO dell’israeliana Clew Medical, specializzata nell’utilizzo di IA per identificare rischi medici in ospedale, si oppose inizialmente all’idea di sviluppare uno strumento capace di predire la morte di un individuo, per motivi etici. Poi comprese che i medici potrebbero utilizzare questo genere di tecnologie per “capire quando è ora di fermarsi.” Un suo algoritmo viene ora utilizzato in ospedale per aiutare medici e famiglie a decidere quando staccare le macchine, oppure semplicemente sapere quando il momento si fa vicino.

Secondo Atul Butte, professore della University of California, San Francisco, specializzato in studi sulla qualità delle cure, non è che questo genere di strumenti si rivelerà utile, ma è convinto che “tra 5-10 anni, i sistemi sanitari che non dovessero incorporare l’analisi di questi dati saranno considerati arcaici.”

(lo)

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