La transizione energetica costa tanto, ma non farla costerebbe molto di più

Ci sono trilioni di buoni motivi per impedire al riscaldamento globale di superare la soglia di 1,5 ˚C rispetto all’era pre-industriale

di Lisa Ovi

Il desiderio di combattere il cambiamento climatico e decarbonizzare la società umana, adattandoci magari a nuove abitudini e nuovi stili di vita, viene comunemente da un misto di emozioni e desideri che variano tra l’obiettivo di vivere bene, in salute, al senso di responsabilità verso un pianeta ricco di vita e apparentemente unico nel suo genere nell’universo. 

In ultima istanza, però, la scelta di agire ricade spesso sul mondo della politica e dell’economia, inevitabilmente influenzati dal fattore finanziario. Ecco perchè è importante mettere a confronto i dati in cui si evidenzia quanto più costoso si potrebbe dimostrare un fallimento delle azioni climatiche rispetto alla transizione ad un’economia decarbonizzata e circolare.

Secondo uno studio pubblicato da ricercatori della Stanford già nel 2018, contenere il riscaldamento globale entro l’1,5°C rispetto all’era pre-industriale avrebbe potuto far risparmiare al mondo almeno 20 trilioni di dollari in danni economici. Già allora gli esperti calcolavano che il costo del taglio delle emissioni potesse essere notevolmente inferiore rispetto alla perdita di almeno il 5% annuo del PIL globale allora associata ad un aumento delle temperature pari di 3˚C.

Queste sono le stime che accompagnano da anni le previsioni dell’impatto economico di eventi meteorologici catastrofici, alluvioni e desertificazionimigrazioni di massa scatenate dai cambiamenti climatici ed il costo di adattare le infrastrutture esistentialle nuove condizioni. Il fatto che contrastare il cambiamento climatico sia economicamente più vantaggioso del non fare nulla o non fare abbastanza è chiaro da decenni, eppure i livelli di gas serra già emessi e il protratto negazionismo politicohanno portato a concludere che il mondo possa dover ripiegare sul tentativo di non superare almeno i 2˚C di riscaldamento.

Arrivati negli anni ’20 del XI° secolo, l’impatto del cambiamento climatico è una realtà innegabile per tutti, e l’ago della bilancia è ora un’opinione pubblica preoccupata per la propria salute, la propria casa, il proprio posto di lavoro e per il futuro che delle nuove generazioni, vero motore dei più recenti progressi in fatto di politiche ambientali. 

Nel 2019 l’Europa ha presentato uno dei più ambiziosi piani di decarbonizzazione del pianeta, il Green Deal Europeo, che vede il continente investire almeno 6 trilioni di euro per adattare la propria economia ad un modello circolare, alimentato da fonti di energia rinnovabile. La parte del leone è riservata allo sviluppo di tecnologie che sfruttano l’idrogeno come vettore energetico e aspirano allo sfruttamento dell’energia pulita della fusione a confinamento magnetico. Un imponente afflusso di brevetti in Europa dedicati alla decarbonizzazione segnala la serietà dell’impegno di istituzioni, ricerca e settore privato nel garantire un futuro dalla parte del clima. 

Ciononostante, gli ultimi rapporti sembrano indicare che ci sarà un costo per i ritardi e i dubbi dei decenni passati. Sia il rapporto ‘World Energy Outlook 2021‘ (WEO) dell’Agenzia Internazionale dell’Energia (IEA), che il più recente rapporto annuale dell’Intergovernmental Panel on Climate Change all’ONU ci dicono che che quanto fatto finora non basta. E le stime dei danni economici dovuti alla mancata azione sul clima stilate l’anno scorso rimangono altissime.

Secondo quanto riporta il World Economic Forum, 738 economisti di tutto il mondo intervistati dall’Institute for Policy Integrity della New York University avrebbero calcolato un costo per il mondo di circa 1,7 trilioni di dollari all’anno entro la metà di questo decennio, per poi raggiungere i 30 trilioni di dollari all’anno entro il 2075

Un rapporto di Swiss Re, uno dei maggiori fornitori mondiali di prodotti assicurativi, prevede che gli effetti del cambiamento climatico porteranno ad una riduzione dell’11-14% della produzione economica annua globale entro il 2050, pari a 23 trilioni di dollari di fatturato perduto. Questo se le misure di mitigazione promesse saranno implementate! Le perdite toccheranno il 18% se le promesse fatte non saranno mantenute.

Chiaro, dunque, come mai uno degli ultimi sondaggi condotti da Reuters tra economisti di tutto il mondo li veda uniti nel considerare più economico investire nella decarbonizzazione che non fare nulla. Il costo annuale della transizione ‘Green’ si attesta infatti attorno ad un ‘mero’ 2%-3% della produzione mondiale annua da qui al 2050. Circa 3,5 trilioni di dollari l’anno in più di quanto attualmente investito, secondo McKinsey, una delle tre più importanti società di consulenza strategica al mondo. Per contro, combattere la pandemia da Covid-19 è costata, dal gennaio 2020, un totale di 10,8 trilioni di dollari, il 10,2% della produzione globale.

Che il mondo della finanza rappresenti un’enorme leva, forse la più importante, per la transizione economica a basse emissioni di carbonio è risultato chiaro alla recente conferenza dell’ONU sul clima di Glasgow, la COP26.

A dispetto di tante difficoltà e frizioni, cresce l’ottimismo sul fatto che nazioni, organizzazioni e individui possano mettere mano ai portafogli e tirare fuori i soldi necessari ad affrontare la sfida. Un ottimismo sostenuto non solo dall’impegno preso da realtà come la Commissione Europea, ma anche di multinazionali private come Eni, il cui impegno alla completa decarbonizzazione dei propri prodotti risale già al 2014 e impatta un altro numero di paesi in cui sostiene programmi di transizione energetica come di mitigazione degli effetti del riscaldamento globale.

(lo)

Related Posts
Total
0
Share