Il Congresso vuole ascoltare i big delle reti sociali

Se i politici americani si preoccupassero davvero del danno che le piattaforme online possono fare, dovrebbero guardare alle teorie della cospirazione online e al loro diffondersi sui siti di social media.

di Joan Donovan

Twitter ha recentemente annunciato di voler agire contro gli account che pubblicano informazioni relative alla teoria della cospirazione di QAnon, i cui aderenti fanno riferimento a una figura misteriosa, conosciuta come Q, nei messaggi criptici pubblicati sull’amministrazione Trump su bacheche di messaggi online anonime. In risposta a questa opera di disinformazione, oltre 7.000 account verranno definitivamente bannati, mentre altri saranno rimossi dalle sue pagine di ricerca e di tendenza. 

È una mossa significativa non solo per la sua portata, ma anche perché molti di questi account sono gestiti negli Stati Uniti. Negli ultimi anni, si sono viste piattaforme tecnologiche diffondere fake con il coordinamento di attori stranieri, come ho avuto modo di denunciare in una mia ricerca. Analizzare lo sviluppo degli account collegati alle campagne di disinformazione non è facile, dal momento che solo recentemente le aziende hanno iniziato a fornire rapporti sulla trasparenza. 

Se da una parte Twitter pubblica archivi completi di set di account che ha rimosso, dall’altra Facebook si limita a comunicare i suoi interventi senza fornire un accesso significativo ai dati per il controllo. Recentemente Facebook ha rimosso una rete di account falsi collegati a Roger Stone e a Proud Boys, un gruppo di soli uomini d’ispirazione nazionalistica e violenta. Anche YouTube, alla fine di giugno, ha bandito diversi creatori di contenuti statunitensi di lunga data perché incitavano all’odio.

Rimuovere divulgatori popolari — e non solo influencer stranieri — è un passo significativo nella battaglia contro la disinformazione, perché chi diffonde contenuti manipolatori dipende dalla notorietà acquisita. Se l’utente non può accedere al loro nome come parola chiave, hanno difficoltà a ritrovare un pubblico su altre piattaforme. Questo è esattamente il motivo per cui la cancellazione delle pagine funziona per prevenire la disinformazione.

La rimozione di reti di account su larga scala ha un effetto diverso, ma non meno significativo. Le modifiche all’ecosistema dell’informazione riducono il potere di amplificazione di questi gruppi; rimuovere la rete QAnon prima delle elezioni è importante perché sono un nodo significativo nella nuova coalizione MAGA. Senza questa rete di superdiffusori su Twitter, sarà più difficile coordinare la manipolazione dei motori di ricerca e degli algoritmi di tendenza.

Ma anche se si riesce a ridurre la diffusione delle teorie della cospirazione, queste azioni rivelano i problemi di fondo che si trovano ad affrontare le piattaforme online: alcuni discorsi sono dannosi per la società e il sistema dei social media può rendere la situazione ancora più critica. 

Il paradosso della libertà di espressione

Tutti questi interventi arrivano nel momento in cui Amazon, Apple, Google e Facebook sono stati invitati a testimoniare davanti alla House Judiciary Antitrust Subcommittee. L’audizione, posticipata di qualche giorno, fa parte di un’indagine sulle Piattaforme online e il potere di mercato e vedrà sfilare Jeff Bezos di Amazon, Tim Cook di Apple, Sundar Pichai di Google e Mark Zuckerberg di Facebook. 

I repubblicani hanno cercato di invitare anche altre personalità, tra cui Jack Dorsey, CEO di Twitter, e John Matze, fondatore di Parler, una rete sociale di destra, che sostiene con forza l’idea che Twitter censuri i conservatori. A luglio, Matze è stato ospite di un podcast che presenta regolarmente contenuti cari ai nazionalisti bianchi e misogini e, nel 2018, è stato bandito da YouTube per i suoi discorsi di incitamento all’odio

Durante l’intervista, Matze si è dichiarato orgoglioso di offrire una piattaforma a coloro che sono stati rimossi da altri siti, come Laura Loomer, Milo Yiannopoulos e Jacob Wohl. Su Parler, queste figure presentano i loro contenuti accompagnati dai contributi di figure repubblicane come Rand Paul, Ted Cruz e Matt Gaetz, tra gli altri

Una ricerca condotta da me e dai miei colleghi sullo sviluppo di Gab, un’app che ha guadagnato una discreta popolarità promuovendosi come un rifugio sicuro per la “libertà di parola” a seguito della violenza dei suprematisti bianchi a Charlottesville, in Virginia, illustra i gravi limiti delle app minori che forniscono strade alternative per la diffusione dei discorsi d’odio. 

Gab è diventata portavoce dei suprematisti bianchi che usano la piattaforma per organizzare eventi violenti. Per molti aspetti, Parler sta seguendo un percorso simile promuovendosi come una tecnologia di liberazione che valorizza il Primo Emendamento sopra ogni altra cosa. Questa tendenza sta spingendo le aziende tecnologiche a cercare di moderare i discorsi di odio, la disinformazione e le molestie. 

Ma che senso ha per questi nuovi siti diventare uno spazio sicuro per tali influencer al vetriolo? Parler sta usando il momento attuale per reclutare nuovi clienti, essenzialmente fornendo lo stesso vecchio servizio in modo da integrare la manipolazione in modo deliberato. Se le audizioni del Congresso esplorano le teorie della cospirazione e l’odio nei discorsi, saranno un indicatore importante, anche perché la disinformazione medica e la disinformazione politica si stanno sovrapponendo esattamente nel momento in cui ci si affida più che mai ai social media. 

Le piattaforme hanno troppo potere per influenzare l’opinione pubblica e i comportamenti e ciò rende difficile discernere la verità. Twitter potrebbe non essere più “l’esponente più avanzato della libertà di parola”, ma le alternative sembrano ancora meno credibili, soprattutto quando si rifiutano di riconoscere che l’ideologia della libertà di parola assoluta è ciò che ci ha portato in questa situazione difficile

Le azioni di Twitter sugli account QAnon cercano di porre rimedio a questo squilibrio, ma in questo momento il design del nostro ecosistema multimediale ha favorito i disinformatori e coloro che li amplificano. In politica, questo viene definito un passaggio antidemocratico; e quando si entra nel campo della disinformazione medica, il pericolo diventa ancora più concreto. Se il Congresso scegliesse di cercare nei posti giusti, potrebbe scoprire il vero costo dei social media e il fatto che non possiamo costruire una democrazia sana sopra un sistema di comunicazione malato.

Immagine: Sheryl Sandberg di Facebook e Jack Dorsey di Twitter a un’audizione del Congresso, nel 2018

(rp)

Related Posts
Total
0
Share