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La fine dell’emergenza pandemica può segnare un punto di svolta per affrontare in modo decisivo il problema del riscaldamento globale.

di Alessandra Pierro

L’emergenza climatica è uno scenario sempre più nitido. La temperatura della superficie terrestre aumenta, così come l’innalzamento del livello del mare e lo scioglimento dei ghiacci. I rischi associati a disastri ambientali e a eventi metereologici estremi si moltiplicano, con gravi conseguenze per le popolazioni più vulnerabili

Numerosi rapporti dell’IPCC dimostrano che il rapido aumento delle temperature è causato dall’attività umana, che ha contribuito in modo significativo all’aumento di concentrazione di gas serra, metano e protossido d’azoto. E l’impatto antropico sugli ecosistemi, vale a dire l’insieme di effetti che le attività dell’uomo hanno sull’ambiente che lo circonda, ha effetti sempre più tangibili sulla propria salute. 

È necessario un cambio di rotta a livello globale e le sfide poste dagli SDGs sono un richiamo ad affrontare il problema in modo collettivo.

Da tempo sappiamo che la crisi climatica continua a peggiorare insieme agli eventi metereologici estremi a causa del riscaldamento globale. Rispetto all’era preindustriale, a partire dagli anni Ottanta, ogni decennio si è rivelato più caldo di tutti i precedenti. L’ultimo è stato il più caldo della storia, con un aumento medio della temperatura globale di circa 1,1 °C nel 2019: tutti ricorderanno, nel dicembre scorso, le immagini di un’Australia che andava a fuoco a causa di un’ondata di calore mai registrata prima (con temperature fino a 49,9 °C). L’incremento delle temperature tocca anche l’Europa, e in Italia si stima che entro il 2100 le ondate di calore potrebbero arrivare a coprire 250 giorni all’anno; in media, la temperatura della superficie terrestre potrebbe aumentare di 3 °C.

Le emissioni oggi sono al livello più alto della storia, con una concentrazione di CO2 che non si registrava da 650 mila anni se non di più. Entro il 2030 sarà necessario ridurre le emissioni di gas serra del 45%, per riuscire ad azzerarle entro il 2050. Eppure siamo ancora ben lontani dalle linee guida previste dall’Accordo di Parigi che richiedono un impegno a contenere la temperatura tra 1,5 °C e 2 °C. L’aumento delle temperature e il livello di inquinamento sono in stretto rapporto. Si prevede che tra il 2030 e il 2050 nel mondo ci saranno 250.000 morti in più all’anno per patologie provocate dall’inquinamento, oltre che per fenomeni metereologici estremi, progressiva carenza di risorse idriche, mancanza di acqua potabile e di servizi igienici. A rendere il quadro ancora più fosco si aggiungono infine i protagonisti indiscussi di questi tempi, virus e patogeni, che proprio nelle sostanze altamente inquinanti come il particolato sembra possano trovare un vettore di propagazione. 

Mai come ora è lampante che per salute del Pianeta si intenda la nostra stessa salute.

La salute è, non a caso, uno dei 17 SDGs (Sustainable Development Goals) dell’Agenda 2030 delle Nazioni Unite per lo sviluppo sostenibile, così come la fame e la povertà, l’istruzione, i diritti e la parità di genere, la riduzione degli squilibri di accesso alle risorse, l’ambiente. 

Il raggiungimento di questi obiettivi è una sfida politica ed economica globale che, naturalmente, vede maggiormente esposti i paesi più poveri. Governi, imprese, società civile sono tutti chiamati a un ripensamento di stili di vita e di consumo che non sono sostenibili nel lungo termine. Ora urge capire come non tornare alla normalità se ‒ come recita il messaggio lanciato da Santiago del Cile nel marzo scorso ‒ quella normalità era il problema.

La ridefinizione di un nuovo modello di sviluppo è una partita che si gioca su più fronti e in cui naturalmente l’energia riveste un ruolo chiave. Il settore energetico infatti, benché rappresenti circa il 60% delle emissioni globali di gas serra, determina il raggiungimento di gran parte degli obiettivi di sviluppo sostenibile. 

Oggi oltre 1 miliardo di persone continua a non avere accesso all’elettricità, e proprio in paesi incredibilmente ricchi di risorse come l’Africa subsahariana, dove i giacimenti di gas potrebbero coprire consumi per 800 anni. Circa il 40% della popolazione mondiale, inoltre, non ha accesso a fonti energetiche pulite, per la cucinare e riscaldarsi utilizza legna, carbone o rifiuti animali. L’obiettivo 7 dell’Agenda riprende così quanto già auspicato nel 2001 dal SE4ALL – Sustainable Energy for All: accesso universale a un’energia pulita.

Servono risposte in tutti i settori di attività, a partire da quello energetico, dove Eni sta facendo la sua parte. È infatti in questa direzione che l’azienda ha definito il suo ultimo piano strategico. Il nuovo paradigma mira innanzitutto a potenziare l’accessibilità e la distribuzione delle risorse energetiche e prevede progetti di sviluppo per i paesi emergenti. Questo contribuirà ad esempio allo sforzo dei paesi dell’Africa sub-sahariana nel raggiungere il pieno accesso all’energia al 2030, in linea con quanto ipotizzato dal Sustainable Development Scenario dell’International Energy Agency. Nell’ottica di transizione energetica un ruolo cruciale è affidato al percorso di decarbonizzazione che punta a una produzione a basso impatto, con un incremento delle fonti low-carbon e una riduzione delle emissioni dirette.

Rientrano in questo percorso i progetti di Forestry che ‒in linea col REDD+ (Riduzione delle Emissioni causate dalla Deforestazione e dal Degrado forestale) dell’UNFCCC (United Nations Framework Convention on Climate Change)‒ valorizzano i crediti di carbonio generati dalla protezione e conservazione delle foreste. Questo utilizzo delle risorse forestali, oltre ad apportare evidenti vantaggi sul piano ambientale, contribuisce allo sviluppo economico e sociale delle aree interessate, diventando un incentivo a investimenti sostenibili diversificati.

Le iniziative di economia circolare sono parte integrante di questo percorso, attraverso un nuovo modello che punti al riutilizzo dei materiali di scarto e riduca consumi e sprechi. È a questo principio che si ispirano le attività di bonifica e riconversione di quanto è in dismissione o l’attivazione di impianti per la trasformazione dei rifiuti in prodotti decarbonizzati. 

Non manca nemmeno un’attenzione alla mobilità sostenibile, con un incremento dei punti vendita di gas naturale rivolti ai trasporti e un’attenzione particolare al car sharing e al servizio di ricarica per la mobilità elettrica. Il volume e la portata di questi progetti è ricco e articolato: si tratta di strategie specifiche e commisurate a una realtà come Eni, la cui logica di base è trasversale a tutti i settori di attività e di consumo. 

Il perseguimento di un singolo obiettivo dell’Agenda 2030 può contribuire in via indiretta al raggiungimento degli altri: gli strumenti per affrontare questa inversione di marcia non mancano, si tratta solo di cominciare a usarli.

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Foto: Fonte Eni