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Identificato un antidolorifico naturale per il trattamento del dolore cronico. L’analogo sintetico è ancora più efficace.

di MIT Technology Review Italia

Il dolore cronico colpisce circa 100 milioni di persone in tutta Europa, con un impatto devastante sulla qualità della vita di chi ne soffre. A differenza del dolore acuto, generalmente considerato un sintomo di malattia o infortunio, il dolore cronico, della durata di almeno 6 mesi, rappresenta un problema a parte, che può manifestarsi in qualsiasi punto del corpo, spesso senza spiegazioni.

Difficile da trattare, può persistere per mesi o addirittura anni, e viene spesso trattato con l’uso di oppiacei, efficaci quanto pericolosi. I peptidi oppiacei sono piccole proteine ​​che mediano il sollievo dal dolore e dalle emozioni, quali euforia, ansia, stress e depressione, interagendo in particolare con quattro recettori, o interruttori molecolari, del cervello.

Si deve ai ricercatori del Luxembourg Institute of Health l’identificazione nel cervello di un quinto recettore atipico delle chemochine, l’ACKR3, un nuovo recettore per gli oppiacei capace di legare con essi e smorzarne l’attività analgesica e ansiolitica.

Manipolando questo quinto membro della famiglia dei recettori oppiacei, Andy Chevigné, direttore del reparto di Immuno-Pharmacology and Interactomics, e i suoi ricercatori hanno portato alla luce un meccanismo nuovo per la messa a punto del sistema degli oppiacei e modulare le quantità di oppiacei naturali.

Ora, i ricercatori del LIH, in collaborazione con il Center for Drug Discovery di RTI International (RTI), istituto senza scopo di lucro, presentano la conolidina, un antidolorifico naturale tradizionalmente utilizzato nella medicina cinese e capace di interagire con il recettore ACKR3/CXCR7 regolando le sostanze oppiacee naturalmente prodotte nel cervello. Un analogo sintetico della conolidina, chiamato RTI-5152-12, si è dimostrato ancora più efficace.

Pubblicato su Nature, lo studio ha esaminato la capacità di oltre 240 recettori di reagire alla conolidina, identificando l’ACKR3 come il bersaglio più suscettibile all’attivazione o inibizione da parte di questo alcaloide con proprietà analgesiche.

Pur non dimostrando alcuna affinità con i 4 recettori classici, la conolidina lega perfettamente con il recettore ACKR3, impedendogli di intrappolare ed interferire con l’azione degli oppiacei secreti naturalmente. Questo li rende più disponibili ad interagire con i recettori classici. Secondo i ricercatori, sarebbe questo il meccanismo alla base dell’efficacia di un rimedio tradizionale.

“Dai nostri risultati, la conolidina, e potenzialmente i suoi analoghi sintetici, potrebbero rappresentare una nuova speranza per il trattamento del dolore cronico e della depressione, con il vantaggio di una riduzione negli effetti collaterali come dipendenza, tolleranza e problemi respiratori”, spiega il dott. Ojas Namjoshi, co-autore corrispondente della pubblicazione a capo dello studio RTI.

(lo)