Al di là dei costosissimi viaggi orbitali e suborbitali per privati, la vera ricerca sullo spazio va avanti grazie al contributo dei governi, a investimenti seri, a sforzi scientifici costanti. La corsa allo spazio non è solo pop.
di BG
Il lancio del James Webb Space Telescope è la notizia più importante degli ultimi tempi per quanto riguarda la storia delle esplorazioni spaziali.
Il telescopio Webb, lanciato il 22 dicembre 2021 dallo spazioporto di Kouru, nella Guiana Francese, è il frutto della collaborazione tra diverse agenzie spaziali, la Nasa statunitense, l’Esa europea, e la Csa, canadese. Il costo dell’intera operazione è stimato in dieci miliardi di dollari.
Si tratta di un telescopio spaziale, che non viene “disturbato” dalle distorsioni ottiche che affliggono i telescopi terrestri, e in questo assomiglia a Hubble, il suo “predecessore” (tuttora operativo) lanciato nel 1990. Ma mentre Hubble lavora in un’orbita terrestre bassa, Webb Una volta arrivato in posizione, fra sei mesi circa, orbiterà a 1,5 milioni di chilometri dal Sole, e potrà evitare i disturbi di ombre lunari, polvere cosmica, nubi interstellari.
Le sue dimensioni sono significativamente maggiori di quelle di Hubble. Quest’ultimo è dotato di uno specchio di 2,4 metri di diametro. Lo specchio di Webb misura 6, 5 metri, e Webb possiede un sistema molto elaborato in grado di difenderlo dagli sbalzi termici. Webb è un telescopio all’infrarosso, il che gli permetterà di catturare la luce debole, spostata verso il rosso, degli oggetti più antichi e lontani.
Si può dire che è un telescopio puntato non solo sugli oggetti più remoti dell’universo, ma anche (le due cose non si contraddicono, anzi), sul passato remoto dell’universo. Servirà a studiare l’origine e l’evoluzione delle prime galassie, la nascita e formazione di stelle e pianeti, l’evoluzione dei sistemi planetari e le condizioni per la vita.
Webb è un’ottima notizia per la ricerca. Con tutte le polemiche che hanno accompagnato la lunga, complessa, costosa evoluzione del progetto, è segno che la volontà politica di proseguire l’esplorazione spaziale da parte di soggetti che cooperano a livello internazionale, è viva, e che porterà frutti. È la testimonianza di un passo avanti della ricerca, spinto dalla governance globale.
Ma il lancio di Webb, occorre dirlo, è stato molto meno enfatizzato dai media delle varie iniziative private, commerciali, per implementare voli suborbitali o orbitali. Si sta parlando della Blue Origin di Jeff Bezos, che lo scorso 11 dicembre è riuscita a portare nello Spazio sei persone. Della VSS unit della Virgin Galactic di Richard Branson. Del progetto Space X di Elon Musk, la cui capsula con quattro civili a bordo ha viaggiato per 3 giorni consecutivi su un’orbita a più di 500 km di altitudine. Delle possibilità di viaggiare nella Iss per le modiche cifre che oscillano tra i 20 e i 50 milioni di dollari.
Turismo extralusso, per pochissimi miliardari. Molta risonanza mediatica per i fatto che “uomini comuni” vadano nello spazio o quasi, ma nessuna rilevanza né “pioneristica” né scientifica.
Il primo volo suborbitale – in grado, secondo gli standard Usa, di superare la linea di Kármán, vale a dire i 100 km di quota – con un equipaggio umano è del 1961 (Alan Shepard). Ed era già stato anticipato, di qualche settimana, dal volo orbitale di Yurj Gagarin. Era il 12 aprile del 1961. Sessanta anni fa.
Si vede bene che, con tutto il glamour, non siamo di fronte a nessun avanzamento della scienza e della tecnologia, né tantomeno a nessuna “democratizzazione” dei viaggi spaziali, che sono e resteranno riservati a qualche privilegiato con qualche ennuì esistenziale, se mai a operazioni tutte pubblicitarie e d’immagine che portano nomi e facce di personaggi pop.
Nulla a che fare con la ricerca vera, che resta affidata alla cooperazione tra governi e istituzioni, e da cui ci si possono aspettare molti risultati sorprendenti.
(lo)