E’ sempre più chiaro che la chiave di una terapia efficace contro il morbo d’Alzheimer risiede in una diagnosi che possa precedere l’insorgere dei sintomi più evidenti.
di Lisa Ovi
Il morbo di Alzheimer comincia ad interferire con il cervello molti anni prima che i sintomi si facciano apparenti. Il mondo scientifico comincia a concentrare gli sforzi della ricerca sulla necessità di riconoscere l’azione del morbo con sempre maggiore anticipo nella speranza che una diagnosi anticipata possa permettere ai trattamenti di essere più efficaci.
La tecnologia potrebbe avere un ruolo sia nell’accelerare la conoscenza del morbo che nel diagnosticare e monitorarne gli sviluppi. L’evoluzione rapida nel campo dell’intelligenza artificiale e la presenza dilagante di dispositivi mobili aprono le porte al possibile sviluppo di strumenti che facciano parte della vita quotidiana degli utenti. Due nuovi studi esemplificano le nuove possibilità a disposizione della medicina.
Ricercatori della University of California – Davis Health sono riusciti ad insegnare ad un computer come identificare con precisione la presenza di amiloidi tra i tessuti di un cervello umano. Pubblicata su Nature Communications, la ricerca è stata condotta sotto la guida di Brittany Dugger, assistant professor del dipartimento di patologia della UC Davis, in collaborazione con il collega Michael J. Keiser, assistant professor del dipartimento di malattie neurodegenerative e chimica farmaceutica.
Le placche di amiloidi sono agglomerati di frammenti proteici che si formano nel cervello affetto da Alzheimer e distruggono le connessioni tra le cellule nervose. Il programma di apprendimento automatico creato dai ricercatori della UC Davis si è rivelato capace di riconoscere velocemente la presenza di placche di amiloidi. Lo strumento è stato pensato come supporto per il lavoro dei neuropatologi, in quanto capace di analizzare velocemente grandi volumi di dati. L’automazione del laborioso processo di identificazione ed analisi delle minuscole placche permetterà ai neuropatologi di studiare più da vicino i risultati e porsi più domande a cui cercare risposta.
In un secondo studio, ricercatori della University of Cambridge hanno dimostrato come strumenti di realtà virtuale siano in grado di diagnosticare segni precoci d’Alzheimer più accuratamente dei test cognitivi attualmente in uso. La ricerca è stata pubblicata su Brain e condotta da ricercatori del dipartimento di neuroscienze cliniche della Cambridge, sotto la direzione del Dr Dennis Chan, in collaborazione con il professor Neil Burgess della UCL.
Uno dei primi sintomi della malattia è la perdita del senso dell’orientamento. Non a caso, una delle prime aeree del cervello affette dall’Alzheimer è la corteccia entorinale, sede del nostro sistema di navigazione interno. I ricercatori hanno sviluppato e testato un test di navigazione VR per pazienti a rischio di demenza. Una cinquantina di pazienti affetti da mild cognitive impairment (MCI) hanno indossato occhiali VR ed esplorato un ambiente appositamente progettato per valutare la funzionalità della loro corteccia entorinale. Il test di navigazione in VR si è rivelato capace di distinguere i pazienti ad alto rischio di Alzheimer da quelli meno a rischio con più precisione delle batterie di test in uso. I ricercatori teorizzano che possa essere utilizzato anche per valutare gli effetti dei farmaci contro l’Alzheimer.
Questi progetti rappresentano degli ottimi esempi di scienza traslazionale interdisciplinare. Neuropatologi, informatici, medici ed ingegneri hanno collaborato alla risoluzione di un problema comune.
Immagine: NIck Little
(lo)