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La richiesta di energia senza precedenti esplosa nel 1950 ha alterato l’impronta geologica della razza umana sul pianeta: ovvero, come siamo arrivati a questo punto.

di MIT Technology Review Italia

Ufficialmente, l’epoca geologica corrente prende il nome di Olocene. A partire dagli anni ’80, però, si è fatto strada in geologia il termine Antropocene, ad indicare la più recente epoca geologica, in cui le principali cause delle modifiche territoriali, strutturali e climatiche del pianeta sono attribuibili agli esseri umani. Studi recenti stanno portando organizzazioni internazionali dei geologi come l’Anthropocene Working Group (AWG) a prendere in considerazione l’adozione del termine Antropocene in base a precise considerazioni stratigrafiche.

Un nuovo studio coordinato dalla CU Boulder, fa ora luce sulla straordinaria velocità dell’incremento nella richiesta e consumo di energia da parte della società umana globale dopo il 1950 e su come abbia spinto la Terra verso questa nuova epoca geologica, l’Antropocene, con effetti fisici, chimici e biologici nettamente rilevabili negli strati rocciosi della Terra.

Diretto da Jaia Syvitski, professoressa emerita della CU Boulder, già direttrice dell’Istituto di Ricerca sull’Artico Alpino (INSTAAR), lo studio è stato pubblicato da Nature Communications. Gli studiosi descrivono i fattori naturali che hanno caratterizzato gli ultimi 11.700 anni, il periodo geologico dell’Olocene, mettendoli a confronto con le alterazioni provocate dall’uomo a partire dal 1950. Tali alterazioni a livello planetario hanno modificato gli oceani, i fiumi, i laghi, le coste, la vegetazione, il suolo, la chimica e il clima.

Secondo quanto rilevato dallo studio, negli ultimi 70 anni gli esseri umani avrebbero consumato più energia che negli ultimi 11.700 anni, per lo più sotto forma di consumo dei combustibili fossili. Questo enorme aumento del consumo di energia ha quindi consentito un drammatico aumento della popolazione umana, dell’attività industriale, dell’inquinamento, del degrado ambientale e del cambiamento climatico.

Come spiega Jaia Syvitski, alterare il sistema terrestre non è cosa da poco. Da qui, la proposta di attribuire ad un’intera epoca, non solo ad un periodo, il titolo di Antropocene, formulato secondo la denominazione convenzionalmente utilizzata per intervalli di tempo più brevi delle Ere, ma più duraturi di semplici periodi. 

I 18 autori dello studio hanno attinto a ricerche esistenti per descrivere 16 notevoli conseguenze a livello planetario dello straordinario aumento nei consumi di energia registrato a partire dal 1950 circa.

Tra il 1952 e il 1980, gli esseri umani hanno innescato più di 500 esplosioni termonucleari a livello del suolo nell’ambito di programmi globali sulle armi nucleari, lasciando un’impronta radioattiva quasi permanente sulla, o nei dintorni della superficie dell’intero pianeta.

Sempre a partire dal 1950 circa, gli esseri umani hanno raddoppiato anche la quantità di azoto sul pianeta attraverso la produzione industriale agricola, creato un buco nello strato di ozono attraverso il rilascio su scala industriale di clorofluorocarburi (CFC), rilasciato abbastanza gas serra dai combustibili fossili da generare un cambiamento climatico, creato decine di migliaia di composti simili a minerali sintetici in più rispetto a quelli che si trovano naturalmente sulla Terra e causato quasi un quinto dei sedimenti fluviali in tutto il mondo a cui viene impedito di raggiungere l’oceano a causa di dighe, bacini idrici e deviazioni dei corsi idrici. 

I milioni di tonnellate di plastica prodotti ogni anno a partire dalla metà del 20° secolo fanno sì che le microplastiche si siano trasformate in un indicatore quasi onnipresente e inequivocabile dell’Antropocene.

Come spiegano Syvitski e i suoi coautori, non tutti questi cambiamenti a livello planetario possono ancora definire geologicamente l’Antropocene, ma ai ritmi attuali, lasceranno presto traccia di sé a livello dei registri rocciosi. Gli studiosi invitano ad un’azione collettiva volta ad invertire queste tendenze ambientali.

Immagine: Geralt, Pixabay