La zona abitabile attorno ad una stella è stata definita come la regione in cui l’acqua può esistere in stato liquido sulla superficie di un pianeta, ma ci vuole ben di più della sola acqua per sostenere forme di vita complesse. Una squadra di astronomi ha calcolato come questo dato influisca sulle ricerche di pianeti abitati.
di ArXiv
Quando il Kepler Space Observatory fu varato nel 2009, cominciò a individuare pianeti in orbita attorno a stelle lontane ad una velocità entusiasmante per gli astronomi. Secondo le prime stime, la nostra galassia conterrebbe circa 40 miliardi di pianeti simili alla Terra, in orbita nelle zone abitabili di stelle simili al sole o di nane rosse.
La zona abitabile è la regione dove l’acqua può esistere allo stato liquido sulla superficie di un pianeta. Ogni indizio sembra suggerire che l’acqua abbia un ruolo cruciale per la vita e i risultati del Kepler hanno aperto le porte alla possibilità che la nostra galassia pulluli di vita. È partita quindi la corsa alla ricerca della vita.
Il primo obiettivo è imparare a riconoscere i pianeti con maggiori probabilità di sostenere forme di vita complesse. Gli astrobiologi hanno cominciato a indicare che la sola presenza dell’acqua non è sufficiente. Volendo prendere la Terra ad esempio, la proporzione di altre molecole non è meno importante. Troppa anidride carbonica o monossido di carbonio uccide la vita, per esempio.
Edward Schwieterman del NASA Astrobiology Institute di Riverside, in California, e colleghi hanno aggiornato la definizione di zona abitabile prendendo in considerazione anche parametri relativi ai livelli di anidride carbonica e monossido di carbonio. Secondo la nuova definizione, la zona abitabile per forme di vita complesse si riduce ad un a quanto di quanto precedentemente calcolato.
Le dimensioni della zona abitabile non sono semplici da calcolare, in quanto le temperature di superficie dipendono numerosi processi atmosferici di feedback, come l’effetto serra. La definizione convenzionale di zona abitabile prevede l’esistenza di un’atmosfera contenente azoto, anidride carbonica ed acqua, in una relazione resa stabile dallo stesso processo di feedback tra carbonati e silicati esistente sulla Terra.
Il ciclo del carbonio è un processo a lungo termine che vede reagire i silicati con l’acqua e l’anidride carbonica per creare rocce carbonatiche, ritrasformate poi in silicati e anidride carbonica grazie ad alte pressioni e temperature e processi vulcanici. Questo ciclo mantiene i livelli di anidride carbonica nell’atmosfera relativamente stabili, permettendo all’effetto serra di elevare le temperature di superficie. Nella storia della Terra, i livelli di anidride carbonica sono variati tra le decine e le centinaia di parti per milione.
“Nella regione media e periferica della zona abitabile, le concentrazioni di anidride carbonica atmosferica necessarie a mantenere una temperatura ideale alla presenza di acqua sulla superficie sono più alte,” spiegano Schwieterman e colleghi.
Ad esempio, un esopianeta spesso considerato un buon candidato per la vita extraterrestre è il Kepler-62f, tre volte la massa della Terra, in orbita attorno alla propria stella nella costellazione della Lira ad una distanza simile a quella di Venere dal Sole. La stella di Kepler-62F è però meno brillante del Sole, ed il pianeta non riceve più luce di Marte, dato che lo pone ai limiti della zona abitabile. L’effetto serra potrebbe scaldare Kepler-62f abbastanza da permettere la presenza di acqua in superficie, ma Schwieterman e colleghi hanno calcolato che ci vorrebbe una quantità di anidride carbonica pari a mille volte la quantità esistita sulla Terra nell’intera storia della vita sul nostro pianeta, una quantità velenosa per la maggior parte delle forme di vita complesse attualmente sulla Terra. Dati i limiti di anidride carbonica tollerati dalle forme di vita, Kepler-62f potrebbe non essere un candidato papabile, dopotutto.
Anche il monossido di carbonio rappresenta un pericolo per le forme di vita complesse. I ricercatori hanno calcolato che pianeti in orbita attorno a stelle più fredde presentano probabilmente livelli di monossido di carbonio più alti a causa di condizioni fotochimiche ideali alla sua produzione, un altro limite per le zone abitabili.
La squadra sta ora calcolando in che modo i nuovi limiti modifichino la definizione di zona abitabile. “E’ possibile che non ci si possa aspettare segni di vita intelligente o tecnologicamente evoluta su pianeti in orbita attorno a nane rosse o ai limiti della zona abitabile,” spiegano Schwieterman e colleghi. È possibile che gli astrobiologi decidano di concentrare le proprie ricerche di biosignature attorno a stelle più calde, simili al Sole, dove le condizioni sono più favorevoli alla vita.
Per approfondire: A Limited Habitable Zone For Complex Life
(lo)