La pandemia ha dimostrato che i benefici della densità abitativa superano di gran lunga gli svantaggi.
di Andrew Giambrone
La pandemia di coronavirus presenta una crudele ironia per gli abitanti delle città. A che servono le città se la stessa qualità che le rende così dinamiche – la facilità di entrare in contatto con le persone e riunirsi in grandi gruppi per qualsiasi cosa, da una partita di baseball a un’opera – ora le rende più pericolose di prima?
Questa domanda è al centro delle preoccupazioni sul futuro delle città in un mondo post-covid. Le distanze sociali, l’uso di mascherine e le restrizioni alle riunioni di massa continueranno in molti luoghi, almeno fino a quando non saranno vaccinate un numero sufficiente di persone affinché le comunità raggiungano l’immunità di gregge.
I centri urbani rimangono in gran parte dormienti, i loro uffici e hub di transito prosciugati di lavoratori non essenziali. Allo stesso tempo, le casse comunali stanno subendo enormi perdite di entrate fiscali. Meno visitatori e meno vendite significano meno fondi per i servizi essenziali della città, comprese le scuole pubbliche e i servizi igienico-sanitari, o per i parchi.
In aggiunta a queste difficoltà economiche, sembra sensato rifuggire dalle città durante una pandemia.Negli Stati Uniti, il covid-19 non si è diffuso per la prima volta a New York, la città più grande d’America? La densità di tali luoghi non li rende inevitabili punti caldi per virus altamente contagiosi? Le persone non sono fuggite istintivamente in campagna durante le epidemie, almeno dal Medioevo?
In realtà, gli studi dimostrano che la vita urbana potrebbe non essere così rischiosa come sembra a prima vista. Lo scorso giugno i ricercatori della Johns Hopkins e dell’Università dello Utah hanno scoperto che, tenuto conto della popolazione dell’area metropolitana, dei fattori socioeconomici e delle infrastrutture sanitarie, la densità abitativa non era collegata ai tassi di infezione nelle contee degli Stati Uniti. Piuttosto erano gli spostamenti tra le contee che avevano un peso maggiore per la diffusione virale e la mortalità.
Un documento pubblicato dall’IZA Institute of Labor Economics tedesco a luglio ha rilevato che mentre era più probabile che il covid-19 si manifestasse prima nelle contee più abitate, la densità della popolazione non era correlata al numero complessivo di casi e decessi. In altre parole, quando si parla di coronavirus, la densità non è il fattore determinante.
New York City è stata inizialmente l’ epicentro della pandemia negli Stati Uniti in parte a causa del suo status internazionale, ma la situazione è migliorata quando sono state intraprese le misure di sicurezza (i numeri dei casi sono aumentati di nuovo lo scorso autunno quando le aree attive sono state riaperte e sono arrivate le vacanze, e di nuovo a febbraio con la diffusione di nuove varianti, anche se le vaccinazioni promettono di controllarle) .
Secondo il “New York Times”, le contee rurali dell’Alaska, del Colorado e del Texas, lontane dai centri abitati densamente popolati, sono state duramente colpite all’inizio del 2021, ciascuna con oltre 100 casi giornalieri ogni 100.000 residenti. L’anno scorso le città ad alta densità abitativa in Asia e Australia sono state in grado di tenere a freno il coronavirus. Anche la Cina, dove è stato scoperto per la prima volta il covid-19, ha efficacemente domato la pandemia malgrado i suoi 1,4 miliardi di persone, il 60 per cento delle quali vive in città.
Questo non vuol dire che la densità sia irrilevante per la trasmissione del covid-19 o che sappiamo con certezza come si propaga la malattia. Alcune ricerche, tra cui uno studio pubblicato lo scorso luglio da “JAMA Network Open”, hanno collegato la densità della popolazione con la diffusione del coronavirus. Uno studio pubblicato sulla rivista “PLOS One” a dicembre ha concluso che la densità è importante sebbene sembrasse fare più differenza nelle fasi successive dei focolai che all’inizio.
Altri documenti relativi a India e Algeria, condotti da ricercatori dell’Università del Bengala settentrionale e dell’Università di Khemis Miliana, rispettivamente, hanno riportato legami da moderati a forti tra densità e infezioni. Allo stesso tempo, le principali città come Seoul, Hong Kong e San Francisco hanno contenuto in gran parte la diffusione del coronavirus con interventi rapidi e aggressivi come la chiusura di bar e club.
Indipendentemente da come si interpretano questi risultati, è chiaro che la densità urbana conferisce numerosi vantaggi durante una pandemia. Per prima cosa, le città densamente popolate tendono ad avere ospedali migliori rispetto alle aree meno popolate. Ed è più facile per gli abitanti delle città accedere alle cure mediche. Lo stesso vale per le cure preventive, che, sebbene ancora carenti in molti luoghi, hanno ripetutamente dimostrato di abbassare i tassi di malattie croniche e i passaggi al pronto soccorso.
L’urbanizzazione era in aumento prima della pandemia ed è probabile che questa tendenza persista. Mentre ci riprendiamo dal covid, vale la pena ricordare che nelle città sono presenti persone con diverse competenze, background e ambizioni. Gli studi dimostrano che la vicinanza agli altri facilita l’ innovazione culturale e scientifica. Inoltre, come si è visto durante la pandemia, le telecomunicazioni non sono un sostituto perfetto per le connessioni faccia a faccia, la cui mancanza ha creato una serie di problemi, né garantiscono il tipo di ambiente educativo di cui gli studenti hanno bisogno per avere successo accademico e sociale.
Nella migliore delle ipotesi, le città distribuiscono le risorse ai propri cittadini in modo efficiente ed equo. Anche se molte non si sono dimostrate all’altezza dell’ideale, come la pandemia ha messo a nudo, il paradigma alternativo per l’insediamento umano – lo sprawl urbano o città diffusa – presenta svantaggi significativi. Vivere lontano dagli altri impone costi più alti alla produttività economica, all’ambiente e, in alcuni casi, alla felicità delle persone. Il cambiamento climatico, che è esacerbato dall’uso di auto e aerei, aggraverà questi costi.
Anche se la densità non è una panacea per queste sfide, è una delle nostre migliori scommesse per superarle. Dopo un anno di malattie e morte, dovremmo essere rassicurati da un’altra lezione della pandemia: le città sono resilienti, proprio come le persone che ci vivono.
Andrew Giambrone è un giornalista freelance con sede a New York City che scrive di politica, città e questioni sociali.
(rp)
Foto: Meredith Miotke