Svolta green, le aziende pubbliche sono ancora (molto) indietro

Le aziende pubbliche, che emettono almeno 7,49 gigatonnellate di anidride carbonica equivalente ogni anno, possono fare molto di più in termini di riduzione delle emissioni e di indirizzamento degli investimenti futuri verso tecnologie e infrastrutture a basse emissioni di carbonio

di MIT Technology Review Italia

Greenhouse gas emissions from state-owned enterprises: a preliminary inventory, il nuovo rapporto del Center on Global Energy Policy della Columbia Climate School misura le emissioni dirette delle aziende pubbliche e avanza proposte ai governi per ristabilire un controllo diretto su queste imprese in linea con gli obiettivi di equilibrio ambientale.

Le aziende pubbliche, vale a dire quelle in cui il 50 per cento o più delle azioni di voto è detenuto da un governo, svolgono un ruolo importante in molte delle maggiori economie mondiali, in particolare nella generazione di elettricità, petrolio e gas e nell’industria pesante. Queste emissioni sono concentrate in un numero relativamente piccolo di grandi aziende emittenti e a livello globale sono responsabili di almeno 7,49 gigatonnellate di anidride carbonica equivalente (GtCO2e) all’anno in emissioni dirette. 

Nonostante le informazioni limitate, perché difficilmente i dati delle aziende pubbliche sono disponibili, sembra probabile che la reale scala delle emissioni legate alle aziende statali sia sostanzialmente più elevata di quanto si sappia ufficialmente, in particolare se si tiene conto delle compagnie petrolifere nazionali e dei produttori siderurgici che a oggi non comunicano le proprie emissioni.

Come riportato da “Phys.org”, alcune imprese sono interamente e direttamente di proprietà del governo, mentre per altre il governo detiene una quota di maggioranza o quasi maggioritaria e altre aziende finanziarie, per esempio fondi pensione pubblici, fondi di previdenza sociale o fondi di investimento pubblici, detengono quote minori, con il il resto quotato in borsa o detenuto da investitori privati. Tra le aziende statali che sono quotate pubblicamente, solo un terzo di oltre 2.000 aziendecome rilevato dall’OCSE in uno studio condotto su 34 paesirivelano le loro emissioni

I governi che controllano le diverse aziende sono anche firmatari dell’Accordo di Parigi sui cambiamenti climatici. In base a questo accordo, i governi si impegnano a mantenere l’aumento della temperatura globale “ben al di sotto” di 2 °C al di sopra dei livelli preindustriali, con un obiettivo aspirazionale di 1,5°C.

A dicembre del 2021, oltre 130 paesi hanno proposto o legiferato per obiettivi di zero emissioni nette a livello economico, tra cui Canada (2050), Unione Europea (2050), Giappone (2050), Corea del Sud (2050), Regno Unito (2050), Stati Uniti (2050), Cina (2060), Indonesia (2060) e India (2070).

Le aziende statali sono tra i principali attori economici. Secondo l’OCSE, nel 2011 rappresentavano oltre il 10 per cento delle 2.000 più grandi public company del mondo, con un fatturato di 3,6 trilioni di dollari. Si parla di qualcosa di più grande di ogni economia nazionale nel mondo, a eccezione di Stati Uniti, Cina, Giappone e Germania.

Nel loro ruolo di azionisti unici o di maggioranza di queste imprese, i governi possono essere in grado di esercitare un’influenza considerevole, se non dominante, sulle strategie e politiche climatiche.  La proprietà statale fornisce a questi governi un importante punto di controllo diretto sulle operazioni e sulla strategia, e quindi sull’impronta delle emissioni, di queste aziende.

Dal rapporto emerge che geograficamente, le emissioni sono concentrate in grande maggioranza tra le imprese controllate dal governo cinese, seguite con contributi importanti da Russia,  Indonesia, Sud Africa e Corea del Sud, Arabia Saudita e Messico. Tra i settori che contribuiscono all’inquinamento la parte del leone viene giocata da quello elettrico, soprattutto con le Big Five cinesi, con significativi contributi che arrivano dalla produzione e distribuzione di petrolio e gas, trasporti, cemento e prodotti chimici. 

Il raggiungimento dell’obiettivo della rapida riduzione, e quindi l’eliminazione virtuale delle emissioni nazionali, non può fare a meno di un intervento profondo sulle imprese statali che generano quote significative di tali emissioni. Nel loro ruolo di azionisti unici o di maggioranza, i governi possono essere in grado di esercitare un’influenza considerevole, se non dominante, sulle strategie e politiche climatiche. 

La loro capacità di farlo è fortemente determinata dal contesto politico-economico locale che definisce come un governo e le sue imprese statali interagiscono e anche dallo status giuridico della proprietà pubblica e dai vincoli entro i quali opera, che includono ma non si limitano a doveri fiduciari, obblighi a perseguire rendimenti finanziari e vincoli agli investimenti di capitale.

Le politiche, la legislazione e le istituzioni disciplinano anche le attività delle società private e degli individui, ma in modo meno diretto e mirato di quanto non sia generalmente disponibile per i governi nell’influenzare le azioni delle proprie imprese. Inoltre, le politiche basate sul mercato intese a modificare il comportamento delle imprese che massimizzano i profitti possono avere un effetto più attenuato sulle aziende statali, in parte perché lo scopo di queste ultime dovrebbe essere quello di fornire un contributo alla crescita economica nazionale, con beni e servizi chiave e la creazione di posti di lavoro. 

(rp)

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