Storie di buio e di luce

Problemi e opportunità dell’industria fotovoltaica nei villaggi e nelle città del mondo

di 3 SUN

PRESENTAZIONE

L’industria che opera nella produzione di celle e pannelli fotovoltaici,

per la conversione diretta di energia solare in elettricità,

sta attraversando un momento molto delicato.

Fattori molto positivi si intrecciano ad altri molto critici.

Fattori positivi

La domanda di installazione di pannelli (e quindi ovviamente

la produzione di celle fotovoltaiche) è in continua crescita,

sia per la realizzazione di solar farms

dalle quali ricavare energia da vendere immettendola in rete,

sia per la installazione di piccole unità produttive,

normalmente sui tetti di case o capannoni industriali,

per autoproduzione.

Si tratta di una delle crescite più alte mai mostrate

da un settore industriale nuovo, anche se a sostenerla

sono stati i programmi di incentivazione di vari governi nel mondo.

I costi di produzione prevedibili con le tecnologie più avanzate,

che stanno uscendo dai laboratori di ricerca, soprattutto americani,

rendono possibile il raggiungimento della cosiddetta grid parity

(ovvero un costo della energia elettrica prodotta con il fotovoltaico

non superiore a quello della energie da combustibili fossili).

Grandi paesi, quali la maggior parte di quelli del continente africano e l’India,

stanno vedendo nel solare fotovoltaico una straordinaria opportunità

di risolvere il problema endemico della scarsità di energia elettrica,

che rappresenta uno dei maggiori ostacoli a un loro sviluppo equilibrato.

Stiamo per assistere a un leapfrog tecnologico

pari a quello della telefonia cellulare.

Il progresso tecnologico sul fronte delle nuove batterie elettriche

può almeno in parte rendere meno delicato il problema della intermittenza

della energia di fonte solare.

Fattori negativi

Sono legati al quadro competitivo del settore che è ancora in fase di assestamento.

La nuova capacità produttiva, installata soprattutto dai Cinesi,

ha portato a un crollo dei prezzi, che ha messo in difficoltà

molti dei protagonisti del settore

(e non solo quelli occidentali, ma anche qualche cinese).

L’andamento in borsa dei titoli delle aziende quotate

è una prova evidente di queste difficoltà.

Le reti hanno difficoltà nell’inserire in rete quantità sempre maggiori

di energia intermittente, come quella proveniente dal sole.

Technology Review ha dedicato molta attenzione a tutti questi argomenti

e in questo dossier vogliamo ricordare gli interventi più significativi

apparsi in questo ultimo anno (2012) per ciascuno dei filoni sopra indicati.

Di particolare interesse i casi Solyndra (celle solari) e A123 (batterie per auto ai sali di litio), entrambe con tecnologie molto avanzate.

Queste aziende, sostenute da importanti contributi del governo americano,

rappresentano, con il loro fallimento, addirittura un grave rischio politico

per la rielezione del Presidente Obama.

Ma anche quello della cinese Suntech,

vittima forse proprio della sua grande espansione, è molto significativo.

Alessandro Ovi

Il dossier si articola in tre sezioni:

IL QUADRO COMPETITIVO E LE DIFFICOLTà AZIENDALI p. 4

LE NUOVE OPPORTUNITà TECNOLOGICHE p. 19

IL SOLARE E I PAESI CON INSUFFICIENTE ENERGIA p. 30

IL QUADRO COMPETITIVO E LE DIFFICOLTà AZIENDALI

La guerra nel commercio di tecnologia solare intacca le importazioni cinesi

http://www.technologyreview.it/index.php?p=article&a=2524

La Cina minaccia ripercussioni sulle tariffe imposte ai propri pannelli solari.

Kevin Bullis

La Cina sta avviando un’investigazione sulle possibilità che gli Stati Uniti abbiano sussidiato in maniera sleale materie prime destinate alla produzione di pannelli solari in Cina, o che i fornitori statunitensi abbiano venduto loro queste materie a prezzi maggiorati.

Questa mossa pare sia in risposta alle pesanti tariffe imposte recentemente dagli Stati Uniti ai pannelli solari importati dalla Cina, che costituirebbero una pratica impropria di mercato. Le tariffe avrebbero delle ripercussioni sulle importazioni dalla Cina, che secondo la Coalition for American Solar Manufacturing sarebbero crollate del 45 percento.

D’altro canto, almeno due aziende americane del solare, la Abound e Solyndra, hanno attribuito a pratiche commerciali improprie da parte dei cinesi la causa del proprio fallimento.

I duri giorni del solare

http://www.technologyreview.it/index.php?p=article&a=2526

Non è sufficiente avere una tecnologia affascinante. Le piccole aziende che operano nel solare hanno bisogno di modelli di business, partner ricchi e conoscenza nei processi produttivi.

Martin Lamonica

L’industria del solare ha fatto un ottimo lavoro nel ridurre i costi negli ultimi tre anni, dimezzando il costo per watt. Questa caduta libera nei prezzi però, guidata dalla produzione su larga scala da parte dei costruttori cinesi, ha messo a rischio dozzine, se non centinaia di aziende. Per sopravvivere, le aziende più giovani stanno cambiando radicalmente la propria strategia che fino a pochi anni fa sembrava sicura. Il pericolo è chiaro. La Abound Solar ha chiuso all’inizio dell’estate semplicemente perché non riusciva a rimanere al passo della frenetica riduzione nei costi dell’industria. Il suo trapasso segue le orme del collasso di Solyndra, le bancherotte, le centrali chiuse e le ristrutturazioni di molti fornitori nel mercato.

Come possono quindi sopravvivere le aziende nel solare? La sida non sta nella mancanza di innovazione o finanziamenti. Negli Stati Uniti, innovative startup nel solare hanno attirato miliardi di dollari in venture capital e fondi governativi. Pur disponendo delle tecnologie più affascinanti, i giocatori più piccoli devono risolvere le problematiche legate all’ampliamento della propria capacità produttiva e scontrarsi nel frattempo con i grandi fornitori, che dispongono di grandi capitali. La storia della 1366 Technologies di Lexington, nel Massachusetts, è un esempio di quanto sia difficile inserire una nuova tecnologia in un mercato di fornitori cosi volatile. Tra le tante startup più giovani, questa spin-off del MIT ha saputo giocare le proprie carte in maniera adeguata.

A differenza delle startup che hanno speso grandi quantità di denaro nello sviluppo delle attrezzature necessarie a produrre nuovi tipi di celle solari in pellicole flessibili o pannelli, la 1366 Technologies si è concentrata sul miglioramento degli attuali processi di produzione delle celle in silicio, che sono predominanti al momento, affrontando cosi un grande problema: il costo elevato del silicio per applicazioni nel solare. L’azienda ha sviluppato un processo per realizzare un wafer in silicio da sei pollici direttamente da una colata di silicio. Il processo elimina una serie di passaggi intermedi e riduce della metà il costo di realizzazione dei wafer di silicio. Questi wafer vengono quindi trasformati in celle solari e connessi tra di loro per formare un pannello solare.

Le condizioni del mercato oggi sono però cambiate drasticamente, è messa alla prova. Da quando la 1366 Technologies è nata quattro anni fa, il prezzo del silicio policristallino è calato da centinaia di dollari a meno di venticinque dollari il chilo. A questo prezzo la strategia della 1366 Technologies risulta meno attraente, visto che un taglio nei costi di produzione dei wafer in silicio o delle celle ha un impatto minore sul costo del prodotto finito. Il CEO della 1366 Technologies, Frank van Mierlo, ha ammesso che l’azienda è stata colta di sorpresa dal crollo nei prezzi del silicio policristallino nell’ultimo anno. Ciononostante, la centrale dimostrativa da 30 megawatt prevista dovrebbe riuscire a vendere wafer in silicio a prezzi competitivi. Il processo sviluppato dall’azienda comporta inoltre un costo capitale inferiore, poiché richiede meno macchinari, e una resa migliore.

Finora l’azienda ha contenuto i costi e dovrebbe riuscire a operare tranquillamente fino al 2015. La centrale dimostrativa sarà autofinanziata senza attingere al prestito di 150 milioni di dollari garantitole dal DOE per una centrale da 1.000 megawatt, per la quale saranno comunque necessari più fondi. L’azienda avrebbe inoltre trovato un partner strategico nel gigante industriale coreano Hanwha Chemical, che potrebbe acquistare parte dei wafer che verranno prodotti.

Altre aziende stanno intraprendendo strade diverse, riconoscendo le difficoltà nel mercato. La Twin Creeks Technologies è una startup di San Jose, in California, che ha sviluppato un altro processo produttivo che dimezza il costo delle celle utilizzando meno silicio. Anziché produrre le celle in proprio, intende vendere la propria attrezzatura specializzata a produttori in cerca di un vantaggio competitivo. Un’altra strategia consiste nel realizzare un prodotto altamente differenziato.

La startup Solexel, con sede nella Silicon Valley, ha dichiarato che entro il 2014 riuscirà a produrre grandi volumi di celle solari ad appena 42 centesimi per watt. Marc Kerstens, direttore dell’ufficio vendite e marketing, sostiene che il prezzo non costituisce l’unico vantaggio della tecnologia aziendale. L’efficienza risulta più elevata rispetto alle convenzionali celle in silicio, l’estetica dei pannelli è appagante e ogni cella può venire controllata singolarmente. L’altro requisito alla sopravvivenza sta nel disporre di grandi quantità di denaro, non solo dal venture capital, ma anche da investitori strategici, quali le grandi imprese industriali o i produttori di energia solare.

Per commercializzare la propria tecnologia basata su pellicole sottili, la start up Stion ha siglato degli accordi con due produttori asiatici che le hanno permesso di portare il proprio prodotto dal laboratorio al mercato senza dover raccogliere enormi finanziamenti da sola. La TMSC di Taiwan ha investito nell’azienda e realizzato la sua prima generazione di prodotto. Dopo, Stion ha ricevuto un nuovo investimento dalla coreana Avaco per produrre la successiva generazione di pannelli. Oltretutto, l’azienda ha beneficiato degli incentivi per produrre i propri pannelli nel Mississippi.

Anche la Solexel ha rivisto la propria strategia aziendale in risposta agli elevati costi per espandere la produzione. Anziché realizzare pannelli completi, si è dedicata alle proprie celle, per le quali ha intenzione di formare una joint venture e relegare a terzi la produzione dei pannelli.

Disponendo di fondi sufficienti a rimanere a galla un paio di anni, la 1366 Technologies continua a seguire il piano di piazzare i propri wafer in silicio nella catena di montaggio di altre aziende.

Qualora i risultati non dovessero risultare dei migliori, alcune imprese del settore potrebbero decidere di vendere ad altri costruttori le licenze per le proprie tecnologie, per quanto questa costituisca in assoluto la soluzione meno interessante dal punto finanziario. Diverse aziende hanno preso tempo addietro la decisione di scommettere su nuove tecnologie per avvicinare maggiormente il costo dell’energia solare a quello dei combustibili fossili. Alla fine, però, i problemi nel mercato potrebbero travolgere persino il loro vantaggio tecnologico.

Difficoltà economiche per la A123

http://www.technologyreview.it/index.php?p=article&a=2440

Nuovi problemi per l’azienda produttrice di batterie agli ioni di litio.

Kevin Bullis

Non vanno bene i conti della A123 Systems, la società produttrice di batterie a ioni di litio, fondata 10 anni fa, sulla base di una tecnologia sviluppata in un laboratorio del MIT.

Nell’ultimo trimestre, rispetto al precedente, la A123 ha dichiarato una perdita di 40 mil. di dollari in più (pari a 125 mil. di dollari), e ricavi in discesa a 11mil. di dollari da 40mil. di dollari.

La sua liquidità è scesa in un anno da 183 mil. di dollari a 113mil. di dollari.

La sua situazione è così difficile da far nascere dubbi nei suoi auditors circa la sua “continuità aziendale”. La cattiva prestazione della A123 va attribuita soprattutto al fatto che è stato necessario sostituire un gran numero di batterie difettose vendute ai clienti lo scorso anno. Anche se questi costi di ‘sostituzione verranno sostenuti in una serie di trimestri successivi, l’amministrazione di A123 ha preferito spesarne l’intera somma nel bilancio di quest’ultimo trimestre.

Anche senza questo fatto particolare, tuttavia, la A123 continuerebbe ad avere problemi. I suoi costi di produzione sono molto alti e la società perde su ogni batteria che vende.

è stato stimato che la società perda 57 centesimi di dollari per ogni dollari di ricavo. Per sopravvivere le sarà necessario procedere ad un rifinanziamento di almeno 50 mil. di dollari e molto probabilmente a cercare forme di partnership con altre aziende.

Gli Stati Uniti e le energie rinnovabili

http://www.technologyreview.it/index.php?p=article&a=2468

Entro il 2050 l’energia degli Stati Uniti potrebbe derivare per l’80 per cento da risorse rinnovabili. E non sarebbero necessarie tecnologie avanzate per arrivarci.

Kevin Bullis

La NREL Interactive mostra i kilowatt-ora che le energie rinnovabili potrebbero arrivare a sviluppare negli Stati Uniti.

Non sarà economico, o facile, ma stando a un Rapporto del National Renewable Energy Laboratory entro il 2050 gli Stati Uniti potrebbero arrivare a ricavare l’ottanta percento della propria elettricità da risorse rinnovabili. Ryan Wiser, uno degli autori, ci ha spiegato che non sarebbero neppure necessarie particolari innovazioni tecnologiche dato che il rapporto è stato stilato utilizzando le tecnologie esistenti come punto di riferimento. Da notare il fatto che altri paesi come la Germania stiano cercando di raggiungere simili traguardi nel futuro.

Il massiccio Rapporto da 850 pagine in quattro volumi della NREL non è una previsione di quanta energia rinnovabile verrà utilizzata bensì una stima della fattibilità per gli Stati Uniti di operare attraverso risorse rinnovabili, molte delle quali sono, per natura, intermittenti e difficili da prevedere. Gli autori sostengono che la risposta sia positiva grazie al fatto che gli Stati Uniti sono un paese grande che dispone di svariate fonti di energia rinnovabile. Il Rapporto presume che il 50

per cento dell’energia del paese deriverebbe da eolico e solare, mentre il restante 50 percento verrebbe coperto da biomasse, idroelettrico e geotermico convenzionale.

Il sistema più diretto per rendere compatibili diverse fonti di energia consiste nell’immagazzinare questa energia fino a quando non diventa necessaria, ma gli attuali sistemi sono costosi o geograficamente limitati, e costruire un numero di batterie sufficiente ad alimentare città e fabbriche con l’energia accumulata potrebbe rivelarsi impossibile. Stando al Rapporto, sarà necessaria una capacità di immagazzinamento pari ad almeno il 10 percento della capacità produttiva, un valore ancora elevato ma fattibile.

La varietà di fonti energetiche dovrebbe però essere trattata in maniera differente. Una soluzione consisterebbe nello sfruttamento geografico di ciascuna risorsa. Realizzando linee di trasmissione è possibile trasportare l’energia dai luoghi più soleggiati o ventosi – in base al variare di ora in ora o di stagione in stagione di queste risorse – fino ai luoghi in cui è più richiesta. “Le risorse rinnovabili sono sufficientemente diverse e distribuite sul territorio per riuscirvi”, afferma Wiser.

Anche programmi di domanda-risposta potrebbero contribuire. Ricorrendo a comunicazioni nella smart grid, le aziende potrebbero segnalare ai consumatori di ridurre il consumo durante periodi con mancanza di vento o con cielo coperto, quando la produzione diminuisce, in cambio di qualche forma di compenso. Ciò potrebbe essere realizzato automaticamente tramite sistemi intelligenti – che stanno oggi cominciando a diffondersi – che modificano le proprie operazioni sulla base dei segnali di costo inviati dalle società elettriche.

I ricercatori stimano che un simile progetto potrebbe essere realizzato a un costo tra i 2.5 e i 5 centesimi per kilowatt ora in più rispetto al costo medio dell’elettricità ricavata da sistemi convenzionali. Negli Stati uniti, attualmente il costo dell’elettricità si aggira in media intorno ai 10 centesimi per kilowatt ora. Secondo Wiser, il modo migliore per mantenere basso il costo sta nell’investire in ricerca e sviluppo.

Come salvare le start up delle energie rinnovabili

http://www.technologyreview.it/index.php?p=article&a=2529

Dopo una serie di clamorosi fallimenti, la lotta per la sopravvivenza delle start up nel settore delle energie rinnovabili si fa più intensa.

David Rotman

Il programma di incentivi del Ministero dell’Energia (DOE) Americano, fulcro dello sforzo del governo per aiutare l’industrializzazione e la commercializzare delle nuove tecnologie per la produzione di energia, è in crisi.

La sua reputazione è stata distrutta dal fallimento di Solyndra, un’azienda fotovoltaica di Silicon Valley che ha dichiarato bancarotta lo scorso settembre, dopo aver ricevuto, nel 2009, la garanzia per un prestito di 535 milioni di dollari.

Un altro destinatario di un prestito da parte del DOE per 43 milioni dollari nel mese di agosto del 2010, Power Beacon, è andato in bancarotta alla fine dell’anno scorso. E un certo numero di start up di altre fonti energetiche che hanno ricevuto prestiti federali, sembra in difficoltà finanziarie.

Lo scorso febbraio, Abound Solar, una società del Colorado che ha ricevuto una garanzia per 400 milioni di dollari, ha annunciato che stava chiudendo la sua produzione iniziale e licenziando 180 lavoratori. La conseguenza di queste difficoltà è stata che poche start-up in questi giorni includono contributi del DOE nei loro piani aziendali.

Le ragioni della crisi del programma sono numerose. Le complessità burocratiche e logistiche nel distribuire in modo rapido e intelligente 35 miliardi di dollari per tecnologie energetiche pulite “innovative e avanzate”, erano, almeno in retrospettiva, prevedibili. Le difficoltà del programma di prestiti del DOE riflettono però un problema più grande e fondamentale: l’energia è un settore altamente competitivo dominato da società consolidate, dove infrastrutture e commercializzazione di nuove tecnologie energetiche richiedono molto più di una infusione di denaro. Industrializzare innovazioni nella produzione di energia richiede anche acume nel capire i mercati.

Infatti, Solyndra è un caso di studio quasi perfetto Ha speso troppo e troppo in fretta. Oltre ai 535 milioni dollari dal DOE, la società ha raccolto oltre 1,2 miliardi dollari da investitori privati, tra cui alcune delle più importanti aziende di venture capital.

Ciò che a Solyndra è mancato, però, era esperienza di mercato e flessibilità produttiva. Sebbene la società avesse subito attraversato quello che gli imprenditori della Silicon Valley chiamano “la valle della morte” (ovvero il periodo tra la raccolta di un finanziamento iniziale di rischio e l’inizio dei ricavi) ha però esitato ad avviare una valida politica commerciale di lungo termine. Se c’è una lezione dalla debacle di Solyndra, questa ha a che fare con cercare di fare troppo, troppo in fretta e di farlo da soli.

L’epoca in cui una società come Solyndra poteva mettere insieme più di un miliardo di dollari in finanziamenti, attraverso una combinazione di venture capital, prestiti e finanziamenti governativi, è chiaramente finita. Le start up di oggi devono affrontare la sfida sempre più difficile di raccogliere le ingenti somme necessarie per industrializzare le loro tecnologie, sapendo bene che il tentativo di farlo da sole è rischioso. Trovare il modo per superare questo problema è particolarmente importante, perché una nuova generazione di aziende per l’energia pulita, (molte inizialmente finanziate durante il boom di investimenti in clean-tech dal 2005 al 2008) sono pronte ad avviare l’industrializzazione. Con i venture capitalists che hanno perso il loro appetito per il rischio elevato dell’energia pulita, come possono sopravvivere queste start up?

Per molte di loro la soluzione è quella di trovare opportunità per cooperare con grandi aziende nel settore dell’energia al fine di garantirsi l’accesso a mercati e a competenze ingegneristiche. Questa strategia è un riconoscimento che il modello del venture capital è poco adatto alla creazione di imprese del settore energetico.

La maggior parte dei fondi di venture capital, infatti, cerca di investire non più di 20-30 milioni di dollari in una società, e al fine di realizzare un profitto ha bisogno di una exit strategy, sia vendendo la società o collocandola in borsa con un’offerta pubblica (OPA) entro 10 anni.

“Questo modello di investimento è molto specifico”, dice Ramana Nanda, professore presso la Harvard Business School, “che funziona bene in settori quali i social networks, o le società internet in generale, dove le start-up, in genere, richiedono un piccolo capitale e raramente molto tempo per avere successo o fallire”.

Al contrario, la creazione di una società di successo nell’energia ha bisogno di grandi quantità di capitali e può richiedere decenni.

Una parola: biotech

Una maggiore collaborazione tra le piccole imprese e le grandi aziende ha un senso evidente. Le imprese energetiche e manifatturiere hanno l’esperienza ingegneristica e di mercato, mentre le grandi imprese spesso non hanno spirito imprenditoriale e la creatività per inventare tecnologie veramente innovative.

Il successo di molte aziende biotech negli ultimi due decenni, suggerisce come tali collaborazioni siano in grado di funzionare. Come le aziende nel settore dell’energia pulita, le start-up biotech affrontano un processo di commercializzazione lungo e costoso per i loro prodotti. Ma molte di queste aziende hanno preferito evitare questo processo facendo di se stessi “bersagli allettanti’ per le grandi aziende farmaceutiche. L’acquisizione di start-up da parte di aziende farmaceutiche, disperatamente alla ricerca di nuove tecnologie innovative, ha alimentato gran parte della crescita del settore biotech. Così facendo, hanno offerto ai venture capitalists un modo redditizio per recuperare i loro investimenti molto prima che le aziende nascenti avessero a che fare con le spese e le difficoltà di industrializzare o commercializzare le loro tecnologie. A loro volta, queste “uscite lucrative” per gli investitori di venture capital, hanno fornito forti incentivi a investire nel prossimo ciclo di aziende al primo stadio. “è un circolo virtuoso,” dice Nanda.

Il circolo virtuoso nel settore biotech ha però richiesto anni per svilupparsi, e questo per le tecnologie dell’energia pulita non è ancora partito. Forse la differenza più notevole è che l’energia, a differenza di nuovi farmaci, è una merce in un settore maturo, e i prodotti delle nuove tecnologie in generale competere sul prezzo. Il valore di molte tecnologie di energia pulita, come ad esempio nuovi tipi di batterie o celle solari, sta nel fatto che possano fornire energia a costi più bassi, e dimostrare che ciò è vero prima di aver realizzato impianti su scala industriale non è possibile in tempi brevi. Spesso ci vogliono anni di test in costosi grandi impianti dimostrativi. Così, mentre le aziende farmaceutiche possono pagare cifre molto alte per acquisire una start up, nella speranza di offrire finalmente un farmaco nuovo dove il prezzo non è il fattore limitante se l’innovazione è reale, le aziende energetiche non hanno alcun incentivo di questo tipo.

William Banholzer, vice presidente esecutivo di Dow Chemical e chief technology officer, dice: “Le start up hanno spesso aspettative poco realistiche su ciò che noi pagheremo. Non capiscono quanto lavoro ci vuole per commercializzare il loro prodotto. Stiamo parlando di tempi che sono in genere decenni, non anni”. Tuttavia, alcuni produttori, tra cui Dow Chemical, sono disposti a investire in start up nelle energie pulite per ampliare il loro portafoglio di tecnologie emergenti. GE, per esempio, ha assunto partecipazioni di minoranza in start up nel corso degli ultimi cinque anni.

Gli investimenti, dice Mark Little, vicepresidente senior e chief technology officer di GE, sono pensati sia per guadagnare, che per fornire “una finestra sulle tecnologie interessanti”. GE vuole esplorare la fattibilità e l’impatto potenziale di una vasta gamma di progetti. Investe 4,6 miliardi dollari all’anno per conto proprio in R&D, ma secondo Little acquisire la conoscenza delle tecnologie al di fuori è un sistema altrettanto valido.

Vi sono segnali che alcune start-up nel settore energia stanno concentrandosi più nettamente sulle loro innovazioni fondamentali, cercando di rendersi partner più interessanti per le grandi imprese.

Modello in evoluzione

A una rapida occhiata, la società Stion ha molte cose in comune con Solyndra. Entrambe sono state fondate a metà degli anni 2000 e sono state appoggiate da alcuni dei più importanti investitori della Silicon Valley. E come Solyndra, anche Stion ha tentato di produrre celle fotovoltaiche sulla base di seleniuro di indio rame gallio (CIGS), sperando che la tecnologia nascente sia più efficiente delle altre. Ma mentre Solyndra si è precipitata a industrializzare su grande scala la sua tecnologia, Stion ha scelto un percorso molto più prudente. Il suo primo impianto produttivo di considerevoli dimensioni è entrato in funzione nel settembre 2011, proprio quando Solyndra stava chiudendo.

Forse la cosa più importante è che, mentre Solyndra è andata avanti da sola, Stion ha stretto accordi con due produttori asiatici. TSMC, il più grande produttore (foundry) di semiconduttori al mondo, e Avaco, un produttore sudcoreano di attrezzature per la produzione di schermi piatti,hanno investito nella società. Non solo la collaborazione fornirà a Stion capitali, ma aiuterà anche l’ingegneria e know-how produttivo. TSMC e Avaco avranno accesso alle innovazioni di Stion nei materiali e nella progettazione delle celle solari. “Le start-up nel settore dell’energia che ce la fanno sono quelle in grado di creare partenariati significativi con grandi aziende”, afferma Jim Matheson, un general partner di Flagship Ventures. Matheson è il regista di Mascoma, una società che per anni ha cercato di raccogliere i fondi per un impianto su scala commerciale dove produrre biocarburanti dalla cellulosa, con un nuovo processo per trasformare la biomassa in etanolo.

Alla fine dell’anno scorso ha firmato un accordo con Valero Energy, società petrolifera di grandi dimensioni e produttrice di etanolo, che fornirà la maggior parte del finanziamento di 232 milioni dollari necessario alla realizzazione di un impianto a Kinross, Michigan, per produrre etanolo cellulosico, e aiuterà a gestire l’impianto.

Tali operazioni stanno contribuendo a un modello in evoluzione per il venture capital energetico. “Abbiamo saputo investire in start up d’Internet. Sappiamo come investire nel biotech, ma quanto a energia, dobbiamo tutti ancora trovare la nostra strada”, dice Hemant Taneja, amministratore delegato di General Catalyst, che sta investendo in Mascoma e Stion.

In un certo senso, questo significa rinunciare al desiderio di Silicon Valley, un tempo molto pubblicizzato, di reinventare l’industria energetica e insidiare la posizione consolidata delle imprese già insediate. Si tratta però di una ambizione senza possibilità di realizzazione. Gli investitori in venture capital e start up devono riconoscere quanto tempo e denaro siano necessari per affermare tecnologie veramente innovative di energia pulita, rendendosi conto del valore di lavorare a stretto contatto con le grandi imprese che dominano il settore e lo domineranno nel prossimo futuro.

La A123 scopre nella Cina la linfa vitale

http://www.technologyreview.it/index.php?p=article&a=2560

Il fabbricante di batterie agli ioni di litio sta firmando un accordo per un investimento fino a 450 milioni di dollari da parte di un produttore cinese di componenti per automobili.

Martin Lamonica, Narayanan Suresh

La A123 Systems ha recentemente annunciato il raggiungimento di un accordo che potrebbe arrivare a garantirle un investimento di fino a 450 milioni di dollari da parte del produttore cinese di componenti per automobili Wanxiang.

L’azienda, che ha la sua sede storica a Waltham, nel Massachusetts, ha dichiarato di aver siglato una nota di accordi secondo i quali Wanxiang fornirà un finanziamento a debito e un’estensione di credito. Una volta raggiunte determinate condizioni, Wanxiang investirebbe quindi 200 milioni in azioni della dell’A123 Systems. Secondo un rapporto, l’investimento complessivo garantirebbe all’azienda cinese il controllo dell’ottanta percento dell’A123 Systems.

L’accordo contribuirà a rimuovere le incertezze sul futuro dell’A123 Systems, che ha registrato perdite rilevanti a causa delle minori vendite delle automobili elettriche rispetto alle aspettative e di una serie di inconvenienti tecnici. “Questo considerevole investimento da parte della Wanxiang ci garantirebbe stabilità economica e ci metterebbe in linea con un grande marchio globale di successo nell’industria dell’automobile e delle tecnologie pulite”, ha commentato il CEO, David Vieau.

In una presentazione agli investitori, Vieau ha dichiarato che la partnership con Wanxiang contribuirà a migliorare la posizione della A123 Systems sia nel mercato delle vetture elettriche che in quello dell’immagazzinamento di elettricità. Potrà inoltre beneficiare dell’esperienza della Wanxiang nelle catene produttive. Secondo la A123 Systems, con entrate superiori ai 13 miliardi di dollari, Wanxiang costituisce la più grande produttrice di componenti per automobili ed una delle imprese non governative più grandi in Cina.

Senza un significativo investimento e un migliore accesso a mercati vitali per le vetture elettriche e l’immagazzinamento dell’elettricità, il futuro della A123 Systems non pare roseo. A luglio, l’azienda ha annunciato agli investitori di avere fondi per appena altri quattro mesi di attività prima di entrare in bancarotta. Nonostante ciò, sta continuando a sviluppare la propria tecnologia, con la quale potrebbe divenire più competitiva nel mercato. A giugno ha ultimato una nuova combinazione di elementi chimici che forniscono maggiore energia, una vita più lunga, e migliori prestazioni alle alte temperature. La A123 Systems spera di vendere questa tecnologia nei micro ibridi, nelle vetture elettriche o come energia di emergenza per le torri delle telecomunicazioni.

In una dichiarazione, il CEO del Gruppo Wanxiang, Weiding Lu, ha detto che l’investimento nella A123 Systems contribuirà nell’espansione dell’azienda nel mercato americano.

La controversia più discussa nel settore dell’energia

http://www.technologyreview.it/search.php?SZX=A123&action=ricerca_semplice&Input.x=0&Input.y=0

Alcuni osservatori temono che la A123 Systems, sostenuta da fondi federali, possa passare in mano alla Cine. L’azienda aveva però qualche altra alternativa?

Martin Lamonica

Per quanti avevano criticato il supporto del governo degli Stati Uniti alle aziende che operano nel settore delle energie rinnovabili, l’accordo appena siglato tra A123 Systems e il conglomerato Wanxiang è la dimostrazione di una politica sbagliata. Per A123 Systems e altre start up del settore, però, gli investitori asiatici potrebbero costituire l’unica alternativa alla bancarotta.

Il produttore di batterie elettriche, che il mese scorso aveva dichiarato di avere fondi sufficienti a sopravvivere appena fino a ottobre, ha raggiunto l’accordo con la divisione automobilistica della Wanxiang, con cui l’azienda cinese acquisirebbe la maggioranza delle azioni. L’accordo, che le due aziende sperano di sigillare entro la fine dell’anno, è strutturato sulla fornitura alla A123 Systems del tanto ricercato denaro per proseguire le operazioni e nell’ottenimento da parte della Wanxiang di buoni che verrebbero in seguito convertiti in azioni. Se il governo cinese e quello statunitense approveranno l’accordo, Wanxiang arriverà a possedere l’ottanta percento della A123 Systems in cambio di un investimento da 450 milioni di dollari.

L’azienda statunitense, che era entrata in borsa nel 2009, aveva raccolto intorno a 200 milioni di dollari in fondi di venture capital. Aveva inoltre ricevuto nel 2009 una concessione federale per un valore di 249 milioni di dollari al fine di realizzare una fabbrica di batterie agli ioni di litio nel Michigan e una catena di montaggio per batterie nei pressi di Romulus.

L’accordo con Wanxiang sta suscitando timori che i gioielli tecnologici americani passino in mani straniere a prezzi stracciati. Cliff Stearn, un rappresentante della Florida repubblicana che ha criticato l’amministrazione Obama per il supporto fornito alle aziende nel settore delle energie pulite, ha affermato che “il passaggio di proprietà intellettuali finanziate con i soldi dei contribuenti a un paese straniero costituisce seri problemi di sicurezza nazionale”.

La A123 Systems ha dichiarato che l’accordo è nel miglior interesse dei suoi azionisti, dei suoi dipendenti e della sua tecnologia. L’entrare a far parte di un grande conglomerato cinese favorirebbe l’accesso al mercato cinese delle vetture elettriche. Il denaro dal Dipartimento dell’Energia, che per metà è stato già speso, può ancora essere investito unicamente in aziende statunitensi. “Siamo fiduciosi nell’impegno della Wanxiang con gli Stati Uniti e riteniamo che questo rapporto ci aiuterà ad accrescere la nostra attività nel paese”, ha affermato il direttore marketing della A123 Systems, Dan Borgasano. “Riteniamo sia un fattore positivo”.

Negli ultimi tempi, gli investitori asiatici sono stati molto attivi nell’identificare le aziende del settore che necessitavano di supporto. Lo scorso anno, la Boston Power, un’azienda produttrice di batterie agli ioni di litio, ha spostato la propria base operativa in Cina e ha recentemente annunciato di avere firmato un accordo con una Casa automobilistica cinese per la fornitura dei propri blocchi batterie. Nel corso degli ultimi anni, i conglomerati asiatici si sono avvicinate a diverse piccole aziende nel settore dell’energia, tra cui il solare, le tecnologie smart grid e i combustibili fossili.

Per le start up, una partnership con una grande azienda promette un potenziale rapporto con un grande cliente e l’accesso a ulteriori fondi per sviluppare la propria tecnologia. In molti casi le multinazionali stanno aiutando a riempire il vuoto creatosi quando i venture capitalists hanno cominciato a lasciare il settore energetico, che necessita di finanziamenti per tempi molto lunghi.

Vi è una crescente domanda di prodotti nel settore dell’energia in Asia, dove i paesi in rapida crescita stanno investendo molto più pesantemente in infrastrutture legate al settore energetico rispetto agli Stati Uniti. La Cina in particolare si è mossa rapidamente per sviluppare fonti alternative su più fronti. Per le aziende che necessitano di capitali per crescere, quindi, il modo più proficuo potrebbe passare per l’Asia.

La Suntech, un tempo gloriosa, stenta oggi a sopravvivere

http://www.technologyreview.it/index.php?p=article&a=2563

Il gigante cinese del solare è in grave pericolo, ma neanche il suo collasso basterebbe a stabilizzare un mercato talmente rifornito.

Marin Lamonica

Il più grande fornitore di pannelli solari al mondo, la Suntech Power, con sede a Wuxi, in Cina, sta oscillando sull’orlo dell’insolvenza. Difficilmente l’icona di mercato cinese riuscirà a sopravvivere, ma il suo lamento è una testimonianza di come sia divenuto praticamente impossibile per alcuna azienda riuscire a vendere pannelli solari. Il fondatore della Suntech (nonché pioniere nell’industria del solare), Zhengrong Shi, è stato sostituito nel ruolo di CEO dall’ex capo finanziario, David King, un cinese americano che è entrato nell’azienda appena un anno fa.

Questo repentino cambiamento, quasi a sorpresa, è stato effettuato nel tentativo di sistemare le finanze della Suntech dopo quattro quadrimestri in perdita e un valore delle azioni dimezzato nell’ultimo anno.

L’azienda ha un devastante debito di oltre 2.2 miliardi di dollari, e sostiene di essere stata vittima della frode che ha coinvolto i progetti solari in Europa che avrebbero danneggiato ulteriormente il proprio bilancio.

Per certi versi, la Suntech sta soffrendo delle problematiche condizioni di mercato che ha contribuito a provocare. Per espandersi, infatti, ha assunto grandi prestiti ed ha espanso rapidamente la produzione per abbassare i costi dei pannelli solari e tenere il passo con i competitori. Ora però il mercato è ricoperto oltremodo di pannelli, e il produttore cinese leader sono oltre i termini dei finanziamenti.

Siamo di fronte a una situazione in cui persino le aziende tecnicamente più avanzate e affermate stanno operando in perdita. “Anche se la Suntech dovesse svanire nel corso di una notte, non creerebbe un effetto profondo e a lungo termine nel mercato”, dice l’analista Nathaniel Bullard presso il Bloomberg New Energy Finance. “Magari intimidirà gli altri, ma non sarà sufficiente a risolvere l’attuale dinamica nella catena della domanda e della fornitura”.

Il futuro di aziende ricoperte di debiti come la Suntech è incerto. L’azienda in questione potrebbe abbattere le spese per rimanere indipendente o potrebbe unirsi ad altre grandi aziende. Persino una qualche forma di copertura dei debiti da parte del governo cinese sarebbe possibile, visto che quella del solare è un’industria strategica in Cina e la Suntech è un’azienda rinomata.

Una simile mossa potrebbe però accentuare le tensioni nell’attuale situazione, che vede i produttori cinesi di pannelli solari accusati di deprezzamento dei prodotti e percezione sleale di sussidi governativi. “Vi sono già ripercussioni in corso, e una cancellazione del debito non farebbe che aggiungere ulteriori tensioni”, ha detto Mark Bachman, un importante analista presso la Avian Securities.

La Suntech ha dichiarato che il proprio cambiamento manageriale aiuterà Shi a concentrarsi su una strategia per navigare in un mercato turbolento e commercializzare la tecnologia sviluppata dai suoi laboratori. Ciononostante, il cambiamento pare avere ostacolato non poco Shi, il visionario che era riuscito a creare la Suntech con un finanziamento pari a 6 milioni di dollari da parte del governo locale di Wuxi.

Il passato da ricercatore in Australia, le credenziali tecniche e la concentrazione dell’azienda sull’innovazione hanno aiutato a differenziare la Suntech dalle altre aziende cinesi che operavano nel solare. Shi era pure parso scaltro finanziariamente.

Suntech era entrata nel mercato azionario di New York nel 2005, lanciando un segnale positivo agli investitori e ai finanziatori di progetti nel solare. Essendo però ora un’azienda pubblica registrata negli Stati Uniti, la Suntech deve rispondere di ulteriori obblighi di trasparenza e pressioni da parte degli investitori.

Tutte le aziende leader nella produzione di pannelli solari in Cina, Suntech inclusa, hanno sviluppato tecnologie avanzate per rendere sempre più efficienti le celle solari in silicio. Qualora uno di questi giganti dovesse cadere, le loro rispettive tecnologie andrebbero perse a meno che non vengano acquistate da altri competitori.

Con una disponibilità quasi doppia rispetto alla domanda di pannelli solari, non vi sono ancora stati segni positivi da che la Suntech ha cambiato guida. “Alcune di queste aziende dovranno per forza fallire perché il mercato riesca a sopravvivere e divenire nuovamente proficuo”, ha detto Bachman.

Commercial War o Coopetition?

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Cina, Stati Uniti, Europa: Il solare al centro di un grande confronto commerciale e tecnologico.

Alessandro Ovi

L’industria dei pannelli solari fotovoltaici è in grande fermento. Ci sono tre problemi che si intrecciano: mercato, capacità produttiva, tecnologie. Da qualche anno la domanda di nuove installazioni per produrre energia elettrica dal sole ha continuato a crescere in tutto il mondo a tassi molto elevati. L’Associazione Europea dei Produttori di Fotovoltaico (EPIA), stima che nei prossimi 5 anni crescerà ancora tra il 200 e il 400 per cento.

Il solare non rappresenta ancora che pochi punti percentuali del totale della potenza elettrica disponibile al mondo, perché fino a pochi anni fa era praticamente a zero. Però, già nel 2011 l’incremento della capacità produttiva globale di solare fotovoltaico è stato il più alto tra tutte le fonti di energia: ben 21,6 gigawatt elettrici, contro i 9.6 dell’eolico, e gli 8,8 di gas, mentre per tutte le e altre è stato zero o negativo.

La capacità produttiva di celle fotovoltaiche è però cresciuta molto più della domanda, soprattutto in Cina che oggi è salita a oltre il 60 per cento del mercato globale (80 per cento in Europa), mentre i prezzi sono crollati del 15/20 per cento l’anno. La conseguenza è stata una grave crisi nell’industria del settore in Europa e negli Stati Uniti. Q-cell, pochi anni fa la prima azienda tedesca, ha avviato la procedura fallimentare. First Solar, la n.1 americana e anche la più avanzata tecnologicamente, sta tagliando migliaia di posti di lavoro ed ha annunciato la chiusura della grande fabbrica a Francoforte. Altre aziende di minori dimensioni stanno facendo lo stesso.

Anche le start up americane più innovative sul fronte della tecnologia (Solyndra, Power Beacon, Abound Solar….), e sostenute dal programma di incentivi del Ministero dell’Energia da 2 miliardi di dollari, hanno sospeso l’attività, non tanto a causa dei prezzi troppo bassi della concorrenza, ma per aver cercato di far troppo, troppo in fretta, e da sole.

Esemplare è stato il caso Solyndra che, malgrado l’aiuto da oltre 400 milioni di dollari del governo, non è riuscita ad arrivare allo stadio di commercializzazione delle sue celle tecnologicamente avanzatissime. La logica conseguenza di questa situazione è stata l’avvio di un processo per dumping da parte di Stati Uniti ed Europa contro Cina. A marzo di quest’anno il Dipartimento per il Commercio Americano aveva dato un “giudizio preliminare” secondo cui la Cina stava “sussidiando in modo sleale” le esportazioni di celle fotovoltaiche e aveva fissato tasse all’importazione tra il 2,9 e il 4,7 per cento. A maggio è stato emesso il giudizio definitivo che la Cina opera in dumping sul mercato americano, aprendo perciò la strada a severe forme di tassazioni compensative. Nel giudizio vengono citate come principali imputati Suntech Power, il più grande produttore mondiale di celle fotovoltaiche, Trina Solar e altre 59 società cinesi del settore.

Ad avanzare la denuncia, è stata la Coalition for American Solar Manufacturing, una singolare associazione di sette società, le americane Helios Solar Works e Solar Work più altre quattro minori, guidate da Solar Word la più importante società tedesca con rilevante attività negli Stati Uniti. La risposta della Cina non è stata timida. Il 27 luglio ha definito l’intervento americano “protezionistico”, e ha accusato gli Stati Uniti d’incentivare illegalmente l’industria americana con contributi a fondo perduto, garanzie sui prestiti, sgravi fiscali, fondi per la formazione del personale, uso gratuito di terreni. L’indagine per provare queste accuse dovrebbe durare almeno un anno e si va ad aggiungere a una serie di altri casi importanti in altri settori in corso di valutazione alla Organizzazione Mondiale del Commercio (WTO), dalle automobili (Cina contro Stati Uniti) alle terre rare (Stati Uniti contro Cina). Quasi contemporaneamente, il caso delle celle solari contro i Cinesi è stato sollevato presso la Commissione Europea da EU Prosun, un gruppo di 20 società europee del fotovoltaico, ancora una volta guidate da Solar World. Pechino ha subito avvisato la Commissione che un’indagine in questo senso avrebbe scatenato una guerra commerciale.

Che ci sia tensione tra Stati Uniti ed Europa da una parte e Cina dall’altra, nell’industria del solare fotovoltaico, non deve stupire. La posta in gioco è molto alta. Questo è il settore industriale che quasi certamente avrà il più grande sviluppo non solo nel breve, ma anche nel lungo termine. Opera infatti su un mercato destinato ad allargarsi rapidamente in termini geografici, perché si comincia già a vedere che la diffusione del fotovoltaico tra le centinaia di milioni di persone prive di accesso all’elettricità in grandi aree come in india e in Africa, seguirà lo stesso andamento di crescita spontanea dei telefoni cellulari. Ma anche dove le reti elettriche sono ben diffuse, come in Europa, è probabile una penetrazione sempre più profonda del solare fotovoltaico, man mano che il costo del KWh così prodotto, si avvicina a quello delle fonti tradizionali (grid parity), anche senza incentivi. Gli ottimisti dicono 5 anni, i pessimisti 10. Anche se tutto ciò ovviamente rende la “guerra commerciale feroce”, prima o poi il negoziato in ambito WTO porterà ad una soluzione sul fronte dei prezzi e delle compensazioni, magari “incrociate” tra settori diversi.

“Business as usual” quindi, si potrebbe essere tentati di dire, se non subentrasse una riflessione importante sul fronte della tecnologia. Primo, è singolare che sia negli Stati Uniti che in Europa, l’iniziativa che sta avviando la guerra commerciale con la Cina, sia stata tutta tedesca, con Solar World, non certo la più avanzata sul fronte tecnologico, al livello dei Cinesi di Sun Tech, Trina, Canadian Solar, Yingli. La guerra sui prezzi, quindi, la fa chi è meno attrezzato tecnologicamente.

Secondo, la quantità di innovazione presente nei laboratori occidentali, soprattutto americani è rilevantissima, ma dopo i clamorosi insuccessi, come nel caso Solyndra, del mix di finanziamenti pubblici e venture capital, il trasferimento dal laboratorio al mercato è andato in stallo.

A Silicon Valley sta facendo strada l’idea che nel fotovoltaico, prima di provare a livello industriale la maggior efficienza ed il minor costo di una tecnologia davvero innovativa, sia necessario passare dal grande investimento (centinaio di milioni) di un impianto pilota su scala industriale, e dalla disponibilità di competenze di ingegneria manifatturiera e di reti commerciali non alla portata di una start up che voglia fare tutto da sola partendo da zero. Pur senza essere certo una start up, sta già facendo così la giapponese Sharp in 3Sun (a Catania), dove con ST ed ENEL sviluppa, su grande scala industriale, la tecnologia molto avanzata del “silicio a tripla giunzione”.

A Silicon Valley si stanno convincendo che, di fronte ai tempi lunghi e ai grandi investimenti necessari a costruire il successo industriale di una start up innovativa nel fotovoltaico, conviene sfruttare le grandi opportunità di una collaborazione profonda e ben strutturata con qualche grande società già consolidata nel settore energetico. Questa è già la strada maestra nel biomedicale, soprattutto nel farmaceutico. Perché non nel fotovoltaico? E, perché non con una cietà cinese, magari già quotata a Wall Street?

LE NUOVE OPPORTUNITà TECNOLOGICHE

Una start up fabbrica celle solari “sfogliabili”

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Ridurre gli sprechi e rendere le celle solari più efficienti: lo promette Astrowatt, che ha messo a punto una nuova tecnica di produzione dei wafer.

Kevin Bullis

Oggi, la maggior parte delle celle solari sono realizzate con un processo che spreca quasi la metà del materiale grezzo di partenza trasformato in silicio cristallino. Un nuovo processo sviluppato da Astrowatt mira a ridurre questi sprechi e a rendere le celle solari più efficienti.

La produzione convenzionale di celle solari richiede che un blocco di silicio cristallino venga affettato in wafer di circa 180 micrometri di spessore. Poiché i tagli hanno lo spessore di 100 a

150 micrometri , questo finisce in “segatura” che non può venire riutilizzata. Con il processo convenzionale, un millimetro di silicio può produrre tre wafer per celle solari. Astrowatt sostiene di riuscire a ricavare cinque o più wafer dalla stessa quantità di materiale sostituendo il taglio con una tecnica ingegnosa, che ricava “bucce” di sottili strati di silicio dello spessore di un wafer, consentendo di raddoppiare la produzione.

Astrowatt è una delle società che sperano di ridurre sostanzialmente la quantità di silicio necessaria per produrre celle solari. Anche se il prezzo del silicio è sceso negli ultimi anni, è ancora l’elemento più costoso nella produzione di pannelli solari. l processo Astrowatt inizia segando un blocco di silicio in wafer relativamente spessi, ognuno dei quali circa un millimetro di spessore. L’azienda modifica quindi la parte superiore di ciascun wafer in modo che possa agire come parte posteriore di una cella solare, un processo che termina con deposizione di uno strato di metallo sul wafer.

Successivamente, il wafer viene riscaldato, provocando sollecitazioni nel materiale perché il metallo e silicio si espandono a velocità diverse. Applicando un cuneo al bordo del silicio così ‘stressato’ si innesca una fessura che si propaga da un bordo all’altro, consentendo il distacco di un film metallico coperto da un sottile strato di silicio (2 micron).

Fondamentalmente, la struttura cristallina del silicio permette alla fessura di propagarsi uniformemente attraverso l’intero wafer, e, dato che il silicio è flessibile, non si rompe mentre si stacca. Il film di metallo-silicio risultante viene poi ulteriormente lavorato per formare la parte anteriore di una cella solare. L’intero processo viene ripetuto, aggiungendo successivi strati di 25-micron. Il wafer rimanente può essere usato per fare cella solari convenzionali , oppure può essere riciclato nel forno che produce i blocchi di silicio. A differenza della segatura, il wafer resta di alta qualità sufficiente per venire riciclato.

Esistono altre aziende che lavorano in questo senso, ma altri approcci tendono a produrre wafer fragili, non utilizzabili con le apparecchiature esistenti per la produzione di celle. Secondo Rajesh Rao, direttore tecnico di Astrowatt, il supporto in metallo sugli strati di silicio li rende più resistenti. La società ha dimostrato la tecnologia in laboratorio, facendo wafer di otto pollici di larghezza e celle solari di piccole dimensioni che hanno efficienza di quasi il 15 per cento . Sono un poco meno efficienti delle tradizionali celle solari in silicio cristallino, ma i ricercatori non hanno ancora applicato tutti i metodi noti per aumentare l’efficienza delle celle al prodotto Astrowatt.

Non c’è dubbio che queste celle potrebbero teoricamente raggiungere una maggiore efficienza rispetto alle celle solari al silicio convenzionali perché sono più sottili, il che rende più facile per gli elettroni per uscire dalla cella per generare elettricità.

Il passo successivo è quello di dimostrare il processo su scala industriale. Non si prevedono grandissime difficoltà perché quasi tutte le fasi del processo possono essere eseguite su macchine già presenti in fabbriche di celle solari.

Finora, Astrowatt ha raccolto un finanziamento privato ancora riservato in un primo giro di investimenti in venture capital, insieme a 1,5 milioni dollari dalla Sunshot Initiative dello US Department of Energy, che mira a rendere l’energia solare competitiva con l’elettricità da combustibili fossili.

L’approccio presenta alcuni inconvenienti. I film di metallo-silicio tendono a “raggomitolarsi” leggermente, il che li rende piuttosto difficili da gestire in una linea di produzione convenzionale. Inoltre, a differenza di altri approcci, questo non elimina completamente la necessità di un blocco di silicio cristallino di partenza , anche se riduce notevolmente la quantità di taglio necessaria.

Altri approcci, come quello sviluppato dalla start up Technologies 1366 cercano di eliminare del tutto questi passaggi e potrebbero ridurre ulteriormente i costi di produzione ma sono ancora lontani dalla realizzazione fuori dal laboratorio.

Il balzo in avanti delle celle solari in plastica

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Un dispositivo economico basato su un polimero ha infranto un record raggiungendo un’efficienza del 10.6 percento.

Katherine Bourzac

Una cella solare da record, realizzata sulla base di un polimero da parte di un gruppo di ricercatori della University of California a Los Angeles, è in grado di convertire il 10.6 percento dell’energia solare in elettricità, superando il record precedente del 8.6 percento stabilito dallo stesso gruppo nel luglio dell’anno scorso. Le celle solari in polimero sono flessibili, leggere e potenzialmente economiche, ma le loro prestazioni sono inferiori rispetto a quelle delle celle tradizionali realizzate in materiali inorganici quali il silicio. Il traguardo dei ricercatori, guidati da Yang Yang, docente di scienze e ingegneria dei materiali presso la UCLA, è quello di realizzare una cella solare in polimero capace di competere con le sottili pellicole in silicio La cella da record di Yang, che ricorre ad un innovativo polimero fotovoltaico sviluppato dall’azienda giapponese Sumitomo Chemical, è la dimostrazione che questo progetto sta avanzando positivamente.

La nuova cella solare combina due strati che operano con diverse bande di luce: un polimero che interagisce con la luce visibile ed uno che opera con la luce infrarossa. “Lo spettro luminoso è molto ampio, ed una singola cella solare non può coprirlo interamente,” spiega Yang.

Anche le migliori celle solari su base inorganica vengono prodotte in multistrati, ma la loro realizzazione si è dimostrata difficile. Come precisa Alan Heeger, Premio Nobel nel 2000 per la co-scoperta dei polimeri conduttivi, i polimeri possono essere stampati per soluzione come l’inchiostro su un foglio di carta, e ciò costituisce il vantaggio principale della tecnologia. “Non si ha a che fare con alte temperature e la produzione è semplice”, commenta. Identificare i solventi adatti per stampare ciascuno strato senza corrompere lo strato inferiore è però un’operazione complicata. Combinare le proprietà elettriche di ogni strato è un’altra sfida, cosi come la loro adesione.

Yang afferma di voler realizzare una cellula solare polimerica con un’efficienza del 15 per cento. Accenna però che l’efficienza tende a calare di un terzo quando le celle solari escono dal laboratorio e vengono vendute in moduli. Una cella solare polimerica con un’efficienza del 15 per cento in laboratorio porterebbe quindi a un modulo con un’efficienza del 10 per cento, che secondo Yang sarebbe sufficiente a permettergli di competere con le sottili pellicole in silicio.

Obiettivo: dimezzare i costi delle celle solari

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Un acceleratore di ioni ad alta energia consente di produrre sottili celle solari al silicone.

Kevin Bullis

La Twin Creek Technologies, una nuova azienda che ha operato in segreto fino a oggi, ha sviluppato un metodo per produrre sottili wafer di silicone cristallino che si dice potrebbe ridurre della metà i costi di produzione delle celle solari al silicio. Questa tecnologia è stata applicata in una piccola fabbrica di celle da 25 Mw/anno a Senatobia, nel Minnesota.

Siva Sivaram, il CEO della Twin Creek, dice che questa tecnologia riduce sia la quantità di silicio richiesto, sia il costo degli apparati produttivi. Siva sostiene che l’azienda è in grado di produrre celle solari a circa 40 centesimi per watt, in confronto agli attuali 80 centesimi per le celle solari più economiche presenti sul mercato. La Twin Creeks ha raccolto 93 milioni di dollari, in aggiunta a prestiti dallo Stato del Mississippi e altre fonti, per costruire la fabbrica solare.

Il metodo convenzionale per produrre i wafer di silicio cristallino, che rappresentano il grosso delle celle solari, implica il taglio di blocchi o cilindri di silicone in wafer dallo spesso di 200 micrometri. Questo processo porta a uno spreco di circa la metà del silicone iniziale. L’industria utilizza wafer fa 200 micrometri perché wafer più sottili risultano fragili e tendono a spezzarsi sulla catena di montaggio. In teoria, però, potrebbero essere sottili fino a 20 o 30 micrometri, riuscendo ancora a convertire la luce solare in energia con la stessa efficienza, se non di più.

Il processo utilizzato dalla Twin Creek produce wafer da 20 micrometri l’uno senza nessuno spreco di materiale. Implica inoltre l’applicazione di un sottile strato di metallo che li rende resistenti quanto basta per sopravvivere alle apparecchiature usate per il trattamento delle celle solari. Grazie alla notevole riduzione dell’uso di seghe a filo e delle apparecchiature collegate alla produzione di wafer più sottili, la Twin Creek è in grado di ridurre la quantità di silicone richiesto del 90 per cento . La nuova tecnologia può venire integrata con le linee di produzione già esistenti.

Il processo ha inizio in una camera sottovuoto, dove un fascio di ioni d’idrogeno ad alta energia bombarda dischi di silicio cristallino dello spessore di tre millimetri. Gli ioni si accumulano nello spessore preciso di 20 micrometri, tramite il controllo del voltaggio del fascio. Una volta che abbastanza ioni si sono accumulati, un braccio robotizzato rimuove velocemente i wafer, per poi riporli in una fornace. All’interno di questa, gli ioni nel silicio formano bolle microscopiche di gas d’idrogeno. Queste, espandendosi, creano minuscole fratture all’interno degli stessi wafer di silicone, causando così lo sfaldamento di uno strato di silicone della larghezza di 20 micrometri. Si procede poi ad aggiungere un sostegno metallico al silicio. Le proprietà del processo usato dalla Twin Creek lo distingue da un’altra azienda, la Astrowatt, la quale realizza wafer di simili dimensioni, ma leggermente ricurvi, il che potrebbe renderne difficile la manipolazione.

I wafer della Twin Creek sono compatibili con l’attrezzatura per la produzione convenzionale di celle solari e con quei processi ora utilizzati per il design avanzato di celle quali la eterogiunzione.

Il ricorso a ioni d’idrogeno funziona oltre che per il silicio, anche per altri materiali monocristallini, tra cui l’arseniuro di gallio, semiconduttore usato per la produzione di celle solari ad alta efficienza.

L’uso di un fascio di ioni per creare sottili wafer di silicone cristallino era già stato preso in considerazione in passato, ma fino ad ora era risultato troppo costoso come possibile processo di produzione industriale. Richiede un acceleratore di particelle che possa produrre fasci di ioni sia ad alto flusso, sia ad alta energia. Per rendere tale tecnologia accessibile, la Twin Creek ha sviluppato un acceleratore di ioni 10 volte più potente di qualsiasi altro disponibile sul mercato.

Celle solari più sottili della tela di ragno per l’ Internet of thing

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Riusciranno sottilissime celle solari di plastica a fare delle reti di sensori onnipresenti una realtà?

Christopher Mims

Quando si cerca di trovare un modo per fornire energia a una rete distribuita di sensori ambientali – il tipo che vorremmo avere per connettere la totalità del nostro mondo fisico all’Internet of Things – la risposta è ovvia: energia solare.La maggior parte di questi sensori sono per loro natura troppo piccoli per avere accesso a un gradiente di temperatura abbastanza alto e un’alimentazione continua non è sempre disponibile. Le batterie hanno una durata limitata e aggiungono volume e costi.

Questo è uno dei motivi per cui celle solari organiche e a base polimerica sono così interessanti, specialmente dopo gli sviluppi più recenti: una cella solare a base polimerica (ovvero plastica) più sottile della seta di ragno, che possa essere piegata e accartocciata e ancora essere in grado di produrre energia.

Queste celle solari estremamente sottili sono oltre dieci volte più sottili, più leggere e più flessibili di tutte le altre celle solari basate su qualsiasi altro tipo di tecnologia presente oggi.

Questa plastica solare converte solo il 4.2 per cento dell’energia del sole in elettricità, il che è sconfortante secondo gli standard delle convenzionali celle solari policristalline, ma è assolutamente miracoloso quando si considera quanto sottile e versatile possa risultare questo materiale.

Per esempio, Tsuyoshi Sekitani dell’Università di Tokio, uno dei ricercatori coinvolti in questo progetto, ha detto alla AFP che questo materiale potrebbe essere indossato su indumenti come un badge, per fornire energia a un monitor per la salute personale.

Quindi perché non utilizzare una sottile pellicola sotto uno scudo protettivo, sul retro di gadget, così che il prolungamento della durata delle loro batterie possa essere tanto semplice quanto lasciarle in un posto illuminato?

Quando si tratta di Internet of Things, minuscoli sensori necessitano di minuscoli quantitativi di energia, e questo è esattamente ciò che celle solari organiche possono fornire. Prezzo e dimensioni sono i fattori che determineranno od ostacoleranno la loro diffusione e questo annuncio suggerisce che è solo una questione di tempo prima che entrambi questi requisiti possano essere raggiunti dalle celle solari organiche.

Le celle solari organiche “firmate” ENI

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Un lavoro originale e interessante, premiato anche dall’attenzione del prestigioso sito Renewable Energy Global Innovations.

ENI Corporate – Direzione Ricerca e Innovazione Tecnologica (DRITEC)

Il sito scientifico Renewable Energy Global Innovations (http://reginnovations.com) ha scelto di mettere in evidenza il lavoro sulle celle solari organiche svolto presso il Centro Ricerche per le Energie Non Convenzionali – Istituto ENI Donegani, appena pubblicato sulla rivista scientifica “Solar Energy Materials & Solar Cells”.

Il lavoro multidisciplinare teorico-sperimentale, interamente svolto presso il Centro ricerche ENI di Novara, mette in relazione fra loro le proprietà ottiche delle innovative celle solari organiche a eterogiunzione con le proprietà elettroniche dei principali polimeri elettroni-donatori, che costituiscono i loro componenti principali.

Brillanti prospettive per nuove celle solari “verdi” a basso costo

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Negli Stati Uniti e in Cina si lavora alla progettazione di celle solari non convenzionali.

Robert Chang, Direttore del Materials Research Institute (North Western University) e del Siu Lien Ling Wong Fellow (The Chinese University of Hong Kong), sta lavorando alla progettazione e all’analisi di celle solari non convenzionali, a elevata efficienza e basso costo, utilizzando tecnologie e scienze dei materiali allo stato dell’arte.

Le celle solari tradizionali hanno limiti dettati da costi produzione elevati o durata limitata e in molti casi dipendono da materiali scarsi o tossici. Il progetto del prof. Chang minimizza tutti questi problemi delle celle solari. L’efficienza più alta ottenuta fino ad ora è del 10.2 per cento (ma con un incremento dell’1 per cento al mese). Questo tipo di celle usa forme cristalline (con particolari proprietà ottiche) di cesio e ioduro di stagno (CsSnI). All’inizio in forma liquida, in un solvente, possono venire poi spalmate su particelle, come una vernice. Il solvente successivamente evaporerà per lasciare uno strato solido di nano particelle sferiche fatte di diossido di titanio.

Rispetto alle celle solari del prof Gratzel (Politecnico di Losanna), basate su film di vernici sensibilizzati con ossidi nano cristallini (dye-sensitized cell), viene risolto il problema delle perdite dei liquidi organici che corrodono le stesse celle solari. Queste celle assorbono la luce solare convertendola in elettricità come la clorofilla in una pianta, ma non hanno vita abbastanza lunga (circa 18 mesi) per un utilizzo commerciale. Dice Chang: “Abbiamo migliorato molto questo tipo di celle. Il nostro materiale è solido e non dovrebbe dare luogo a perdite o corrosioni. I nostri materiali possono diventare i più avanzati e con la più alta efficienza di quelli visti fino ad oggi”.

Le celle di Gratzel arrivano ad una efficienza dell’11 per cento(le celle di silicio a elevata purezza possono arrivare al 20 per cento, ma a costi molto più elevati). “Le nostre celle a basso costo fanno un largo uso di nanotecnologia. Abbiamo milioni di nanoparticelle con una superficie di assorbimento molto ampia dato che tutte le nanoparticelle sono ricoperte di una vernice in grado di assorbire la luce. Ogni cella è di mezzo centimetro per mezzo centimetro e spessa circa 10 micron. I fotoni catturati dalla vernice vengono convertiti in elettricità tra i due semiconduttori”.

“Siamo solo all’inizio”, conclude Robert Chang. “La nostra idea è applicabile a vari tipi di celle solari e vediamo molte possibilità di sviluppo”.

Una startup mira a inserire nel mercato le prime batterie liquide

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Un’azienda di Cambridge sta sviluppando batterie economiche capaci di immagazzinare energia generata da turbine eoliche e pannelli solari.

Kevin Bullis

Il laboratorio presso il piccolo seminterrato che fa da quartier generale della Liquid Metal Battery a Cambridge somiglia più a un’officina meccanica che a un laboratorio high-tech di quelli che ci si aspetterebbe da una spin-off del MIT.

Al poso delle camere a vuoto con tanto di guanti da operazione si trovano una grossa sega a nastro, un trapano a torre e una semplice postazione per le saldature. In un altro angolo si trova un normale forno, di quelli che si troverebbe in uno studio di ceramica. Sebbene la tecnologia dell’azienda si basi sulla chimica avanzata, le sue batterie paiono rudimentali: spessi cilindri in acciaio riempiti dai ricercatori di polveri raccolte da grandi secchi e barili.

La semplicità è però parte del design. Il traguardo è quello di realizzare batterie talmente semplici da poter accumulare economicamente l’energia eolica prodotta da una centrale di notte, quando il vento soffia ma la domanda di elettricità è bassa, cosi da poterla adoperare nei momenti di picco durante il giorno. Nella fase iniziale l’azienda ha raccolto milioni di dollari da parte di Bill Gates,della francese Total e dell’Advanced Research Projects Agency for Energy USA.

Fondata nel 2010, sebbene in realtà sia divenuta operativa solo lo scorso autunno dopo essere cresciuta da sette a diciassette dipendenti, la Liquid Metal è una delle tante nuove aziende che sperano di imparare dalle sfide affrontate da un’ondata precedente di startup delle energie rinnovabili. Le aziende per le energie rinnovabili hanno faticato in parte perché le tecnologie attualmente in uso – centrali a combustibili fossili, automobili a benzina, persino le convenzionali celle solari – sono economiche e in parte perché le imprese tendono a favorire tecnologie affermate.

Alcune delle prime start up di batterie si erano concentrate su un promettente materiale per elettrodi scoperto in un laboratorio, per scoprire alla fine che la sua produzione azzerava i vantaggi economici che tanto aveva promesso. Il nuovo gruppo di start up, che include una spin off della A123 Systems chiamata 24 M e un’altra di nome Aquion, stanno esaminando attentamente i costi di produzione sin dall’inizio. La Liquid Metal ha inoltre identificato alcuni mercati che le permetterebbero di sostenere costi elevati fino a che una produzione su larga scala delle proprie batterie non le renderà ancora più economiche.

L’azienda prende il nome dalle polveri che i suoi ricercatori adoperano nelle batterie, che quali vengono riscaldate fino a raggiungere lo stato liquido, momento in cui si segregano in tre strati, quello degli elettrodi positivi, quello degli elettrodi negativi e quello dell’elettrolita che li separa. Una volta diventati liquidi, questi materiali sono estremamente conduttivi, per cui le batterie possono venire caricate e scaricate rapidamente, raccogliendo e rilasciando carica in pochi millisecondi, per aiutare a stabilizzare le fluttuazioni nell’energia che alimenta la rete elettrica.

L’idea è nata da Donald Sadoway e Gerbrand Ceder, rispettivamente docente di chimica e docente di scienze dei materiali del MIT, che si chiedevano se fosse possibile invertire i processi come nel caso di quelli adoperati per la produzione dell’alluminio. Per esempio, l’elettricità viene adoperata per produrre alluminio dall’ossido di alluminio; se fosse possibile invertire la reazione chimica, si potrebbe produrre elettricità e il sistema opererebbe come una batteria.

David Bradwell, uno studente di Sadoway, ha scoperto un sistema per riottenere l’elettricità adoperata nel processo. Il nuovo design delle batterie potrebbe venire applicato alle altre aziende esistenti, che producono in quantità limitate e, non essendovi bisogno di costruire nuove fabbriche, il suo costo capitale verrebbe considerevolmente ridotto. Ciononostante, fino a che queste batterie non verranno prodotte su larga scala, il loro costo rimarrà relativamente elevato. è qui che entra in gioco la conoscenza del mercato. La decisione di realizzare batterie capaci non solo di raccogliere grandi quantità di energia a un costo ridotto, ma anche di rispondere in pochi millisecondi, permetterà di accedere a mercati proficui, dove la compensazione delle fluttuazioni nell’erogazione dell’elettricità conta sempre più per fare fronte all’intermittenza delle centrali eoliche e solari.

Con l’incremento della scala produttiva e la riduzione dei costi, la Liquid Metal intende entrare in mercati più grandi, quali l’acquisto di elettricità a basso costo la notte e la vendita di giorno, quando il prezzo è più alto. Grazie alla flessibilità della sua tecnologia, l’azienda può decidere come utilizzare le proprie risorse, andando a scegliere di volta in volta il mercato più proficuo.

La Liquid Metal intende approfittare delle due opportunità offerte dal governo. La prima è in realtà un prodotto della deregolamentazione: il governo ha intrapreso una serie di attività per promuovere un mercato aperto per l’energia. Ciò permette alle aziende di aderire come fornitore indipendente senza passare attraverso regolazioni che potrebbero tassarne i servizi. Cosi facendo, persino le piccole aziende hanno la possibilità di guadagnare denaro. La Liquid Metal Battery potrebbe inoltre beneficiare di una sentenza da parte della Federal Energy Regulatory Commission per cui le tecnologie con tempi di risposta rapidi possono venire pagate di più per i loro servizi. Questo darebbe un margine sulle centrali esistenti, che impiegano diversi minuti per rispondere. La Liquid Metal ha però ancora diverse sfide da superare, come per esempio confermare che le proprie batterie sono sufficientemente longeve da risultare economicamente pratiche. Anche con il loro basso costo di capitale, potrebbero essere necessari dei partner, quali la Total, per ricevere fondi ed esperienza in operazioni su larga scala.

Solare a elevate prestazioni

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Con le giuste condizioni ambientali, le celle solari di Semprius producono energia a costi più bassi dei combustibili fossili. Ucilia Wang Lo scorso inverno, una startup di nome Semprius ha stabilito un importante record nel campo dell’energia solare, dimostrando che i suoi pannelli solari possono convertire in elettricità quasi il 34 per cento della luce che assorbono. Semprius sostiene che la sua tecnologia prodotta su larga scala sarebbe in grado, in alcune zone, di fornire elettricità a costi concorrenziali con quelli degli impianti alimentati a carbone e gas naturale. Poiché le istallazioni solari hanno una serie di costi fissi, incluso lo spiegamento sul territorio dei pannelli solari, è fondamentale massimizzare l’efficienza del singolo pannello per abbassare il prezzo dell’energia solare. Le aziende stanno sperimentando una varietà di soluzioni, tra cui materiali diversi dal silicio, il semiconduttore al momento più diffuso nei pannelli solari. Per esempio, l’azienda Alta Devices utilizza fogli flessibili di celle solari di arseniuro di gallio, un materiale a elevate prestazioni. Anche Semprius sfrutta questo materiale, che ha un rendimento superiore al silicio nel trasformare la luce in elettricità (il record di efficienza misurato in un pannello solare di silicio si attesta intorno al 23 per cento). Ma l’arseniuro di gallio è anche molto più costoso e Semprius deve cercare in tutti i modi di tagliare i costi. Un sistema è quello di ridurre le celle solari, che assorbono la luce nel pannello solare, a soli 600 micrometri di larghezza, 600 micrometri di lunghezza e 10 micrometri di spessore. Il suo processo di produzione si affida al lavoro del co-fondatore John Rogers, docente di chimica e ingegneria all’Università dell’Illinois, che ha ideato un metodo per sviluppare le piccole celle su una fetta di arseniuro di gallio, estrarle rapidamente e riutilizzare il wafer per produrre nuove cellule. Una volta che le celle vengono depositate, Semprius esalta le loro capacità produttive con lenti di vetro che concentrano la luce solare fino a 1.100 volte. La concentrazione della luce solare nei pannelli non è una tecnica nuova, ma con le celle di silicio più grandi è necessario intervenire con un sistema di raffreddamento per ridurre il calore generato. Le piccole celle di Semprius producono così poco calore da non richiedere l’intervento del sistema di raffreddamento, abbassando ulteriormente i costi. Scott Burroughs, vicepresidente per la tecnologia di Semprius, dice che le aziende dotate del suo sistema saranno in grado, nel giro di qualche anno, di produrre elettricità a circa 8 centesimi di dollaro per kilowattora. Si tratta di un prezzo al dettaglio per l’elettricità, inferiore a quello medio praticato negli Stati Uniti, che nel 2011 si è attestato intorno ai 10 centesimi di dollaro per kilowattora, secondo la Energy Information Administration statunitense. I vantaggi di Semprius sono attenuati dalle limitazioni legate all’utilizzo delle lenti per concentrare la luce solare. Il sistema ottiene buone prestazioni quando le celle ricevono direttamente la luce solare con un cielo senza nuvole, mentre la produzione ha una caduta significativa in tutte le altre condizioni atmosferiche. Malgrado questi limiti, la tecnologia si potrebbe sfruttare pienamente per progetti su larga scala negli Stati Uniti sud-occidentali. Semprius sta avviando la produzione di massa dei suoi pannelli. L’azienda, che ha raccolto circa 44 milioni di dollari dal mondo finanziario e da Siemens (che costruisce impianti di energia solare), prevede di aprire nel 2012 una piccola centrale solare nel North Carolina per produrre 6 megawatt di elettricità. Inoltre, spera di espandere la produzione fino a 30 megawatt nel 2013, ma per raggiungere questo risultato dovrà ottenere nuovi finanziamenti in un clima finanziario certamente non favorevole a questo tipo di operazioni. Allo stesso tempo, Semprius dovrà ridurre rapidamente i suoi costi di produzione per competere con i tradizionali pannelli al silicio, i cui prezzi si sono abbassati di oltre il 50 per cento nel solo 2011.

Un milione di pannelli solari 3Sun

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Il 10 ottobre 2012 è stato prodotto il milionesimo pannello solare di 3Sun, il più grande impianto di produzione di pannelli fotovoltaici in Italia e uno dei più grandi in Europa, che è operativo dal 22 dicembre 2011.

I pannelli, realizzati con l’innovativa tecnologia del silicio a film sottile multi-giunzione, assicurano una elevata efficienza anche in assenza di condizioni ambientali ottimali. Inoltre, i pannelli sono frameless, offrendo un ulteriore vantaggio in termini di progettazione e di adattabilità a una vasta gamma di sistemi fotovoltaici. Questo impressionante risultato è stato raggiunto così rapidamente grazie all’automazione dei processi di produzione, alle nuove linee di produzione specializzate e alle competenze eccellenti di tutto il personale.

Il vertice aziendale di 3Sun ha espresso una comprensibile soddisfazione: “Il livello di produzione raggiunto in così breve tempo”, ha detto il presidente Andrea Cuomo, “è la dimostrazione della qualità del progetto, dell’impegno di tutti gli addetti e del sostegno dei nostri azionisti”.

L’impianto, che si è aperto l’8 luglio 2011, poco più di un anno fa, è il prodotto di una joint venture tra Enel Green Power, leader mondiale nella produzione di energia rinnovabile, Sharp, un gigante nel settore dell’elettronica e leader tecnologico nel settore fotovoltaico, e STMicroelectronics, uno dei maggiori produttori al mondo di semiconduttori.

L’azienda ha sede a Catania, nel cuore del Mediterraneo, dove opera un impianto di 50 mila metri quadrati, che oggi impiega circa 300 dipendenti e ha una capacità produttiva annua di 160 MW.

3Sun è destinata a soddisfare la domanda in Europa, Medio Oriente e Africa, la cosiddetta area EMEA. Il prodotto è commercializzato esclusivamente attraverso le reti di vendita di Enel Green Power e di Sharp, sia per il mercato retail, sia per i progetti fotovoltaici di grandi dimensioni.

Grandi impianti fotovoltaici in Italia, realizzati con prodotti forniti da 3Sun, già funzionano a piena potenza, come per esempio l’impianto di Altomonte (Cosenza), con una produzione di 11 milioni di kWh, e l’impianto di Nocera Terinese (Catanzaro), con una produzione2 milioni di KWh, oltre a numerosi altri impianti da 1 MW.

Ultimo, ma non meno importante, è il sistema da quasi 1 MW installato proprio presso la 3Sun, dove copre quasi per intero il tetto della fabbrica.

IL SOLARE E I PAESI CON INSUFFICIENTE ENERGIA

Energia solare più conveniente dei combustibili fossili

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Nei paesi in via di sviluppo, i progressi tecnologici stanno aprendo il solare a 1,3 miliardi di persone che non hanno accesso alla rete elettrica.

Kevin Bullis

La caduta dei costi di illuminazione a LED, delle batterie e dei pannelli solari, assieme a business plan innovativi, stanno permettendo a milioni di famiglie in Africa e in altri paesi in via di sviluppo di passare dalle lampade a petrolio a forme più pulite e sicure di illuminazione elettrica.

Per molti, questo passo avanti offre anche un mezzo nuovo per ricaricare i telefoni cellulari, che stanno diventando onnipresenti in Africa, invece di dover noleggiare un generatore di energia.

Progressi tecnologici stanno aprendo un enorme mercato per l’energia solare, perché sono circa 1,3 miliardi di persone nel mondo che non hanno accesso a rete elettrica. Anche se sono in genere molto povere, queste persone pagano molto per l’illuminazione perché utilizzano lampade a cherosene inefficienti. Mentre nella maggior parte del mondo ricco il solare costa normalmente di più dell’ energia elettrica da centrali convenzionali (specialmente se si includono i costi di batterie per l’accumulo, qualora l’utente non voglia essere anche collegato alla rete), l’energia solare ha un senso economico per i paesi poveri perché costa la metà dell’illuminazione a kerosene.

Centinaia di aziende si sono buttate su questo mercato. “Questo settore è esploso”, dice Richenda Van Leeuwen, senior director per Energia e Clima delle Nazioni Unite. “C’è stato un cambiamento epocale negli ultimi cinque anni”. “L’improvviso interesse è alimentato dall’avvento del costo relativamente basso dei LED”, spiega Van Leeuwen . “Non molto tempo fa le lampadine a incandescenza richiedevano un pannello solare in grado di generare 20-30 watt, I LED sono molto più efficienti”. Ora con la rapida diminuzione del prezzo dei LED, si può avere una buona illuminazione utilizzando un pannello che genera solo un paio di watt di potenza.

Questi miglioramenti tecnologici possono non essere sufficienti per aprire il mercato. Sistemi a LED di alta qualità, con un paio di lampade e batterie sufficienti per diverse ore di illuminazione, costano meno di 50 dollari. Si possono pagare in meno di due anni, ma il costo iniziale è ancora troppo alto.

Eight19, una società con sede a Cambridge, Regno Unito, è una delle diverse società che offrono un piano di pagamento accessibile. I clienti pagano 10 dollari per il sistema di illuminazione solare, che include una pannello solare, da 2,5 watt, due lampade a LED e una batteria al litio-ferro fosfato. Poi si paga un piccolo canone settimanale per la potenza che viene generata.

Ogni settimana, gli utenti possono acquistare una scheda per circa un dollaro da un fornitore locale. Sulla scheda si scopre un numero che va inviato via sms a Eight19 per la verifica. La società risponde con un codice che va inserito in una tastiera sulla batteria. Il codice sblocca il dispositivo elettronico per una settimana, caricando la batteria dei LED o quella del telefono.

Molte altre aziende, comprese le grandi di telecomunicazioni, stanno cercando varianti su questo approccio pay-as-you-go. Una cosa che qualifica Eight19 è che, dopo che un cliente ha coperto il costo del dispositivo, in genere in circa 18 mesi, può sostituirlo con un pannello solare più grande, una batteria più grande, più luci e la capacità di alimentare una radio o un televisore.

In questo modo, usando solo i denari che avrebbero spesi per il cherosene o per l’affitto di caricatori del telefono, possono gradualmente avere abbastanza potere di acquisto per un frigorifero o una macchina da cucire che serva a fare un lavoro che rende. Eight19 ha testato il sistema con diverse centinaia di clienti e sta avviando un progetto per vendere 4 mila impianti in collaborazione con la ONG Solar Aid, che contribuirà alla distribuzione.

Ma Eight19 è relativamente piccola per ora. Le aziende più consolidate, come D.light, hanno venduto oltre un milione di sistemi di illuminazione solare. Bransfield-Garth vede un grande spazio per la crescita. “I più poveri stanno pagando i prezzi troppo alti per le loro esigenze”, dice. “L’energia solare funziona bene in questa situazione”.

Microreti solari

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Sistemi locali a corrente continua possono fornire energia per l’illuminazione e i telefoni cellulari.

Seema Singh

Circa 400 milioni di indiani, in gran parte abitanti delle zone rurali, non sono collegati alle centrali elettriche. Per molti di loro, la semplice ricarica di un telefono cellulare richiede un lungo viaggio fino a qualche località dotata di chioschi per le ricariche e le loro abitazioni sono debolmente illuminate da fuligginose lampade al cherosene. Per cambiare questa situazione, Nikhil Jaisinghani e Brian Shaad hanno fondato Mera Gao Power. Grazie alla caduta dei costi dei pannelli solari e dei LED, l’azienda spera di realizzare e di rendere operative microreti di energia solare a basso costo in grado di garantire luce “pulita” e ricariche telefoniche.

Le microreti distribuiscono elettricità in aree quasi prive di punti di distribuzione dell’energia. A differenza di altre soluzioni, quali singole lanterne a energia solare, che possono risolvere i problemi dell’illuminazione e delle ricariche dei cellulari, il vantaggio di una microrete è che i costi dell’installazione si possono suddividere per tutto il villaggio. Il sistema può anche venire adottato per produzione e stoccaggio su scala più grande, abbassando i costi operativi.

La prima microrete commerciale di Mera Gao è stata dispiegata la scorsa estate e da allora si sono aggiunti altri 8 villaggi. Questo anno, si prevede di includere altri 40 villaggi, grazie a un finanziamento di 300 mila dollari da parte dell’Agency for International Development statunitense. L’agenzia sta cercando di convincere altre aziende a entrare sul mercato indiano dell’energia rinnovabile non centralizzata, che il World Research Institute, un comitato di esperti con sede a Washington, valuta attestarsi intorno ai 2 miliardi di dollari l’anno.

Per un costo di 2.500 dollari, un centinaio di famiglie, in gruppi superiori a 15 unità, si può collegare a due centri di generazione, consistenti ognuno di un gruppo di pannelli solari e di un gruppo di batterie. La rete utilizza corrente continua a 24 volt, che consente di sfruttare cavi di alluminio invece di quelli di rame, più costosi, impiegati per i sistemi di distribuzione ad alta tensione in corrente alternata. Il villaggio viene attentamente studiato per garantire una sistemazione efficiente delle linee di distribuzione (un interruttore scatta se qualcuno cerca di collegarsi abusivamente). “La fase di pianificazione logistica e il design rappresentano le nostre innovazioni più grandi”, sostiene Jaisinghani.

Ogni famiglia ha la disponibilità di 0,2 ampere per sette ore a notte – sufficiente ad alimentare due punti luce a LED e un sistema di ricarica per telefono cellulare – al costo mensile prepagato di 100 rupie (2 dollari); il kerosene e la ricarica del telefono costano in media dalle 100 alle 150 rupie al mese. Jaisinghani dice che le micro-reti di Mera Gao non sostituiscono le centrali elettriche, ma vengono incontro alle richieste e alle disponibilità economiche attuali delle persone. Al momento la tecnologia risponde solo ai problemi dell’illuminazione e delle ricariche.

L’azienda ha intenzione di portare avanti progetti per la creazione di centri di intrattenimento comunitari, in cui i costi di televisione, radio, sistemi di raffreddamento e servizi informativi siano distribuiti su un gruppo di abitazioni invece di pesare su un singolo utente.

La SunEdison mira a nuovi grandi mercati per il solare

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L’azienda che installa pannelli solari, sta sostituendo motori diesel in villaggi dell’India e di altri paesi asiatici.

Kevin Bullis

SunEdison, una delle principali installatrici e finanziatrici di energia solare, ha recentemente annunciato un nuovo progetto per la distribuzione di energia solare in trenta villaggi dell’India. Ha già attrezzato uno di questi villaggi con pannelli solari, una piccola rete per trasportare l’elettricità a più di 70 abitazioni e batterie di scorta per stabilizzare la fornitura di elettricità durante le giornate coperte.

A detta di Pashupathy Gopalan, direttore delle operazioni nelle regioni del sud Asia e sud Sahara, il primo villaggio è servito da progetto pilota e pertanto non è inteso a generare entrate per la SunEdison. Grazie però alle economie di scala e a una serie di migliorie nel design e nei processi di

Una rete di pannelli solari da 430 kilowatt installata dalla Optimal Power Systems nell’est della Malesia produce energia per il migliaio di abitanti di un paese vicino.

Un trasformatore permette di convertire all’incirca 250 kilowatt di corrente continua in corrente alterna da ridistribuire all’interno del villaggio. Nelle giornate di sole, quando i pannelli lavorano al massimo della loro capacità, l’energia in eccesso viene immagazzinata nelle batterie.

Il motivo dietro all’ottimismo della SunEdison sta nel drastico calo dei prezzi dei pannelli solari, che sta rendendo questa fonte di energia assai più conveniente rispetto ai generatori a diesel.

“Se l’industria si sta sbarazzando dei generatori diesel, significa che il denaro non manca ed è nel solare che si possono trovare le risorse necessarie a effettuare una transizione economicamente motivata e libera dai sussidi”.

Il diesel è una primaria fonte di energia nel sud Asia e in Africa, dove molte regioni mancano dell’accesso alla rete e i frequenti blackout incitano coloro che possono permetterselo a installare generatori di emergenza.

Questi mercati potrebbero essere d’aiuto per un’industria solare che stenta a guadagnare a causa della sovrabbondanza di pannelli.

D’altra parte, i bassi costi dell’energia solare potrebbero promuovere e rendere più veloce il necessario sviluppo sviluppo nei paesi poveri, offrendo così un’alternativa più economica delle pompe e dei generatori diesel, oltre che un passaggio più rapido a una rete elettrica organizzata, efficiente e funzionale.

Spiega Gopalan che una delle prime applicazioni economiche del solare sta nella sostituzione delle pompe di irrigazione alimentate a diesel. Queste pompe non devono operare di notte, quindi non servono batterie di supporto, il che mantiene bassi i costi.

“In India soltanto, questo mercato vale 15-20 gigawatt, e interessa anche Africa e Asia per intero”. In prospettiva, stando alla società di consulenze aziendali McKinsey, la capacità del solare installato equivale oggi a 65 gigawatt.

I pannelli solari potrebbero andare ad aggiungersi a sistemi preesistenti alimentati a diesel, come quelli che tradizionalmente forniscono energia alle comunità di alcune isole o servono da back up di emergenza per residenze e attività locali nelle regioni dell’India che restano spesso soggette a improvvisi black out.

Stando a McKinsey, in base alla loro dimensione, i generatori diesel possono produrre energia a prezzi che si aggirano intorno ai 30-65 cent per kilowatt-ora. I sistemi a pannelli solari possono produrre energia a un costo intorno ai 12-35 cent per kilowatt-ora.

In alcune aree della Cambogia, aggiunge Gopalan, l’energia proveniente dai generatori diesel viene adoperata per caricare delle batterie che vengono poi noleggiate a prezzi superiori al dollaro per kilowatt-ora. In questo genere di applicazioni, il solare prenderebbe il posto dei generatori diesel nelle giornate soleggiate.

Stephen Philips, direttore delle operazioni presso la Optimal Power Systems, un’azienda australiana che installa pannelli solari e microreti in aree remote, spiega come numerosi governi stiano scoprendo che è senza dubbio più conveniente installare pannelli solari e batterie che connettere villaggi alle tradizionali centrali elettriche o installare generatori diesel costosi ed ecologicamente controproducenti.

In alcune aree, il diesel può arrivare a costare due o tre volte il prezzo disponibile nelle città per via dei costi di trasporto e di problemi legati a furti. Ciò significa che batterie che costano 55 centesimi per kilowatt ora di capacità, possono comunque costare il 60 per cento in meno rispetto ai sistemi a diesel.

Solitamente, la OPS installa sistemi muniti di generatori diesel di emergenza per periodi prolungati di cielo coperto. A detta di Philips però, una serie di nuove tecnologie permetterebbe di dimezzare il costo delle batterie, favorendo quindi l’applicazione di sistemi più grandi di batterie con cui ridurre ulteriormente l’uso del diesel.

“Fino a due anni fa, questi sistemi avrebbero potuto produrre appena il 25 per cento dell’elettricità complessiva dall’energia solare. Ora siamo al 50 per cento, e presto il diesel potrebbe finire per venire utilizzato raramente, in situazioni di reale emergenza”, afferma Philips. “Con l’aggiunta di batterie a maggiore efficienza, il solare può competere direttamente con il diesel nell’alimentazione di villaggi”.

Le imprese in Malesia non hanno fiducia nell’energia solare, per cui ai pannelli solari vengono associati generatori diesel cosi da coprire i picchi nella domanda di elettricità del villaggio. Nell’immagine è raffigurata una centrale realizzata nel 2007. Essendo risultate affidabili persino nelle versioni meno avanzate e, con il costante calo nei costi delle batterie, ora sufficientemente economiche da essere adoperate per accumulare energia in eccesso, centrali di questo tipo stanno prendendo piede. La Optimal Power Systems ha installato componenti elettroniche per integrare l’elettricità dei pannelli solari, delle batterie e dei generatori.

Fonte: Optimal Power Systems

La SunEdison ha installato questa piccola centrale solare da 13.4 kilowatt nel villaggio di Meerwada, in India, che produce elettricità per 400 abitanti. Fonte: SunEdison

Un gruppo di batterie, trasformatori ed altri strumenti per la gestione dell’energia forniscono giorno e notte l’elettricità ricavata dai pannelli solari. Il sistema è in grado di operare per tre giorni in assenza di sole. Fonte: SunEdison

La SunEdison ha assunto abitanti del villaggio per prendersi cura della centrale, rimuovendo la polvere che può compromettere il rendimento dei pannelli solari. Fonte: SunEdison

Una micro-rete aiuta a sfruttare le risorse locali in maniera affidabile ed economica

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Una prigione californiana esemplifica i benefici economici e ambientali di una rete elettrica locale. Kevin Bullis Un progetto recentemente ultimato presso la grande prigione da 4 mila detenuti di Santa Rita, ad Alameda County, in California, lega tra loro pile a combustibile, pannelli solari, turbine eoliche e generatori diesel – tutti locati all’interno della prigione – per costituire una microrete capace di operare in maniera indipendente dalle grandi centrali elettriche centralizzate. Il sistema mantiene la corrente quando i temporali fanno saltare la rete primaria e risulta essenziale nel controllo di una prigione di massima sicurezza, permettendo persino di risparmiare intorno a 100 mila dollari l’anno. La microrete della prigione costituisce una delle più grandi e avanzate negli Stati Uniti ed è l’ultimo esempio di una emergente tecnologia di smart grid che si sta dimostrando più pulita, affidabile e, in alcune parti del paese, significativamente più economica rispetto alla rete elettrica convenzionale. “In molti casi porta a grandi guadagni, con o senza sussidi”, spiega Michael Clark, presidente della Encorp di Fort Collins, nel Colorado, che ha installato le attrezzature necessarie. Queste microreti offrono inoltre nuovi utilizzi per l’energia solare ed eolica. Integrandole a batterie ed altre risorse energetiche, queste fonti possono fornire energia supplementare con cui rispondere in maniera adeguata ai picchi nella domanda di corrente. Le microreti costituiscono un passo avanti rispetto agli impianti elettrici di emergenza o alle centrali solari. Utilizzano speciali software ed elettronica di controllo per integrare molteplici fonti di energia senza interruzioni, anche quando il sole non splende o i regolamenti limitano l’utilizzo di generatori diesel. Nel caso del sistema nella prigione di Santa Rita, la Encorp ha installato una rete di controllers presso ciascuna fonte elettrica, incluse migliaia di batterie, oltre che nel punto in cui la prigione si lega alla rete elettrica. Il coordinamento dell’energia richiede attrezzature che siano capaci di regolare la frequenza ed il voltaggio della corrente che trasmettono. La Encorp ha sviluppato gli algoritmi per trarre quanta più energia possibile da ciascuna fonte, tenendo conto delle variazioni nella fornitura da parte della compagnia elettrica in base alla domanda. Per il momento, i primi clienti delle microreti sono aziende e organizzazioni che non possono permettersi alcuna perdita di corrente, quali prigioni, data centers e basi militari, o zone remote che non dispongono di un allacciamento alla rete elettrica principale.

Una schiera di batterie presso la prigione di Santa Rita costituisce la base di una micro-rete che integra l’energia raccolta da pile a combustibili, pannelli solari, turbine eoliche e generatori diesel.

FOTOVOLTAICO

Le prime 10 aziende (proiezione fatturato 2012)

First Solar

(Stati Uniti, Malesia, Germania)

pannelli fotovoltaici a pellicola sottile in tellururo di cadmio (4.3 bil. di dollari)

http://www.firstsolar.com

Sun Power

(Stati Uniti, Europa, Africa, Asia, Australia)

celle fotovoltaiche in silicio monocristallino ad alta efficienza (3.4 bil. di dollari)

http://us.sunpowercorp.com

GCL

(Cina)

wafer in polisilicio cristallino (3.1 bil. di dollari)

http://www.gcl-poly.com.hk/eng/index.php

Sharp

(Giappone)

(2.6 bil di dollari)

Canadian Solar

(Cina, Canada, Germania, Italia, Giappone, Corea, Stati Uniti)

celle solari in silicio mono e policristallino, vetri temperati a basso contenuto di ferro con le celle solari laminate all’interno (2.5 bil. di dollari)

http://www.canadiansolar.com/en

Suntech

(Cina, Stati Uniti, Europa, Asia, Giappone, Australia)

moduli a pellicole sottili in silicio mono/policristallino(2.4 bil. di dollari)

http://am.suntech-power.com/

MEM (SunEdison dal 2009)

(Stati Uniti, Asia, Giappone, Italia)

wafer semiconduttori in polisilicio (2.4 bil. di dollari)

http://www.memc.com/

Trina

(Cina, Stati Uniti, Australia, Europa, Giappone)

www.trinasolar.com

Yingli

(Cina, Germania, Spagna, Italia, Grecia, Francia, Sud Corea, Stati Uniti)

moduli in silicio mono/policristallino (2.1 bil. di dollari)

http://www.yinglisolar.com/

Dupont

(Stati Uniti)

moduli in silicio cristallino, inchiostri a base di silicio, pellicole sottili in teflon (1.6 bil. di dollari)

http://www2.dupont.com/home/en-us/index.html

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