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È un’idea diffusa che la cosiddetta crescita verde, vale a dire un attento uso delle risorse naturali che permetta di mantenere la crescita economica, risieda nelle soluzioni high-tech. Ma i limiti di questa visione stanno diventando sempre più chiari

di MIT Technology Review Italia

Le istituzioni hanno riconosciuto da tempo i rischi ambientali della crescita a tutti i costi, ma hanno consentito al sistema economico e produttivo di non cambiare le sue logiche. Si è pensato per decenni che con qualche investimento nell’efficienza, il PIL potesse continuare a salire, mentre l’impatto climatico e ambientale della produzione sarebbe sceso. Ma i rischi di questo approccio stanno diventando sempre più chiari. 

Molte tecnologie moderne – telefoni cellulari, televisori e motori – utilizzano materiali come rame, cobalto, litio e terre rare.  Non solo la loro disponibilità è limitata, ma sono necessarie grandi quantità di energia per la loro estrazione e lavorazione, producendo emissioni significative. Inoltre, molti di questi dispositivi sono presenti in quantità molto piccole all’interno di miscele complesse di materiali, il che rende molto difficile raccoglierli e separarli per il riciclaggio.

Viviamo in una società che crede nel tecno-soluzionismo e in un futuro in cui le innovazioni high-tech creeranno un mondo in cui tutto sarà più efficiente dal punto di vista energetico: reti intelligenti, energie rinnovabili, auto senza conducente continueranno a rivoluzionare il mondo e salveranno il pianeta e il suo clima. 

Questa fiducia nel progresso è stata una forza trainante sin dalla rivoluzione industriale, ma i paesi si stanno rendendo conto della finitezza delle risorse naturali come il petrolio: si possono davvero risolvere i problemi causati dall’ascesa del progresso industriale e tecnologico ricorrendo agli stessi strumenti che in buona parte li hanno creati?

Come riportato da “The Conversation”, è in discussione l’idea stessa di sviluppo delle società avanzate e si stanno iniziando a prendere in seria considerazione risposte con un minore impatto tecnologico. Queste soluzioni danno la priorità alla semplicità e alla durata, alla produzione locale e alle tecniche tradizionali. Un altro vantaggio della cosiddetta low tech è il fatto di puntare sull’aggregazione sociale invece di promuovere forme di iper-individualismo incoraggiate da dispositivi digitali affamati di risorse.

I critici hanno denunciato per secoli gli aspetti negativi dell’eccessiva tecnologia, dai luddisti del XIX secolo agli scrittori del XX secolo come Jacques Ellul e Lewis Mumford. Ma è stata la crisi energetica occidentale negli anni 1970 a rendere davvero popolari queste idee.

L’economista britannico E.F. Schumacher, nel suo libro Piccolo è bello del 1973, avanzava una decisa critica alla tecnologia moderna e al progressivo esaurimento di risorse come i combustibili fossili, sostenendo l’esigenza di semplici tecnologie efficienti a livello locale (da lui definite tecnologie “intermedie”), come piccoli dispositivi idroelettrici utilizzati dalle comunità rurali.

Il testimone di Schumacher è stato raccolto da un movimento in crescita che si definisce “low-tech”. Dal 2007, la rivista online “Low Tech Magazine” dello scrittore belga Kris de Dekker cataloga soluzioni a basso impatto, come i mulini a vento che utilizzano l’attrito per riscaldare gli edifici. In particolare, la rivista esplora tecnologie “obsolete” che potrebbero ancora contribuire a una società sostenibile, come i “muri di frutta” utilizzati nel 1600 per creare microclimi locali e caldi per la coltivazione dei frutti mediterranei. 

Le colture venivano coltivate circondate da massicci muri di frutta, che immagazzinavano il calore del sole e lo rilasciavano di notte, creando un microclima che poteva aumentare la temperatura di oltre 10  C. 

Negli Stati Uniti, il libro Lo-TEK. Design by radical indigenism dell’architetta e accademica Julia Watson (in cui TEK sta per Traditional Ecological Knowledge) esplora le tecnologie tradizionali dall’uso delle canne come materiali da costruzione alla creazione di zone umide per il trattamento delle acque reflue. A suo parere, le comunità indigene sono pioniere delle tecnologie che offrono soluzioni ai cambiamenti climatici e hanno offerto modelli avanzati per lo sviluppo della biodiversità, il controllo delle inondazioni, e il sequestro del carbonio.

In Francia, l’ingegnere Philippe Bihouix nel suo libro The Age of Low Tech, pubblicato nel 2014, descrive come potrebbe essere la vita in un mondo a bassa tecnologia, compreso il taglio radicale dei consumi. Inoltre, basandosi su valutazioni ingegneristiche dirette, mostra come le forme di energia rinnovabile non possano in senso fisico e letterale sostituire il carbonio. 

Le materie prime necessarie per sostituire completamente le fonti di carbonio con nuovi metodi di produzione di energia semplicemente non sono a portata di mano. Anche il tentativo di estrarle e produrle farà precipitare la stessa crisi climatica che si sta cercando di evitare.

Nel complesso, intorno a noi si vedono una lunga serie di esempi dei principi low-tech applicati alla vita quotidiana. Per esempio, possiamo combinare le vecchie pratiche di riscaldamento locale con i moderni sistemi di riscaldamento radiante e conduttivo. Ciò è particolarmente vero per gli edifici non isolati, dove il riscaldamento dell’aria è particolarmente svantaggioso.  Il cibo, se confezionato, può essere acquistato e conservato in imballaggi riutilizzabili e riciclabili come il vetro.

L’architettura offre molteplici opportunità per approcci a bassa tecnologia, soprattutto se impariamo dalla storia. L’uso di antiche torri di raccolta del vento progettate per consentire all’aria fresca esterna di fluire attraverso le stanze consente di raffreddare gli edifici utilizzando molta meno energia rispetto all’aria condizionata. E l’accumulo di calore nelle pietre, utilizzate dai romani per riscaldare i  pavimenti, è oggi considerato un mezzo per affrontare l’intermittenza delle energie rinnovabili.

La progettazione e la produzione per la sostenibilità sottolineano la riduzione degli sprechi, spesso evitando la miscelazione e la contaminazione dei materiali. I materiali semplici come gli acciai al carbonio, uniti mediante dispositivi di fissaggio rimovibili, sono facili da riciclare e riparare localmente. Autobus, treni e macchinari agricoli che utilizzano questi acciai, per esempio, possono essere ristrutturati o riciclati molto più facilmente rispetto alle moderne automobili stipate di microelettronica e fabbricate con leghe sofisticate.

In alcuni luoghi, i principi della tecnologia a basso impatto ambientale stanno già influenzando la progettazione urbana e la politica industriale. Gli esempi includono le cosiddette “città dei 15 minuti” in cui negozi e altri servizi sono facilmente accessibili ai residenti, utilizzando biciclette da carico anziché auto o furgoni per le consegne.

Nel frattempo, in Giappone, sta emergendo l’interesse per le pratiche di riutilizzo e riciclaggio del periodo Edo. Dal 1603 al 1867 il paese fu di fatto chiuso al mondo esterno, con un accesso molto limitato alle materie prime. Pertanto, il riutilizzo e la riparazione estensiva, anche di prodotti che ora considereremmo rifiuti, sono diventati uno stile di vita. Personale esperto ricicla qualsiasi cosa, da lanterne di carta e libri a scarpe, pentole, ombrelli e candele.

Sulla scorta di questa lunga serie di esempi, ci sono i presupposti per fare delle scelte tecnologiche più coerenti con modi di vivere sostenibili.

(rp)