Si può fare a meno dello spazio?

A integrazione e commento del dettagliato grafico pubblicato nelle pagine precedenti, abbiamo chiesto ad alcuni autorevoli operatori e scienziati la loro valutazione in merito alla storia gloriosa e talvolta drammatica delle imprese spaziali, che dopo trent’anni si sono concluse con l’ultimo volo di Atlantis, in attesa che qualcuno ne raccolga il testimone.

Dalla fine del 2011, dopo l’ultimo volo della navetta spaziale NASA, non sono previste altre spedizioni di uomini nello spazio, a meno che il settore commerciale non intervenga per colmare questo vuoto. Lo scorso anno, Space Exploration Technologies (Space X) è stata la prima azienda a spedire un veicolospaziale nell’orbita bassa terrestre e a farlo rientrare nell’atmosfera. Il volo fa parte di una collaborazione con la NASA per almeno 12 viaggi finalizzati al rifornimento della Stazione Spaziale Internazionale.

Brendt Feuerbacher

Presidente International Astronautical Federation

Questi grafici rappresentano una straordinaria raccolta di dati sulla storia dei voli nello spazio e mostrano con grande immediatezza alcuni fatti fondamentali.

Il confronto, nel periodo iniziale tra le due sole potenze allora operanti, Stati Uniti e Unione Sovietica, mostra il ruolo assolutamente predominante, per entrambi i paesi, della componente militare in tempi di guerra fredda. Ma, mentre in Occidente questa componente ha cominciato a calare alla metà degli anni Sessanta, in Oriente è rimasta molto elevata a causa della vita media molto più breve dei satelliti spia sovietici.

Da notare anche, nell’ultima decade del secolo scorso, la rilevante crescita dei carichi paganti di natura commerciale negli Stati Uniti, derivante dall’impatto economico dei satelliti sui sistemi di telecomunicazione e di navigazione.

Ancora più interessante, nella seconda parte del grafico, appare la dimostrazione del crescente interesse di tanti altri paesi per i voli spaziali. Mentre il numero di quelli in grado di lanciare l’uomo nello spazio è cresciuto solo da due a tre (si è aggiunta la Cina), quello dei paesi con attività di qualche tipo nello spazio è cresciuto a oltre 50. Evidentemente molti paesi emergenti si sono resi conto che lo spazio non è un dominio esclusivo dei paesi più ricchi, ma offre opportunità e benefici a tutto il mondo.

Di particolare importanza è il settore delle telecomunicazioni in paesi con grandi aree prive di infrastrutture, quello della mappatura di risorse alimentari ed energetiche, quello che registra le conseguenze di calamità atmosferiche naturali o generate dall’uomo. Paesi come l’India hanno dimostrato quanto siano utili le risorse spaziali per l’educazione a distanza nelle aree rurali e, in aggiunta, quanto una industria spaziale indigena possa stimolare innovazione e creare posti di lavoro altamente qualificati.

Non va dimenticata, infine, l’ispirazione che lo spazio offre alle giovani generazioni, aumentandone l’interesse per gli studi scientifici e tecnici.

Claudio Bruno

DIMA, Università di Roma

Alcune considerazioni prima di tentare un commento ai grafici presentati nelle pagine precedenti. Uno ovvio, prima di tutto: la guerra fredda è finita. Come si vede bene, la gran parte dei lanci verso lo spazio sono stati a fini militari, sia da parte americana, sia soprattutto russa. La seconda è che i carichi paganti sono diventati più sofisticati e capaci di compiti multipli, cosi che un numero sempre inferiore di satelliti è stato necessario per raggiungere risultati scientifici o industriali.

Infine, i lanciatori attuali sono in grado di mettere in orbita più di un satellite alla volta.

Detto ciò, l’impressione chiara è quella di un ritiro dallo spazio da parte di tutti i paesi tradizionalmente impegnati a “conquistarlo”. Tutti stanno riducendo al minimo le risorse dedicate al settore, a causa di tagli ai bilanci pubblici e a un diminuito interesse da parte del largo pubblico, che si chiede sempre più spesso perché sostenere questi costi elevati.

I paesi emergenti (Cina e India) possono diventare protagonisti, ma a condizione che le loro economie non crescano troppo velocemente. Se il loro reddito pro capite continuasse a crescere ai ritmi attuali, si troverebbero con gli stessi problemi dell’Unione Europea e degli USA, il che potrebbe succedere già entro 15 o 20 anni.

Il problema è che, in sintesi, la spiegazione dei costi dei programmi spaziali si basa su fondamentali principi di fisica: noi siamo nel fondo di un pozzo gravitazionale e andare in orbita con le attuali tecnologie dei razzi è estremamente costoso.

Esistono tecnologie per ridurre il costo dell’andare in orbita, grazie a lanciatori riutilizzabili. Tuttavia, le soluzioni diverse che si possono suggerire, si scontrano contro le tradizionali politiche industriali del settore aerospaziale che, in realtà, vive e prospera proprio grazie al fatto che in ogni lancio viene sprecato circa il 95 per cento dei materiali impiegati.

Paul A. Czysz

Professore emerito, Saint Louis University

Non penso che quello della riduzione dei lanci nello spazio sia un problema di tecnologia, ma piuttosto di filosofia di gestione. Se la NASA avesse dovuto gestire uno squadrone di B52, probabilmente avrebbe lanciato un aereo al mese, dato che normalmente un B52 non decolla con il 100 per cento dei suoi componenti funzionanti. L’aviazione americana lo sa, e anche i Russi lo sanno, come ho potuto notare a Baikonur nel 1991.

Il vettore della Soyuz è arrivato adagiato su un vagone ferroviario alle 5.30. Alle 8.30 lo stadio superiore e la capsula gli erano stati agganciati, sempre orizzontalmente, durante il trasporto verso la rampa di lancio, dove poi il complesso veniva posto in verticale.

Alle 10 e 30 le otto persone addette avevano lasciato la rampa e tutte le fasi di rifornimento e di controllo erano state completate con una tecnologia considerata “antiquata” da tutti gli osservatori. Alle 16 e 30 siamo stati invitati al punto di osservazione a mezzo chilometro dalla rampa.

Nessun conto alla rovescia. All’improvviso dagli altoparlanti è risuonata la parola putch e i motori hanno iniziato l’accensione. Alle 17 e 05, con fragore la Soyuz è partita, meno di 12 ore dall’avvio della procedura. Altri sette lanciatori erano nel “deposito” e ciascuno poteva essere lanciato in meno di 10 ore in caso di emergenza.

L’elemento chiave di un sistema di lanci per lo spazio a basso costo è una infrastruttura che consenta lanci molto frequenti. I militari lo sanno, l’aviazione di linea lo sa, la NASA non lo ha mai capito e così siamo senza una infrastruttura per lo spazio. Ci sono studi di ben quarant’anni fa, validi ancora oggi, che spiegano come si dovrebbe fare.

Uno scenario era quello di 74 voli all’anno verso la stazione spaziale con una flotta di 10 velivoli riutilizzabili, che dovrebbero volare ciascuno 7 volte l’anno per 15 anni, con una vita operativa di 100 voli. Un sistema come questo, fatto di componenti sperimentati, è lontanissimo da quanto siamo arrivati ad avere oggi.

didascalie

Dalla fine del 2011, dopo l’ultimo volo della navetta spaziale NASA, non sono previste altre spedizioni di uomini nello spazio, a meno che il settore commerciale non intervenga per colmare questo vuoto.

Lo scorso anno, Space Exploration Technologies (Space X) è stata la prima azienda a spedire un veicolo spaziale nell’orbita bassa terrestre e a farlo rientrare nell’atmosfera.

Il volo fa parte di una collaborazione con la NASA per almeno 12 viaggi finalizzati al rifornimento

della Stazione Spaziale Internazionale.

Lo Shuttle tocca il suolo del Runway 15 dello Shuttle Landing Facility al Kennedy Space Center della NASA, in Florida. L’Atlantis ha concluso il 26esimo atterraggio notturno dei voli Shuttle e il 78esimo atterraggio in questa base americana L’atterraggio dello Shuttle chiude un’era di esplorazioni spaziali e di voli verso la Stazione Spaziale Internazionale.

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