Progressi sulla fusione a confinamento magnetico

L’ambizioso progetto portato avanti da una collaborazione MIT-Eni promette una vera e propria rivoluzione in campo energetico in quanto permetterebbe di avere a disposizione una fonte di energia pulita, sicura e praticamente inesauribile.

di Lisa Ovi

Alla base di ogni forma di vita ed ogni evoluzione sul pianeta Terra c’è l’energia del Sole. E proprio di energia abbiamo sempre più bisogno in una società umana che vorrebbe conquistare l’equilibrio tra sostenibilità e progresso tecnologico. Non può stupire quindi che la scienza si sia domandata se sia possibile riprodurre e rendere utilizzabile la grande capacità del Sole di generare energia.

Ecco dunque il progetto del Massachusetts Institute of Technology dedicato allo studio della fusione a confinamento magnetico. Avviato nei primi mesi del 2018, l’esperimento viene condotto al MIT Laboratory for Innovation in Fusion Technologies (LIFT) grazie al supporto della società energetica italiana Eni, uno dei fondatori del MIT Energy Initiative (MITEI), l’hub dedicato alla ricerca, educazione e collaborazione nel campo delle tecnologie di produzione dell’energia.

Il progetto di ricerca sulla fusione a confinamento magnetico è promosso da Eni con un finanziamento di € 63 milioni al consorzio Commonwealth Fusion Systems (CFS), società spin-out del MIT costituita da un gruppo di ex ricercatori e scienziati del famoso istituto tecnologico che da anni è impegnato nelle ricerche sulla fisica del plasma e sulla fusione. Il consorzio CFS cui partecipa Eni è uno dei più grandi progetti di ricerca e sviluppo finanziati da privati mai intrapresi nel campo della fusione.

Cos’è la fusione a confinamento magnetico? All’origine della potenza del Sole e delle altre stelle, c’è la fusione tra nuclei d’idrogeno, una reazione fisica naturale che libera un’enorme quantità di energia a zero emissioni di gas serra o sostanze inquinanti e senza produrre scorie radioattive. Lo svantaggio è che è molto difficile da replicare artificialmente sulla Terra in quanto la fusione tra due nuclei di isotopi dell’idrogeno, aventi la stessa carica, richiede l’utilizzo di plasma a temperature di centinaia di milioni di gradi.

Per arrivare a riprodurre e rendere utilizzabile il processo di fusione, serve un dispositivo a forma di ciambella chiamato Tokamak, capace di mantenere il plasma sospeso grazie ad un campo magnetico generato da bobine poste intorno alla camera: si evita così il contatto con le pareti interne. Da qui il nome della tecnologia: fusione a confinamento magnetico.

Studiare, progettare e realizzare macchine in grado di gestire reazioni fisiche simili a quelle che avvengono nel cuore delle stelle è un traguardo tecnologico ambito. Il prototipo di reattore in studio al MIT si pone l’obiettivo di essere disponibile sin dal 2025: si chiamerà SPARC e sarà in grado di gestire e confinare il plasma, ovvero la miscela di deuterio e trizio portata a temperature altissime da fasci di onde elettromagnetiche per creare le condizioni di fusione controllata. Il patrimonio di conoscenze acquisite dalla sperimentazione consentirà quindi di progettare e realizzare ARC, il primo reattore capace di immettere energia da fusione nella rete elettrica che, secondo la tabella di marcia, sarà disponibile entro il 2033.

A due anni e mezzo di distanza dall’avvio, sette studi pubblicati in un numero speciale del Journal of Plasma Physics fanno il punto della situazione sulle basi scientifiche che porteranno alla realizzazione dello SPARC, il primo dispositivo sperimentale progettato per ottenere dal “plasma ardente” una reazione di fusione autosufficiente capace di generare elio dall’idrogeno senza che siano richiesti ulteriori input di energia.

Partiamo dall’informazione fornita da Martin Greenwald, vicedirettore del Plasma Science and Fusion Center del MIT e uno dei principali scienziati del progetto, secondo cui il lavoro procede senza intoppi come da tabella di marcia prestabilita, anche a fronte degli inevitabili rallentamenti dovuti alla pandemia da Covid-19 in corso. L’inizio della costruzione della macchina è previsto per il mese di giugno del 2021.

Gli studi descrivono i calcoli e gli strumenti di simulazione utilizzati per la progettazione dello SPARC. Gli autori hanno utilizzato simulazioni all’avanguardia e modellazione dei plasmi eseguite su potenti supercomputer come l’HPC5 di Eni, il più potente supercomputer non governativo al mondo nonché il più green.

L’analisi svolta finora mostra che la produzione di energia di fusione pianificata del tokamak SPARC dovrebbe ottenere un fattore Q – un parametro chiave che denota l’efficienza di un plasma di fusione – di almeno 2, ovvero dovrebbe produrre il doppio dell’energia di fusione rispetto alla quantità di energia necessaria a generare la reazione. Ma no è tutto: secondo i calcoli, SPARC potrebbe conseguire un rapporto Q di 10 o più.

Gli studi descrivono molti dei dettagli relativi alla progettazione della macchina, come i metodi migliori per alimentare il dispositivo con l’energia necessaria per l’avvio, l’iniezione del deuterio e il recupero dell’energia generata, piuttosto che l’eliminazione dell’elio prodotto dalla fusione. Si fanno proposte per la gestione di possibili transitori termici o di potenza improvvisi e si definisce come e dove misurare i parametri chiave necessari al monitoraggio del funzionamento della macchina. Finora, le modifiche al progetto ritenute necessarie sono state minute: è stato, per esempio, incrementato il diametro del tokamak di circa il 12 percento.

Secondo Greenwald, c’è ancora molto da imparare sulla fisica della combustione del plasma e molte informazioni chiave potranno essere acquisite una volta avviata la macchina e aperta la strada alla realizzazione di dispositivi di fusione commerciali che producono energia alimentati da un combustibile – gli isotopi deuterio e trizio dell’idrogeno – disponibile in quantità pressoché illimitate.

Immagine: SPARC, T. Henderson, CFS/MIT-PSFC su Wikimedia Commons

(lo)

Related Posts
Total
0
Share