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Il nuovo Presidente USA si propone come difensore del pianeta contro i cambiamenti climatici, ma la decarbonizzazione americana potrebbe incontrare una tenace e agguerrita resistenza da parte di grandi corporazioni come Exxon.

di Lisa Ovi

La lotta contro i cambiamenti climatici sarà certamente una delle priorità del neo presidente Joe Biden. Per quanto si sappia, il suo programma prevederà investimenti di almeno 1,7 trilioni di dollari nei settori dell’energia, dei trasporti e dell’agricoltura. Ma l’allineamento delle politiche energetiche statunitensi con gli obbiettivi di decarbonizzazione dell’Europa e di gran parte del resto del mondo potrebbero incontrare ancora qualche resistenza.

Ridurre a zero le emissioni entro il 2050 per evitare il peggio della crisi climatica è ancora possibile, ma mentre in Europa e Gran Bretagna i programmi per riuscirci sono stati caldeggiati e bene accolti sia dal pubblico sia dalla classe politica, il Green New Deal proposto negli Stati Uniti ha generato forti opposizioni da parte dei conservatori, tra cui resistono ancora teorie negazioniste. La stessa pandemia è stata vista, soprattutto in Europa, come un’occasione per accelerare il cambiamento di rotta verso un’economia circolare alimentata da fonti di energia sostenibile.

Come descrive chiaramente un articolo di ottobre della CNBC, la transizione verso politiche più vicine al Green New Deal non sarà semplice per gli USA dopo quattro anni di amministrazione pro-petrolio del presidente uscente Trump, il quale addirittura nominò primo Segretario di Stato l’ex amministratore delegato della ExxonMobil, Rex Tillerson.

In Europa, protagonisti dell’energia come BP ed Eni hanno si sono adeguati da tempo al nuovo indirizzo dell’opinione pubblica e della politica, annunciando programmi mirati al controllo delle emissioni. Il piano Net Zero della BP prevede l’eliminazione di ogni emissione dalle proprie operazioni entro il 2050, per un totale di oltre 400 milioni di tonnellate di anidride carbonica emessa in meno ogni anno.

Il piano per la transizione energetica di Eni è ancora più ambizioso. Nei prossimi 30 anni, infatti, il Gruppo italiano prevede di sostenere il fabbisogno di energia fossile mediante lo sfruttamento più efficiente di giacimenti esistenti, diminuire progressivamente l’estrazione di idrocarburi e in parallelo sviluppare e potenziare la vendita di biometano ed energia da fonti rinnovabili. L’obiettivo è quello di una maggiore efficienza produttiva grazie a cui sia possibile una riduzione di costi ed emissioni, a fronte di una richiesta di energia fossile che secondo le previsioni si manterrà intorno al 45 per cento circa dei consumi globali almeno fino al 2050.

Assai diversa appare la situazione della statunitense ExxonMobile, le cui politiche sono state caratterizzate per decenni dalla convinzione che la crescita della popolazione mondiale e la espansione della classe media non potessero che generare una sempre maggiore richiesta di idrocarburi. In effetti, riflettendo le politiche dei Conservatori USA, ExxonMobil non ha mai cessato di investire in nuovi progetti volti ad aumentare la produzione di carburanti fossili.

Come precisa un recente articolo del Financial Times, mentre le società concorrenti fanno fronte alle nuove esigenze di mercato investendo nella transizione energetica, la ExxonMobile, già in difficoltà prima della pandemia, ha deciso di continuare a puntare su gas e petrolio, aumentandone di almeno un terzo le produzioni, nella convinzione che, anche a fronte della parallela transizione energetica, rimarranno fondamentali in una economia mondiale impegnata a recuperare e se possibile incrementare le proprie dinamiche espansive.

La sfida di Biden contro i cambiamenti climatici non sarà, dunque, per nulla semplice. Il suo piano per il clima dovrà confrontarsi con resistenze eccezionali.