Lo spazio ad 8 dimensioni in cui cercare tracce di vita aliena

Un nuovo modello matematico suggerisce la possibilità che le tracce di intelligenza extraterrestre possano essere comuni, abbiamo a malapena cominciato a studiare l’immensità in cui potrebbero risiedere.

di ArXiv

Il paradosso di Fermi descrive il contrasto tra la possibilità che esista vita altrove nell’universo e il fatto che non ne esistano prove. È difficile credere che le condizioni a cui si deve lo sviluppo della vita sul pianeta Terra non si siano manifestate anche altrove, eppure gli astronomi non hanno trovato segni di vita intelligente altrove.

Nel 2010, Jill Tarter e colleghi astronomi hanno formulato l’ipotesi secondo cui i segnali radio alieni potrebbero benissimo essere comuni e ben visibili nel nostro universo; sarebbero invece incomplete le ricerche degli astronauti, paragonabili, secondo Tarter e colleghi, a cercare tracce dell’esistenza dei pesci in un bicchiere di acqua marina.

Jason Wright e colleghi della Pennsylvania State University, hanno caratterizzato lo spazio di riferimento che gli astronomi dovrebbero esplorare per trovare segni di vita, uno spazio così vasto che le ricerche SETI (Extra-Terrestrial Intelligence), non ne hanno che graffiato la superficie. “Abbiamo sviluppato la metafora del cosiddetto ‘Pagliaio Cosmico’ multidimensionale da esplorare… creando un modello quantitativo a 8 dimensioni, per poi calcolare quale frazione di questo spazio sia stata effettivamente investigata dai numerosi programmi SETI,” hanno spiegato i ricercatori.

Le dimensioni relative prese in considerazione includono 3 dimensioni, il range di frequenze dei possibili segnali, la loro cadenza di ripetizione, polarizzazione e modulazione, la larghezza di banda e la sensitività delle ricerche rispetto alla potenza di trasmissione. Il volume di spazio tridimensionale che può essere esplorato è pari al volume dell’universo incentrato sul nostro sistema solare fino ad una determinata distanza. Wright e colleghi hanno definito questo spazio come 10 kiloparsec, circa 30,000 anni-luce, approssimativamente la distanza che ci separa dagli ammassi globulari che orbitano attorno alla Via Lattea.

È difficile caratterizzare le altre dimensioni. Laddove un segnale continuo è semplice da gestire, un segnale che si ripete più raramente lo è di meno. Definire le dimensioni di questo pagliaio cosmico significa trovare il modo di comporre insieme tutte queste dimensioni. Nelle parole di Wright e colleghi: “Il volume del pagliaio è quindi un volume integrale definito in uno spazio ad 8 dimensioni, e la frazione esplorata può essere calcolata a partire dalla funzione di sensitività di ciascun sondaggio.” Lo spazio risultante è immenso. “Si tratta di un pagliaio in 8D, del volume di 6.4 ? 10116 m5Hz2 s/W,” spiegano Wright e colleghi, secondo cui gli astronomi non ne avrebbero esplorato che 5.8 x 10-18 del volume totale. Volendo tornare al paragone iniziale, è come se di tutti gli oceani della Terra, non fossero stati esplorati più di 7,700 litri, l’equivalente di una grande vasca da bagno.

La ricerca di Wright e colleghi suggerisce, quindi, che le esplorazioni SETI non abbiano fallito, piuttosto, sono appena cominciate. C’è ancora molto lavoro da fare e come dice Wright: “Speriamo che il Pagliaio Cosmico sia pieno di aghi.”

Per approfondire: How Much SETI Has Been Done? Finding Needles in the n-Dimensional Cosmic Haystack

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