Lo scroll degli inutili, le piattaforme social non fanno nulla contro le fake news scientifiche

A due anni dall’inizio della pandemia, Facebook e Twitter non stanno facendo abbastanza per contrastare la disinformazione che sta colpendo alcuni eminenti scienziati impegnati pubblicamente nella lotta al Covid

di MIT Technology Review Italia

Il nostro documento”, spiega Luca Nicotra, responsabile delle campagne online di Avaaz, “mostra come le piattaforme delle grandi aziende social non abbiano intrapreso alcuna azione su almeno metà dei post pubblicati, anche se la veridicità dei contenuti è stata smentita dai verificatori di fatti”.

Le minacce online rivolte agli scienziati sono diventate un grave problema durante la pandemia di covid. Un sondaggio di “Nature” dello scorso anno ha rilevato che molti scienziati che avevano parlato pubblicamente della malattia avevano subito attacchi alla loro credibilità o reputazione, o erano stati minacciati di violenza. Circa il 15 per cento aveva ricevuto minacce di morte.

Avaaz ha preso in considerazione la disinformazione sui siti di Facebook, YouTube, Twitter, Instagram e Telegram riguardante tre scienziati di spicco: l’immunologo Anthony Fauci, il virologo tedesco Christian Drosten e il virologo belga Marc Van Ranst.

Come riportato da “Nature”, l’organizzazione non governativa, tra gennaio e giugno del 2021, ha identificato 85 post sulle piattaforme che contenevano falsi accertati dai verificatori relativi agli scienziati e alle loro istituzioni di riferimento. Alla fine dello studio, il 49 per cento dei post era ancora attivo e non era stato rimosso o etichettato con un avviso dei fact-checker. I post avevano raggiunto quasi 1,9 milioni di interazioni.

L’etichettatura è una “strategia molto efficace, soprattutto se vengono informati anche gli utenti che hanno precedentemente interagito con il contenuto. Gran parte del rapporto di Avaaz si concentra su Facebook in parte perché le dimensioni della piattaforma consentono una migliore analisi statistica, ma anche perché gli altri siti mancano di trasparenza e generalmente non forniscono l’accesso ai dati e agli strumenti necessari.

Un portavoce di Meta dice che l’azienda ha regole rigide sulla disinformazione su covid e vaccini e non consente a nessuno di avanzare minacce di morte contro altri sulla piattaforma. Inoltre sostiene che sono stati rimossi oltre 24 milioni di contenuti per aver violato tali politiche dall’inizio della pandemia, inclusi quelli citati nel rapporto di Avaaz, e di avere aggiunto etichette di avviso a 195 milioni di contenuti che risultavano comunque problematici, al di là della violazione di regole.

Nicotra ribatte che le piattaforme non riescono a intervenire su un gran numero di post problematici, soprattutto al di fuori degli Stati Uniti e dell’Europa, e in lingue diverse dall’inglese. Come si evince dai documenti pubblicati dall’informatrice Frances Haugen, nel 2020, Facebook ha destinato solo il 13 per cento del suo budget allo sviluppo di algoritmi di rilevamento della disinformazione al di fuori degli Stati Uniti.

“Un altro problema”, spiega Nicotra, “è che gli algoritmi che governano i social media sono progettati per coinvolgere le persone e quindi le piattaforme tendono a evidenziare i contenuti controversi o emotivamente coinvolgenti”. A suo parere, le nuove normative, come il Digital Services Act dell’Unione Europea, che richiede alle aziende di valutare e agire per ridurre il rischio di danni alla società derivanti dai loro prodotti, potrebbero favorire un intervento per cambiare questi algoritmi.

Alcune organizzazioni hanno iniziato a lavorare su modi per sostenere gli scienziati che affrontano molestie online. Nel dicembre del 2021, l’Australian Science Media Center di Adelaide ha tenuto un webinar che ha fornito consigli pratici agli scienziati su come proteggersi, incluso come controllare le impostazioni della privacy e dove e come segnalare gli abusi. 

Il webinar ha anche evidenziato la necessità che le istituzioni forniscano supporto. Fiona Fox, amministratore delegato della SMC di Londra, ha comunicato che il suo team ha in programma di organizzare un evento simile il 24 febbraio per aiutare i ricercatori a sentirsi più sicuri quando parlano del loro lavoro in pubblico perché l’interesse comune risiede in una buona comunicazione scientifica“.

Immagine di: Annie Spratt, Unsplash

(rp)

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