La tecnologia in difesa delle barriere coralline

Thomas J. Goreau ha creato un sistema di reti sottomarine elettrificate per ricostruire l’ambiente di coralli che non sta reggendo l’urto dei cambiamenti climatici e dell’inquinamento.

di Ari Daniel

Non appena ha potuto camminare, Tom Goreau ha nuotato nelle calde acque al largo della Giamaica, dove è cresciuto. Ricorda l’acqua sempre limpida e blu al punto da vedere fino ai coralli e alla vita marina che ricopre il fondo. Negli anni 1950, il padre di Goreau, Thomas Fritz Goreau, considerato il primo scienziato marino subacqueo, aveva costruito da zero un’attrezzatura che gli aveva permesso di immergersi fino a diverse decine di metri. “Probabilmente all’epoca deteneva il record mondiale di immersione in profondità con aria compressa”, afferma suo figlio. 

Il nonno di Goreau, Fritz Goro, è stato l’inventore della macrofotografia, con primi piani estremi di piccoli oggetti, e il primo a usarla sott’acqua. Insieme, Il nonno e il padre di Goreau scattarono alcune delle prime fotografie di coralli. Anche sua madre, Nora Goreau, aveva un notevole legame con il mare: fu la prima biologa marina panamense. 

Goreau in un’immagine del film “Coral Ghosts”. Ian Robinson

Goreau, la cui storia di famiglia è raccontata nel nuovo documentario Coral Ghosts ha testimoniato per sette decenni il costante declino globale delle barriere coralline, che si sono degradate in campi di macerie e alghe. “So bene come erano le barriere coralline”, dice. “Qualcosa di magnifico. E ora sono sostanzialmente sparite, come Hiroshima il giorno dopo la bomba atomica”. 

Negli anni 1980, anche in virtù della sua laurea in fisica planetaria al MIT (e di una laurea al Caltech e ad Harvard), Goreau ha aperto la strada all’uso delle temperature della superficie del mare raccolte dai satelliti per prevedere a che punto i coralli si sarebbero sbiancati. Ma quella soglia è stata di gran lunga superata. Il cambiamento climatico ha cotto e sbiancato i coralli. L’acidificazione degli oceani li ha dissolti. E l’inquinamento locale ha segnato il loro destino.

In qualità di presidente dell’organizzazione no profit Global Coral Reef Alliance (GCRA), Goreau aiuta le popolazioni locali e indigene a identificare quali fattori di stress stanno uccidendo le loro barriere coralline locali e come ridurre tale impatto negativo. Rivolge il suo messaggio ai pescatori più anziani “perché sono gli unici a ricordare com’erano”, dice. Il pubblico giovane è meno ricettivo: le storie dei più grandi sulla brulicante vita oceanica sono come miti per una generazione che conosce le barriere coralline come luoghi che ospitano a malapena alcuni piccoli pesci. 

Goreau ha messo in piedi un sistema chiamato Biorock. Lui e il suo piccolo team GCRA saldano insieme reti di barre d’acciaio, le immergono sott’acqua dove un tempo si trovavano le scogliere e le fanno attraversare da una corrente. Nel tempo, una crosta di calcare ispessita cresce per coprire e rafforzare la rete. Vi si innestano frammenti di corallo, che continuano a crescere e talvolta vanno oltre la struttura originaria. Il risultato attira numerose creature marine e protegge le spiagge erose dalle onde (come facevano una volta le barriere coralline). 

Biorock può essere utilizzato anche per ripristinare altri habitat marini come quelli costituiti da alghe e paludi salmastre, osserva Goreau. È un mezzo, spiega, per “rigenerare l’ecosistema e lavorare con persone che stanno cercando di salvare quanto rimasto”. Ha costruito circa 700 di questi reef artificiali e la sua speranza è di contribuire a difendere l’ambiente naturale.

Porta avanti la sua attività nelle Isole Marshall, nel Pacifico centrale. Negli anni 1940, gli abitanti dell’atollo di Bikini furono evacuati con la forza nelle altre isole in modo che gli Stati Uniti potessero testare le loro bombe atomiche. Oggi Goreau spera che le sue barriere coralline elettrificate possano proteggere queste isole dalle inondazioni e dall’innalzamento del livello del mare.

Bikini Atoll è stato anche il luogo dove, decenni fa, suo padre e suo nonno hanno iniziato il loro lavoro fotografico. Circa 25 anni dopo, mentre Goreau studiava al MIT, suo padre, come molti degli sfollati dell’atollo di Bikini, morì a causa dell’esposizione accumulata alle radiazioni.

Il mondo sottomarino che Goreau conosceva da ragazzo, e tutto ciò di cui era pieno, è scomparso da tempo. Questo lo fa sentire “molto simile a qualcuno che è l’ultimo sopravvissuto di una cultura morente”, spiega, “il testimone di un oceano che ora esiste solo negli album di fotografie sbiadite della sua famiglia”. 

(rp)

foto: Thomas Goreau (a sinistra) in immersione con Komang Astari per esaminare una nuova installazione di Biorock a Bali.Matthew Oldfield

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