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Chiunque vinca, dovrà rimettere in piede un paese devastato dalla pandemia per competere con una Cina sempre più forte.

di MIT Technology Review

Le elezioni presidenziali americane di martedì prossimo daranno forma al mondo per anni, se non decenni, a venire. Non solo perché Joe Biden e Donald Trump hanno idee radicalmente diverse su immigrazione, sanità, razza, economia, cambiamenti climatici e il ruolo dello stato stesso, ma perché rappresentano visioni molto diverse del futuro degli Stati Uniti come superpotenza tecnologica.

In quanto organizzazione non profit, “MIT Technology Review” non può sostenere un candidato. Il nostro messaggio principale è che chiunque vinca, non sarà sufficiente per lui intervenire sugli evidenti fallimenti degli Stati Uniti nella gestione della pandemia e prendere sul serio il cambiamento climatico. Dovrà anche riportare il paese su un piano competitivo con la Cina, una superpotenza tecnologica in rapida crescita che ora ha l’ulteriore vantaggio di non essere paralizzata dal covid-19. Per fare ciò, dovrà compensare anni di trascuratezza del governo – anche da quelli precedenti all’attuale presidente – del tipo di ricerca che ha reso gli Stati Uniti il motore tecnologico del mondo.

La tabella di marcia di Trump

I risultati del presidente in materia di scienza e tecnologia parlano da soli. Dall’inizio della pandemia, ha ignorato con orgoglio le raccomandazioni degli esperti. Ha trasformato i Centers for Disease Control, una volta una delle agenzie sanitarie pubbliche più affidabili al mondo, in una inutile struttura burocraticaha esercitato pressioni sulla Food and Drug Administration affinché fornisse una frettolosa approvazione a trattamenti e vaccini non provati, forse pericolosi; ha considerato la sua task force sul coronavirus in gran parte irrilevante; e ha messo da parte Anthony Fauci, il massimo esperto di malattie infettive della nazione, che ha definito un “disastro”. 

In una recente manifestazione, ha preso in giro Biden per aver promesso di “ascoltare gli scienziati”; al contrario, 81 premi Nobel hanno firmato una lettera a sostegno di Biden esattamente per questo motivo. “Science”, “Nature”, il “New England Journal of Medicine” e “Lancet”, probabilmente le quattro riviste scientifiche più importanti del mondo, hanno tutte criticato il modo in cui Trump ha gestito la lotta al covid.

L’atteggiamento del presidente nei confronti della scienza del clima è, ovviamente, altrettanto sprezzante. Ha ritirato gli Stati Uniti dall’accordo di Parigi; il riscaldamento globale è solo una sciocchezza (“Comincerà a raffreddarsi. Basta aspettare“); ha annullato una serie di norme su inquinamento, emissioni di gas serra, estrazione di combustibili fossili, sostanze chimiche tossiche e altre questioni ambientali e ha tentato, infine, senza successo, di impedire agli stati di fissare obiettivi di emissioni più severi rispetto al governo federale.

Queste politiche riflettono il più ampio disprezzo dell’amministrazione per la scienza e la tecnologia nel loro complesso. Ogni anno, la Casa Bianca di Trump ha proposto tagli profondi ai finanziamenti per la ricerca non legata alla difesa presso agenzie come la National Science Foundation, il National Institutes of Health, la Environmental Protection Agency e il Dipartimento dell’Energia. Ogni anno, invece, il Congresso ha concesso aumenti. Potrebbe essere più difficile questa volta, quando anche i legislatori stanno cercando di mantenere a galla un’economia malconcia. Le leggi della Camera approvate finora mantengono a stento i fondi per la ricerca ai livelli dell’anno scorso.

Ci sono delle note positive. La proposta di bilancio di quest’anno dell’amministrazione, sebbene tagli il 6,5 per cento del bilancio della National Science Foundation, quasi raddoppia la spesa per la ricerca dell’agenzia sull’intelligenza artificiale e la scienza dell’informazione quantistica, tecnologie che potrebbero essere importanti dal punto di vista economico e militare. La proposta aumenta anche il finanziamento della NASA del 12 per cento

Tuttavia, gran parte dell’incremento è per supportare la visione del vicepresidente Mike Pence di riportare gli astronauti sulla Luna entro il 2024, un obiettivo di grande impatto emotivo, ma non realistico, opportunamente programmato per quando Pence potrebbe candidarsi alla presidenza. I programmi di ricerca meno appariscenti ma più scientificamente validi alla NASA saranno tagliati.

L’asse economico si sposta a Est

Anche se Joe Biden vincesse e invertisse queste politiche, dovrà fare i conti con un indebolimento del primato tecnologico degli Stati Uniti iniziato ben prima di Trump. Il paese che ha dato vita alla Silicon Valley è diventato compiacente riguardo al mantenimento della base scientifica e industriale che ha reso possibile la Valle tecnologica. Per decenni, gli Stati Uniti hanno voltato le spalle al ruolo essenziale del governo nel sostenere la scienza e la tecnologia. La ricerca e sviluppo finanziata dal governo è scesa da oltre l’1,8 per cento del PIL a metà degli anni 1960, quando era al suo picco, a poco più dello 0,6 per cento oggi (si veda grafico 1). I finanziamenti del settore privato hanno compensato il calo.

grafico 1

Anche la quota di finanziamento del governo per la ricerca di base è diminuita, da oltre il 70 per cento nella metà del XX secolo al 42 per cento nel 2017. Anche in questo caso, il settore privato ha colmato il divario, ma le sue priorità sono diverse; infatti gran parte del nuovo flusso sostitutivo è nel settore farmaceutico. I governi preferiscono finanziare scommesse rischiose a lungo termine come energia pulita, materiali sostenibili o produzione intelligente, i tipi di tecnologie di cui il mondo ha davvero bisogno in questo momento.

In Cina, la R&S finanziata dal governo è cresciuta gradualmente in percentuale sul PIL (si veda grafico 2), anche se l’economia è esplosa di dimensioni. La vera misura degli investimenti pubblici è probabilmente più alta, poiché gran parte della spesa in R&S del settore privato proviene da imprese di proprietà statale che in una certa misura prendono ordini dal governo.

grafico 2

Nel complesso, la spesa cinese in ricerca e sviluppo sta aumentando, avvicinandosi al livello degli Stati Uniti (si veda grafico 3). È vero che la Cina è ancora molto indietro su molte misure. La ricerca di base, sebbene in crescita, rappresenta ancora una quota molto minore del PIL rispetto agli Stati Uniti o ad altre economie avanzate (si veda grafico 4). Inoltre, come abbiamo avuto modo di scrivere, anche se il numero di articoli scientifici e brevetti pubblicati da ricercatori cinesi sta aumentando, la qualità di quel lavoro (misurata, per esempio,dal numero di citazioni) è bassa e i premi Nobel locali sono pochi.

grafico 3
grafico 4

Tuttavia, il divario si sta riducendo. Kai-Fu Lee, un venture capitalist ed ex capo di Google China, ha espresso un’opinione spesso ascoltata in un recente eventoorganizzato dal China Institute di New York. Gli Stati Uniti, ha detto, sono “più avanti nella ricerca fondamentale sull’AI così come in quasi ogni altro dominio”, ma la Cina sta “recuperando rapidamente” e ha un vantaggio nelle applicazioni di intelligenza artificiale che richiedono l’impiego di masse di dati, come la traduzione automatica e il riconoscimento vocale.

Gran parte dell’accelerazione tecnologica della Cina è legata a piani statali come “Made in China 2025”, che mira a rendere la Cina più autosufficiente (pagina 21) in settori chiave ad alta tecnologia come veicoli a emissioni zero, robot industriali, chip per telefoni cellulari e dispositivi medici. Ciò è in netto contrasto con l’approccio degli Stati Uniti, in cui il principale motore delle decisioni su dove vanno i soldi sono stati i venture capitalist e i giganti tecnologici, tutti alla disperata ricerca della prossima idea di prodotto che possa rapidamente trasformarsi in un affari da miliardi di dollari.

Naturalmente, si dovrebbero prendere le affermazioni fatte su Made in China 2025 con un pizzico di sale. Le carenze delle economie pianificate centralmente sono ben documentate e i governi di solito non sono molto bravi nell’innovazione. Le riforme normative della metà del XX secolo che hanno aperto la strada all’industria del capitale di rischio sono probabilmente alcune delle più importanti politiche tecnologiche che gli Stati Uniti abbiano mai adottato.

Tuttavia, è diventato sempre più chiaro in Occidente che mentre il modello del capitale di rischio è buono per costruire le cose che le persone vogliono, è meno abile a produrre le cose di cui la società ha bisogno per risolvere problemi difficili a lungo termine come le pandemie e il cambiamento climatico.

Di recente, economisti occidentali come Mariana Mazzucato dell’University College di Londra hanno sostenuto l’idea che i governi dovrebbero essere più attivi nella definizione delle priorità economiche e tecnologiche. Negli ultimi decenni questo tipo di interventismo, noto come politica industriale, ha avuto una cattiva reputazione, in quanto la scelta dei settori o delle aziende da supportare tende a ritorcersi contro. 

Ma Mazzucato chiede un approccio che miri invece a una trasformazione ad ampio raggio, come l’incentivazione dell’economia green. Altri economisti, come Daron Acemoglu del MIT, sostengono che lasciare che la Silicon Valley stabilisca l’agenda non ha solo limitato l’innovazione ai tipi di invenzioni che possono realizzare profitti rapidi, ma ha contribuito alla crescita della disuguaglianza.

La pandemia fornisce un esempio significativo dei punti di forza relativi dell’America e della Cina. Le aziende americane – Moderna, Johnson & Johnson, Pfizer e Novavax – sono tra le poche che attualmente hanno un vaccino per il covid-19 negli studi clinici di fase 3 allo stesso modo di molte aziende cinesi: Sinovac, CanSino Biologics e Fosun Pharma. Ma la base industriale degli Stati Uniti, impoverita da decenni di outsourcing, è stata drammaticamente incapace di produrre attrezzature protettive, ventilatori e materiali per i test in serie nei primi giorni della pandemia, mentre la Cina ha risposto a queste richieste in pochissimo tempo.

In altre parole, il vecchio stereotipo secondo cui gli Stati Uniti inventano le cose e la Cina le produce è più antiquato che mai. La Cina sta raggiungendo gli Stati Uniti come capacità creative e li lascia molto indietro nel settore produttivo. Si tratta di una buona notizia per il mondo nel suo insieme perché più concorrenza significa più fonti di nuove idee. Ma la posizione degli Stati Uniti in un mondo del genere sembra sempre più debole.

Affrontare la sfida

Quest’estate, in risposta sia ai fallimenti degli Stati Uniti nella pandemia che alla concorrenza della Cina, un gruppo bipartisan di legislatori guidato dal senatore democratico Chuck Schumer e dal repubblicano Todd Young ha proposto l’Endless Frontier Act. La legge prevede investimenti di 100 miliardi di dollari in cinque anni per espandere la NSF e finanziare la ricerca in settori chiave, come AI, informatica quantistica, biotecnologia, energia avanzata e scienza dei materiali. 

Anche se il disegno di legge è stato rapidamente dimenticato mentre i legislatori litigavano sugli stimoli fiscali e sulla nomina alla Corte Suprema, è stato il segnale che i politici di entrambi gli schieramenti stanno iniziando a riconoscere l’importanza della scienza per rinvigorire l’economia. Biden ha un progetto che prevede una spesa di 300 miliardi di dollari in quattro anni per investimenti federali in R&S. Il suo piano include importanti fondi per varie agenzie, tra cui NSF e NIH, nonché “nuovi programmi tecnologici innovativi” in aree come AI, 5G e materiali avanzati. Propone inoltre una nuova Agenzia per i progetti di ricerca avanzata per la salute (ARPA-H) per supportare ulteriormente la ricerca medica.

In generale, l’amministrazione Trump è stata meno specifica su molti aspetti della tecnologia e meno entusiasta di finanziare in pompa magna la ricerca. Pur cercando di tagliare la ricerca e lo sviluppo, in particolare nell’energia pulita, ha aumentato gli investimenti in cinque “industrie chiave del futuro”: AI, informatica quantistica, 5G, produzione avanzata e biotecnologia, anche se non al livello richiesto da Biden. Gran parte della sua attenzione è stata dedicata alla riduzione di quelle che a suo parere sono barriere all’innovazione, come regolamenti e tasse.

Le promesse di Biden, ovviamente, sarebbero costose da mantenere, anche se entrambi i piani di stimolo all’economia aggiungerebbero probabilmente trillioni di dollari al debito nazionale nel prossimo decennio. Ed è tutt’altro che chiaro quali sarebbero i risultati. Ma per fare un confronto, Made in China 2025 è stato lanciato nel 2015 e solo in quell’anno il governo cinese ha creato circa 220 miliardi di dollari (pagina 17) di fondi di investimento sostenuti dallo stato per renderlo concreto.

Un’altra netta differenza tra i candidati è il loro atteggiamento nei confronti dell’immigrazione. Biden prevede di espandere il numero di visti per lavoratori stranieri altamente qualificati, come l’H-1B. L’industria tecnologica fa molto affidamento su questi lavoratori – c’è una carenza di manodopera qualificata anche nel mezzo di una recessione – e la ricerca mostra che il rilascio dei visti ha anche l’effetto a catena di creare nuovi posti di lavoro per chi è nato negli Stati Uniti. L’amministrazione Trump, tuttavia, sta limitando tali visti e prevede anche di ridurre la durata di quelli per gli studenti.

Paesi come il Canada e la Francia stanno già approfittando della politica dei visti più rigorosa degli Stati Uniti rendendo più facile per i lavoratori tecnologici stranieri andare nei loro paesi. Nel frattempo, il “Piano dei mille talenti” cinese investe molto per convincere scienziati nati in Cina e stranieri a fare le loro ricerche in Cina e, si presume, consente il furto della proprietà intellettuale americana. Ma qual è il modo migliore per gli Stati Uniti di rispondere: tagliare i fondi per la ricerca interna e i visti per spingere ancora più scienziati nelle braccia della Cina, o creare un ambiente di ricerca fiorente e accogliente per far desiderare loro di restare?

Un’area che il piano di Biden non menziona, ma di cui sarebbe necessario parlare con urgenza, è quella dei brevetti. Vengono regolarmente rilasciati per idee ovvie e ampiamente utilizzate: nel 2017, IBM ha ottenuto un brevetto per  le risposte automatiche di posta elettronica in caso di assenza dal posto di lavoro nonché per cose che sono fisicamente impossibili, come  i dispositivi antigravitazionaliCome ha scritto nel 2018 Zia Qureshi, una collega della Brookings Institution,  “le azioni legali dei troll dei brevetti comprendono più di tre quinti di tutte le cause per violazione della proprietà intellettuale negli Stati Uniti e sono costate all’economia circa 500 miliardi di dollari nel 1990-2010”.

Questa è una di quelle questioni in cui la riforma gode teoricamente di un sostegno bipartisan ma, in  pratica, è stata annacquata da interessi particolari. Il prossimo presidente deve sostenere misure di buon senso che garantiscano che i brevetti siano effettivamente concessi solo a idee veramente nuove, per periodi di tempo limitati.

Scienza, la frontiera infinita

Il nome di Endless Frontier Act di Schumer e Young è un riferimento a un rapporto di Vannevar Bush, l’ingegnere e tecnologo che aveva coordinato la ricerca americana durante la Seconda Guerra mondiale. Con l’avvicinarsi della fine delle ostilità, il presidente Franklin Roosevelt chiese a Bush idee su come applicare la conoscenza scientifica “nei giorni di pace a venire” per “il miglioramento del benessere nazionale, la creazione di nuove imprese che portassero nuovi posti di lavoro e il miglioramento del tenore di vita”.

Il rapporto risultante, intitolato “Science, The Endless Frontier“, delineò in modo molto dettagliato come gli investimenti federali nella scienza avrebbero potuto aiutare. Sebbene molte delle sue raccomandazioni siano state inizialmente messe in crisi da pressioni politiche, sarebbe diventato un documento centrale per sostenere il ruolo del governo nel finanziamento della scienza per affrontare le sfide più critiche del paese.

È successo 75 anni fa, e quelli erano tempi molto diversi. Nel frattempo, l’idea prevalente sui rispettivi ruoli del governo e del settore privato è cambiata. Ma il valore della scienza nel risolvere i nostri problemi – un tema su cui Bush è costantemente tornato – non è cambiato e la necessità per il governo di sostenere la creazione della nuova conoscenza è ancora una volta chiara. Gli ultimi mesi della pandemia hanno insegnato questa lezione e la contesa con la Cina negli anni a venire farà diventare il tema incandescente. L’unica domanda è se gli Stati Uniti lo impareranno senza pagare prezzi troppo alti.