Il flop americano sui test per il coronavirus

I primi kit di test per identificare il coronavirus dei Centers for Disease Control davano risultati a volte errati, mentre un disguido burocratico impediva ad altri laboratori di creare un proprio test.

di Neel V. Patel

Poche istituzioni sanitarie al mondo sono famose quanto i Centers for Disease Control statunitensi (centri per il controllo e la prevenzione delle malattie). È quindi ancora più sconcertante il fatto che il CDC abbia potuto potuto fallire in maniera così significativa con il lancio di test diagnostici per il coronavirus in tutto il paese. Mentre altri paesi sono stati in grado di eseguire milioni di test, il CDC ha testato solo 1.235 pazienti. La velocità è essenziale quando si affronta un’epidemia dalla diffusione così rapida, e gli errori del CDC stanno già rivelando il prezzo da pagare nella corsa per inseguire l’epidemia negli Stati Uniti.

Il 5 febbraio il CDC ha iniziato a inviare kit per il test del coronavirus che si sono presto rivelati difettosi a causa di reagenti contaminati, probabilmente a causa della produzione affrettata. I laboratori con controlli negativi non riusciti dovevano spedire i loro campioni al CDC stesso per i test.

I kit del CDC si basano sui test PCR, che creano milioni o miliardi di copie di un campione di DNA in modo che i medici possano facilmente identificarlo e studiarlo. La PCR è una tecnologia consolidata che esiste da 35 anni. Negli anni il processo è stato migliorato con aggiornamenti come enzimi e reagenti di qualità superiore, consentendo test più precisi e consentendo di rilevare obiettivi in tempo reale anche mentre il test è ancora in corso.

Come ha fatto, quindi, proprio il CDC, a fallire con un test così sicuro?

Prima di tutto, il PCR è un test molto sensibile. Sono necessari reagenti estremamente puliti in quanto anche la più infinitesimale traccia di contaminanti lo possono rovinare completamente (come è successo in questo caso). I test davano a volte die falsi negativi.

Peggio sarebbe, però, un risultato che rilevasse il genoma virale sbagliato, generando un falso, in quanto metterebbe in dubbio ogni risultato registrato, spiega Nigel McMillan, direttore del reparto di malattie infettive e immunologia presso la Griffith University, in Australia. L’amplificazione del DNA nel test PCR deve essere avviata utilizzando filamenti brevi chiamati primer, complementari al DNA bersaglio. Come spiega Keith Jerome, direttore del reparto di virologia presso l’Università di Washington, “il design dei primer è ancora in qualche modo un’arte, non sempre prevedibile”.

“Il fatto che il CDC abbia sbagliato, comunque, è senza precedenti”, afferma McMillan.

Non è il caso di puntare il dito contro i PCR, però. Secondo Duane Newton, direttore del reparto di microbiologia clinica presso l’Università del Michigan, la più grande limitazione nella campo diagnostico non è la tecnologia, ma il processo normativo che porta all’approvazione di nuovi test e piattaforme. Per quanto fondamentale per garantire sicurezza ed efficacia, i ritardi inevitabili al processo spesso “ostacolano la volontà e la capacità di produttori e laboratori di investire risorse nello sviluppo e nell’implementazione di nuovi test”, spiega.

In questo caso, per esempio, le regole della FDA impedivano inizialmente a laboratori statali e commerciali di sviluppare propri test diagnostici sul coronavirus, nonostante ne fossero in grado. Quando l’unico test disponibile si è improvvisamente rivelato inutilizzabile, nessuno più sapeva con certezza quali set di primer fossero efficaci. Il CDC e la FDA hanno invertito rotta e revocato questa regola il 24 febbraio. Laboratori commerciali e accademici si sono immediatamente messi in moto con immediati progressi. L’Università di Washington, per esempio, ha un nuovo test diagnostico che permetterà di testare 1.500 campioni al giorno. Un gruppo in Giappone afferma di avere un test in grado di rilevare il virus in soli 10-30 minuti.

“Il punto di forza degli Stati Uniti è sempre stata l’ampia varietà di persone e gruppi pronti a lavorare su ogni problema”, dichiara Jerome. “La decisione di affidarci al solo CDC è stato un errore.” I reagenti sono ora definiti e il CDC sembra essere pronto a procedere. Entro la settimana, laboratori di tutto il paese dovranno poter testare circa 400.000 pazienti. Altri gruppi in tutto il mondo stanno già considerando la crisi come un’opportunità per accelerare la PCR e persino sviluppare altri sistemi diagnostici anti virus. Alle istituzioni locali e commerciali dovrebbero essere assegnati mandati simili per agire con decisione, senza bizzarri vincoli burocratici. “Il CDC è una fantastica risorsa”, afferma McMillan. “Ma se i ricercatori non sono abbastanza proattivi o tempestivi, si perderanno i pezzi per strada.”

(lo)

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