Fusione pulita: produrre energia imitando il sole

Una startup del MIT sta lavorando a una fonte di energia illimitata, sicura e a emissioni zero: la fusione a confinamento magnetico. E intende produrla a livello industriale

di James Temple

In una giornata nuvolosa all’inizio di dicembre, sul sito di una vecchia base dell’esercito a Devens, nel Massachusetts, a circa 50 miglia da Boston, è stata scavata una fossa profonda. E’ la futura casa di SPARC, un prototipo di reattore a fusione che, se tutto andrà come previsto, raggiungerà un obiettivo che i fisici hanno cercato di raggiungere per quasi un secolo. Dovrebbe permettere di produrre energia grazie alla fusione di atomi, a somiglianza del meccanismo che alimenta il Sole.

Gli scienziati della startup Commonwealth Fusion Systems prevedono che la loro macchina genererà 10 volte più energia di quella che consuma. Questa capacità, dicono, consentirà di sviluppare strutture a grandezza naturale in grado di fornire tanta elettricità quanto una piccola centrale a carbone entro l’inizio degli anni 2030.

Impianto in costruzione del reattore a fusione. Tony Luong

Le strutture in grado di sfruttare la fusione nucleare dovrebbero fornire una fonte economica di energia priva di emissioni di carbonio ricavata da abbondanti fonti di carburante, sostanzialmente derivate dall’acqua. La fusione genererebbe un flusso costante di elettricità, colmando le lacune dei periodi in cui le fonti solari ed eoliche svaniscono. In tal modo, semplificherebbe il percorso verso l’elettricità a emissioni zero, eliminando la necessità di innovazioni per lo stoccaggio dell’energia, sistemi estesi di batterie o la continua dipendenza da centrali a carbone e gas naturale. 

Fino a oggi, l’assoluta complessità tecnica e l’enorme costo per ottenere la fusione hanno ripetutamente deluso le speranze degli scienziati e rafforzato la posizione degli scettici. La migliore speranza del settore per un reattore che finalmente fornisca energia senza emissioni è stata a lungo ITER, una collaborazione di ricerca internazionale concepita per la prima volta negli anni 1980. 

Ma i costi per la sua struttura di circa 100 acri nel sud della Francia sono più che triplicati, salendo ad almeno 22 miliardi di dollari. Il progetto è in ritardo di oltre un decennio ed è lontano diversi anni dal completamento. E anche se ITER alla fine funzionerà, la sua versione della tecnologia di fusione potrebbe essere troppo costosa per essere commercializzata su larga scala.

Commonwealth prevede di realizzare una macchina per la fusione che sia l’anti-ITER: piccola, veloce da costruire e molto più economica. Il prototipo dovrebbe costare centinaia di milioni di dollari, anziché decine di miliardi, e la sua costruzione richiederà anni anziché decenni.

La chiave è un nuovo magnete che la startup ha sviluppato. Gli esperti stanno seguendo con particolare attenzione il team di ricerca, che già utilizza un nuovo tipo di materiale superconduttore, molto più potente degli altri. In un test dello scorso settembre, il magnete ha raggiunto un’intensità di campo di 20 tesla, vale a dire una potenza doppia rispetto al magnete comparabile di ITER, che si basa sui precedenti materiali superconduttori.

I magneti possono essere usati per confinare un plasma, lo stato ultra caldo della materia in cui si verificano le reazioni di fusione. Più potenti sono questi magneti, più è facile produrre collisioni atomiche, reazioni ed energia in uno spazio molto più piccolo. Un dispositivo a fusione costruito con una serie di magneti di Commonwealth dovrebbe essere in grado di produrre la stessa energia di uno che fa affidamento su ITER, a un quarantesimo della dimensione.

Sono tanti gli eventi sfavorevoli che potrebbero far deragliare Commonwealth dalla sua ambiziosa linea temporale. Nessuno ha ancora ottenuto un reattore a fusione per produrre energia netta. Il magnete di Commonwealth non è stato testato in un reattore funzionante. In sostanza, la fusione rimane una tecnologia prevalentemente sperimentale e non provata. 

Ma c’è anche speranza, dopo decenni di delusioni, che possa funzionare. E l’azienda e i suoi sostenitori, almeno, credono di essere sulla buona strada per fornire la fusione commerciale in tempo affinché svolga un ruolo significativo nella transizione verso un’energia priva di emissioni di carbonio nei prossimi decenni. “Quando abbiamo delineato l’intero progetto, circa cinque anni fa, il problema era già quello dei tempi”, afferma Dennis Whyte, direttore del Plasma Science and Fusion Center del MIT e cofondatore di Commonwealth Fusion. 

L’ormai defunto reattore tokamak Alcator C-Mod presso il MIT Plasma Science and Fusion Center. Tony Luong

Il rischio è non fare in tempo per contrastare il cambiamento climatico

A differenza degli impianti a carbone o a gas naturale, i reattori a fusione non produrrebbero i gas serra che alimentano il cambiamento climatico. Non c’è alcun rischio reale che finiscano i combustibili e, a differenza del suo cugino nucleare, la fissione, la fusione non richiede l’estrazione o la gestione dell’uranio radioattivo. La macchina di Commonwealth, come la maggior parte degli altri reattori a fusione, farebbe affidamento su deuterio e trizio, entrambi isotopi naturali dell’idrogeno.

Gli oceani sono pieni di deuterio. Il Dipartimento dell’Energia degli Stati Uniti osserva che è presente in una ogni 5.000 molecole di idrogeno nell’acqua di mare e che un solo litro potrebbe produrre tanta energia quanto 300 litri di benzina. I metodi per estrarre il deuterio dall’acqua sono ben consolidati e di routine. Il trizio, che contiene due neutroni nel suo nucleo rispetto a quello del deuterio, è molto più raro in natura, ma può essere estratto dal litio

Rispetto alle energie rinnovabili come l’eolico e il solare, la fusione potrebbe generare molta più energia occupando molto meno spazio e fornire una fonte di elettricità sempre attiva che non diminuisce a seconda del tempo o dell’ora del giorno. L’andamento del carico di base è essenziale per una rete affidabile e spiega perchè è così difficile liberare il settore energetico dai combustibili fossili. “L’attuale disponibilità di energie rinnovabili è di buon livello, ma non è sufficiente per risolvere il problema del cambiamento climatico“, afferma Brandon Sorbom, cofondatore e responsabile scientifico di Commonwealth. 

Per decenni molti hanno immaginato che fosse questo il ruolo della fissione nucleare, ma gran parte dei paesi non l’hanno portata avanti a causa degli elevati costi di costruzione del reattore, che può facilmente superare i 5 miliardi di dollari, nonché dei pericoli reali o percepiti, compresi i timori per l’accumulo di cumuli di scorie radioattive. Al contrario, la fusione non presenta rischi di disastri come Chernobyl, Three Mile Island e Fukushima.

Il trizio è radioattivo e il processo di fusione rilascia neutroni, rendendo inevitabili rigorosi protocolli di sicurezza per la manipolazione dei materiali e per la successiva disattivazione degli impianti. Ma la fusione non produce scorie radioattive di lunga durata come fanno i reattori a fissione. La speranza è che i rischi più bassi rendano più facile ottenere approvazioni normative e permessi di costruzione, accelerando il lancio della tecnologia.

Come funziona la fusione

Diversi gruppi di ricerca hanno adottato approcci differenti nei loro tentativi di replicare il sistema di produzione di energia del Sole. Ma tutti si sono trovati nelle condizioni di dover generare un’enorme quantità di calore, con temperature che superano i 100 milioni di gradi centigradi.  Come ITER e altri, Commonwealth prevede di costruire quello che è noto come un reattore tokamak, un dispositivo cavo a forma di ciambella da riempire con un gas che include atomi di deuterio e trizio. Il dispositivo aumenterebbe costantemente la temperatura alimentando i magneti super potenti, utilizzando una corrente elettrica per creare un riscaldamento resistivo e quindi applicando onde radio.

Il reattore C-Mod di Alcator.Tony Luong

Quando le temperature aumentano abbastanza, gli atomi iniziano a rompersi mentre gli elettroni si allontanano dai nuclei, creando un plasma. Gli elettroni e i nuclei carichi positivamente si muovono all’interno del tokamak. I magneti che circondano la macchina di forma toroidale creano una “bottiglia magnetica” che contiene strettamente il plasma, con campi magnetici più elevati che riducono notevolmente la perdita di calore. Di tanto in tanto, due nuclei si scontrano tra loro. I protoni e i neutroni a volte si combinano, formando il nucleo di un atomo di elio, rilasciando un neutrone e producendo molta energia. 

Nel Sole, il calore prodotto da queste reazioni è autosufficiente, provocando ulteriori collisioni e  fusioni, e così via. Ma l’industria della fusione non deve necessariamente raggiungere quel punto, noto come innesco, per creare centrali elettriche redditizie. I reattori devono solo produrre più output dell’input richiesto, con l’importo esatto che dipende dai costi sottostanti dell’impianto.

L’opinione diffusa, se non del tutto universale, nel campo è che i gruppi di ricerca hanno risolto i complessi problemi scientifici che rendevano impossibile produrre energia da fusione. La maggior parte crede che ITER sarà in grado di generare almeno una quantità significativa di energia netta, una volta che sarà finalmente online e funzionante a pieno regime.

Ma la complessità e il costo della costruzione di una macchina di grandi dimensioni in grado di portare avanti l’esperienza ha rallentato i progressi. Sebbene la costruzione di ITER sia iniziata nel 2007, la struttura non sarà pienamente operativa fino al 2035, oltre un decennio più tardi rispetto al programma originale. E alcuni hanno sostenuto che il prezzo finirà per essere molto più alto dei 22 miliardi di dollari stimati ora. 

Il magnete a forma di D di Commonwealth. Tony Luong

I magneti

Commonwealth utilizza la stessa scienza di fusione di base di ITER. La differenza sostanziale sono  i magneti. Quelli da 11,8 tesla disposti all’interno di ITER sono costruiti con materiali superconduttori di niobio-titanio o niobio-stagno, che richiedono temperature estremamente basse. Commonwealth sfrutta i cosiddetti superconduttori ad alta temperatura, che offrono numerosi vantaggi chiave e potrebbe fare la differenza, sia per l’economia che per la sequenza temporale.

Gli scienziati sanno da tempo che alcuni materiali, in determinate condizioni, conducono elettricità senza resistenza, consentendo agli elettroni di fluire liberamente senza rilasciare calore o perdere altre forme di energia nel processo. Ciò consente correnti elevate che creano forti campi magnetici attorno a questi cosiddetti superconduttori. Per ottenere i primi materiali superconduttori come il mercurio e portarli a raggiungere questo stato, i ricercatori hanno dovuto raffreddarli quasi allo zero assoluto, o circa -460 ° F. Ciò richiedeva elio liquido, limitando le applicazioni pratiche.

Ma negli anni 1980, i ricercatori hanno scoperto una classe di ceramiche che è diventata superconduttrice a temperature molto più elevate, sebbene ancora gelide, intorno a -280 ° F. La differenza, all’apparenza di poco conto, può essere ottenuta con l’azoto liquido, che è molto più economico e più facile da maneggiare. Questi superconduttori ad alta temperatura possono anche creare campi magnetici molto più potenti, afferma Michael Sumption, direttore associato del Center for Superconducting and Magnetic Materials della Ohio State University. 

I fisici iniziarono a inventare nuove tecnologie per questi futuri materiali, come treni levitanti, risonanza magnetica ad altissima risoluzione e magneti molto potenti. Ma era estremamente difficile lavorare con i superconduttori ad alta temperatura. Ci sarebbero voluti diversi decenni prima che i produttori capissero come creare lunghi fili del materiale, che richiedevano la costruzione di cristalli altamente allineati e la loro disposizione in strati uniformi e sottilissimi su un substrato metallico.

Nel 2009, Dennis Whyte del MIT si è imbattuto in un collega che trasportava un fascio di materiale simile a un nastro attraverso i corridoi. Era uno dei primi prototipi di un filo superconduttore per alte temperature, realizzato con materiali di ossido di rame e bario di ittrio. Whyte ne ha immediatamente riconosciuto il potenziale per l’uso nella fusione e ha assegnato a studenti laureati in uno dei suoi corsi il compito di progettare un reattore compatto che sfruttasse i potenti campi magnetici che il nastro poteva produrre. 

Il lavoro è stato portato avanti dal MIT Plasma Science and Fusion Center. Nel 2015, i ricercatori coinvolti hanno progettato un impianto di fusione compatto utilizzando i nuovi materiali in grado di produrre 200 megawatt di elettricità. Lo hanno soprannominato ARC, il nome del reattore a fusione immaginario di Tony Stark nei fumetti di Iron Man. Nel 2018, il team ha raccolto decine di milioni di dollari in finanziamenti privati e ha creato Commonwealth, che continua a lavorare a stretto contatto con il MIT. 

A quel punto, il filo superconduttore per alte temperature era disponibile in commercio. Ma era solo il punto di partenza per creare il magnete di cui l’azienda aveva bisogno: doveva essere potente, efficiente dal punto di vista energetico e affidabile, ma anche progettato attorno a un grande “foro” nel mezzo per fare spazio al plasma. Il team ha dovuto lavorare a stretto contatto con un gruppo di produttori per garantire una fornitura adeguata di nastro – centinaia di km solo per il primo test del magnete – e ottimizzarlo per i loro scopi.

Una volta che i materiali hanno soddisfatto le loro specifiche, avevano ancora bisogno di convertirli in un magnete gigante. Per prima cosa è stato necessario accumulare strati di nastro sottile in una pila spessa e integrata che potesse trasportare la corrente necessaria. In una pubblicazione precedente, i ricercatori hanno descritto un modo per farlo, saldando da decine a centinaia di strati insieme.  

L’azienda rifiuta di discutere i dettagli proprietari di come ha creato la pila di nastro superconduttore ora in uso. Ma per trasformarlo nel magnete di prova, il team ha avvolto quegli strati per allineare e aumentare il campo magnetico, proprio come si sarebbe potuto avvolgere un filo di rame attorno a un chiodo e collegarlo a una batteria per creare un elettromagnete nella scuola elementare. 

Commonwealth ha creato 16 strati di magneti, che i ricercatori hanno soprannominato pancake, ciascuno con 16 giri di bobina al loro interno. Quindi hanno impilato insieme quei pancake e li hanno collegati con giunti di proprietà, creando un supermagnete a forma di D da 10 tonnellate, alto quasi 20 metri, imballato con 265 km di nastro superconduttore, avvolto circa 256 volte.

Il test

La scorsa estate, i ricercatori del MIT e del Commonwealth hanno posizionato il magnete all’interno di un banco di prova di forma ovale progettato per replicare le condizioni del tokamak. Alla fine di agosto, hanno iniziato il processo di una settimana per raffreddare il magnete fino a temperature criogeniche, evacuare una camera a vuoto attorno ad esso e aggiungere lentamente elio ad alta pressione. Una volta che le temperature sono state sufficientemente rigide, il team ha iniziato a caricare il magnete. 

A settembre, il team ha finalmente spinto il magnete oltre i 20 tesla, battendo il record per un elettromagnete superconduttore di grande diametro e ad alta temperatura. SPARC, il prototipo di reattore che il Commonwealth sta costruendo a Devens, includerà 18 di questi potenti magneti, che circondano il tokamak e generano il campo magnetico che conterrà strettamente il plasma all’interno. Un documento del team di Commonwealth del settembre del 2020 ha calcolato che il prototipo del reattore potrebbe produrre fino a 11 volte più energia di quella che consuma.

Il passaggio alla fase esecutiva

Non manca comunque chi dubita si possa arrivare ad avere reattori commerciali funzionanti nei tempi rapidi previsti da Commonwealth e colleghi. Nessun laboratorio ha ancora generato energia netta dalla fusione, tanto meno reazioni in corso che potrebbero produrre elettricità economica, coerente e affidabile per mesi.

La tecnologia dovrà confrontarsi anche con lo scoglio delle normative. L’industria nascente spera che nel caso dei reattori a fusione ci saranno meno problemi burocratici. Ma la fusione non è esente da rischi, afferma Rachel Slaybaugh di Antora Energy, una startup che lavora sull’accumulo di energia a lunga durata. Come ogni tecnologia, nelle mani sbagliate, anche un reattore a fusione potrebbe essere utilizzato male, nè manca la possibilità di incidenti industriali, considerando le differenze di pressione estreme che si verificano quando i componenti principali del reattore funzionano sotto vuoto. 

Malgrado i rischi siano inferiori a quelli associati alla fissione, sarà necessario sviluppare norme di controllo e standard di sicurezza, afferma Slaybaugh. Sono presenti anche vere sfide tecniche da affrontare, afferma Edward Morse, professore dell’Università della California, a Berkeley, che studia la progettazione di reattori a fusione. Commonwealth prevede di affrontare tutto ciò testando con attenzione la tenuta dei componenti sotto lo stress di tutti i 18 magneti contemporaneamente in funzione. 

Morse è stato critico nei confronti delle startup impegnate nella fusione, dicendo che alcune stanno semplicemente rielaborando vecchie idee a cui i laboratori del Dipartimento dell’Energia hanno rinunciato decenni fa. Ma pensa che Commonwealth abbia una chance migliore rispetto alla maggior parte delle aziende del settore, proprio perché non sta adottando un approccio radicalmente diverso alla fusione. “Stanno mantenendo l’approccio al tokamak convenzionale, ma sostituendo il magnete con qualcosa di nuovo”, dice.  

Importanti investimenti

Nel sito di Devens di 47 acri, vicino al pozzo dove verrà costruito SPARC, è stato già eretto il telaio di una fabbrica che produrrà in serie magneti per il prototipo del reattore. Commonwealth spera di generare energia netta dalla macchina entro i prossimi tre anni. La fabbrica è progettata con la capacità di produrre magneti per le centrali elettriche ARC previste all’inizio degli anni 2030. Allora, l’energia termica generata verrebbe convertita in elettricità attraverso lo stesso processo di base che si verifica nei reattori nucleari a fissione o nelle centrali a carbone: trasformando l’acqua in vapore che fa girare una turbina.

Alla fine di novembre, la startup ha annunciato di aver raccolto 1,8 miliardi di dollari in capitale di rischio, fornendo finanziamenti per costruire SPARC e iniziare i lavori sulle strutture commerciali. L’azienda ha avviato le prime conversazioni con potenziali clienti sui siti, nonché con le autorità di regolamentazione sulle richieste per autorizzare tali impianti.  

Il mondo ha bisogno di eliminare l’inquinamento dal settore energetico nei prossimi decenni e fermare quasi tutte le emissioni di gas serra entro la metà del secolo, per avere una possibilità di prevenire livelli di riscaldamento molto pericolosi. Raggiungere questi obiettivi significherà anche generare molta più elettricità per soddisfare la crescente domanda di veicoli plug-in, nonché case, edifici e fabbriche, che faranno più affidamento sull’elettricità per riscaldamento e raffreddamento. 

Per alcuni, la dura realtà di queste linee temporali significa che non si potrà fare affidamento su una tecnologia del tutto dimostrata, tanto meno commercializzata su larga scala. Ma Lovering afferma che anche se la fusione non arriverà sul mercato prima che l’elettricità sia ampiamente decarbonizzata, una fonte economica, coerente e abbondante avrà comunque un ruolo cruciale da svolgere.

(rp)

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