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L’invasione dell’Ucraina mette in luce la dipendenza europea dai combustibili fossili russi. La Russia fornisce oltre il 41 per cento del gas naturale, quasi il 27 per cento del greggio e del gas naturale liquefatto e circa il 47 per cento del carbone ai paesi europei

di James Temple

La decisione del presidente russo Vladimir Putin di inviare truppe in Ucraina ha spaventato i mercati energetici, tra i timori legati all’escalation del conflitto e l’eventualità che le conseguenti sanzioni possano interrompere le forniture globali di combustibili fossili.

La Russia è uno dei maggiori produttori mondiali di petrolio, gas naturale e carbone, quindi qualsiasi azione che riduca le esportazioni potrebbe avere effetti a catena globali, facendo aumentare i prezzi e rallentando la crescita economica. L’Europa occidentale è particolarmente vulnerabile perché dipende fortemente dai combustibili fossili della Russia, nonostante le iniziative degli ultimi anni per passare a fonti energetiche più pulite.

Secondo un rapporto dello scorso anno della Commissione Europea, petrolio, gas naturale, carbone e altri combustibili fossili rappresentavano oltre il 70 per cento del consumo totale di energia all’interno della UE. La Russia ha fornito oltre il 41 per cento del gas naturale, quasi il 27 per cento del greggio e del gas naturale liquefatto e circa il 47 per cento del carbone.

Anche la Germania, la più grande economia europea, che ha investito molto nelle fonti di energia rinnovabile, è ancora fortemente dipendente dai combustibili fossili, in particolare per il riscaldamento e i trasporti. Le fonti di combustibili non fossili soddisfano rispettivamente solo il 16 per cento e il 7,5 per cento del fabbisogno.

In risposta alle azioni di Putin, il cancelliere tedesco Olaf Scholz ha annunciato l’intenzione di fermare lo sviluppo del gasdotto Nord Stream 2, lungo 1324 km e progettato per trasportare gas naturale tra la Russia e la parte settentrionale della Germania.

Inoltre, l’Unione Europea e gli Stati Uniti hanno imposto una serie di sanzioni che includono rigide restrizioni ad alcune istituzioni finanziarie statali e alle élite russe. Il presidente degli Stati Uniti Joe Biden si è impegnato a intraprendere azioni più severe contro la Russia “se continuerà la sua aggressione”.

Ha anche sottolineato che l’amministrazione americana sta adottando misure deliberate per garantire che il conflitto non aumenti i costi energetici per i consumatori statunitensi. Come riportato dalla CNN, Biden ha affermato: “Stiamo portando avanti un piano in coordinamento con i principali consumatori e produttori di petrolio per garantire la stabilità e l’approvvigionamento energetico globale. L’intenzione è ridurre i prezzi del gas”.

Ci sono diversi scenari che potrebbero portare a un aumento dei prezzi. Le sanzioni internazionali potrebbero aumentare direttamente o indirettamente i costi di produzione o distribuzione di combustibili fossili. Il conflitto stesso potrebbe influenzare il funzionamento dei gasdotti che passano attraverso l’Ucraina. La Russia potrebbe decidere di rallentare o addirittura fermare le forniture per scopi strategici.

Mentre le nazioni europee potrebbero attingere ad altre fonti di petrolio e carbone, le scarse forniture globali e i sistemi di condutture esistenti limitano fortemente le opzioni alternative per il gas naturale. Secondo una recente analisi di Bruegel, un think tank economico, una chiusura completa del gas naturale russo all’Europa occidentale, se prolungata nel tempo, richiederebbe una serie di iniziative frenetiche per mantenere le case riscaldate e le industrie attive.

Si potrebbe ricorrere alla riduzione della domanda di energia, all’aumento della produzione interna, all’accesso alle riserve di emergenza, alla corsa alla ricerca di fornitori alternativi, al rinvio dell’abbandono degli impianti nucleari e all’eventuale ripristino di alcune centrali a carbone in pensione.

Ma la profonda interdipendenza tra Russia ed Europa occidentale rende lo scenario peggiore “altamente non plausibile”, afferma Laurent Ruseckas, direttore esecutivo dell’azienda di consulenza IHS Markit, che si concentra sui mercati del gas in Europa e in Asia.

La Russia perderebbe una fondamentale fonte di entrate e romperebbe per un lungo periodo i rapporti con l’Europa occidentale, costringendo le nazioni a compiere passi estremi per eliminare una volta per tutte la loro dipendenza dalle importazioni di gas naturale. Secondo alcuni osservatori, potrebbe anche coinvolgere altri paesi nel conflitto e richiedere sanzioni ancora più costose.

Da parte sua, Putin ha affermato che la Russia non interromperà il flusso di gas naturale verso i mercati internazionali. Ma la situazione sottolinea comunque la vulnerabilità dell’Europa, in particolare dopo mesi di prezzi dell’energia in costante aumento. 

Questi incrementi sono stati guidati da una combinazione di fattori: una ripresa dell’economia globale con l’allentamento delle restrizioni pandemiche; un inverno europeo particolarmente rigido nel 2020-2021 che ha esaurito le riserve di gas naturale; la decisione inopportuna della Germania di chiudere molte delle sue centrali nucleari; il crescente utilizzo da parte della Cina di gas naturale liquefatto e ultimo, ma non meno importante, il calo delle normali esportazioni di gas naturale dalla Russia. 

Alcuni hanno interpretato questa riduzione dell’offerta come un tentativo strategico per aumentare i prezzi o rendere inevitabile l’approvazione del gasdotto Nord Stream 2 attraverso la Germania.

C’è chi teme che gli eventi in Ucraina e i connessi problemi di sicurezza energetica che ne derivano possano distrarre i leader europei dal raggiungimento degli obiettivi climatici di metà secolo. Certamente alcuni politici e gruppi di pressione sostengono che le politiche per il clima e il passaggio alle fonti di energia rinnovabile sono responsabili della precaria fornitura di energia dell’Europa e non mancano di portare a sostegno delle loro tesi esempi come quello della produzione di energia eolica insolitamente bassa nel Regno Unito negli ultimi mesi, a causa dei deboli venti nella regione.

Nikos Tsafos del Center for Strategic and International Studies contesta queste opinionie sostiene che qualsiasi ulteriore aumento dei prezzi non farebbe che spingere l’Unione Europea a “raddoppiare” le iniziative per la transizione verso l’energia pulita. L’UE ha già adottato alcune delle politiche climatiche più ambiziose del mondo, fissando obiettivi rapidi per il passaggio a una produzione di energia esente da emissioni di carbonio. 

Tuttavia, è probabile che qualsiasi crisi degli approvvigionamenti di gas naturale abbia effetti significativi, afferma Anne-Sophie Corbeau, esperta del Center on Global Energy Policy della Columbia University. Alcune nazioni dell’Europa orientale hanno ancora in programma di passare dal carbone al gas naturale, stimolando un’ulteriore domanda. Inoltre, questa fonte di combustibile svolge un ruolo cruciale nel bilanciamento delle forniture di energia sulla rete elettrica, in particolare quando la produzione solare ed eolica si esaurisce.

Varie nazioni stanno esplorando alternative che includono la produzione di quello che a volte viene chiamato gas naturale rinnovabile, che può essere ottenuto da materiale organico domestico come il letame del bestiame e i rifiuti alimentari. Un numero crescente di aziende europee sta costruendo impianti che producono forme più pulite di idrogeno, che possono essere utilizzate anche come una modalità di accumulo di energia e come materia prima nei processi industriali.

Ma passerà molto tempo prima che una di queste opzioni raggiunga livelli di produzione degni di nota. “Appare chiaro, al momento, che non abbiamo soluzioni facili per sbarazzarci del gas russo”, conclude Corbeau.

(rp)