Dovremmo studiare il DNA dell’arte rupestre per scoprire qualcosa di più su chi le ha dipinte

Le comuni tecniche archeologiche non sono in grado di determinare se gli artisti preistorici fossero cacciatori-raccoglitori o coltivatori. Un’analisi delle superfici dei dipinti le tecniche utilizzate in biologia potrebbero fornire nuove informazioni su come lavoravano e quando vissero.

di ArXiv

I dipinti rupestri dell’Europa meridionale sono considerati meraviglie del mondo. In particolare quelli rinvenuti nella Spagna orientale. Si pensa che questi dipinti possano risalire a 5.000 – 8.000 anni fa, un momento della storia umana in cui le popolazioni umane stavano transitando dalle attività di caccia-raccolta, all’agricoltura.

Le domande sulle origini dei dipinti rimangono innumerevoli. Che materiali sono stati utilizzati per dipingere e fissare i dipinti? Come hanno fatto a mantenersi così a lungo? Quando, esattamente, sono stati dipinti? Nel neolitico o nel mesolitico?

Clodoaldo Roldán dell’Università di Valencia, in Spagna, e la sua squadra, hanno condotto uno studio genomico della pittura rupestre del levante spagnolo, analizzando il DNA delle comunità batteriche che popolano i dipinti e delle sostanze che compongono le immagini.
L’analisi di campioni di DNA appartenenti al nostro passato remoto ha già portato a numerose scoperte interessanti sia da un punto di vista storico, che medico.

Il metodo di datazione più comunemente utilizzato in archeologia è quello del carbonio-14. Questo sistema è applicabile, però, solo a pigmenti di origine biologica. Nel caso di queste pitture rupestri ciò significa che solo il colore nero è databile, da cui i disaccordi sulla datazione.

Roldán e compagnia hanno optato per un approccio completamente differente. Hanno raccolto minuscoli frammenti dalla superficie dei dipinti, procurandosi così campioni di colori, legante e batteri, nonché frammenti di una roccia nera esposta da una frana. Ciascun frammento non pesava più di 20 mg, ma nonostante le difficoltà dell’analisi di campioni così minuti, i ricercatori sono riusciti a sequenziare il materiale e rivelare la presenza di una ricca comunità batterica sui dipinti.

I risultati dell’analisi hanno portato a delle prime possibili risposte a molte domande. I ricercatori, per esempio, hanno trovato abbondanti tracce di organismi del genus bacillus, produttori di acido ossalico, una sostanza che provoca la formazione di una sottile patina di ossalato di calcio sulla roccia, capace di proteggere i colori sottostanti.
Il sequenziamento genomico dei pigmenti ha anche rivelato la presenza di un’ampia gamma di proteine, tra cui albumina e caseina bovine. Una delle teorie sulla realizzazione dei dipinti suggerisce che gli antichi artisti possano aver mescolato i colori nel burro bovino prima di farne uso. Le nuove ricerche sembrano offrire una conferma a questa ipotesi.

Il fatto che le immagini possano essere state realizzate con burro bovino suggerisce, inoltre, l’immagine di comunità che abbiano addomesticato le mucche, ovvero comunità mesolitiche, già dedite all’agricoltura, non neolitiche, dediche a caccia e raccolta. Nulla vieta che i dipinti possano essere stati contaminati da tracce di burro in periodi successivi, un’informazione che il sequenziamento genomico non può determinare.

Ciononostante, il rinvenimento di materiale biologico rende possibile la datazione al carbonio-14, previa l’acquisizione di un campione di misura sufficiente a condurre l’esame.

Per approfondire: Proteomic and metagenomic insights into prehistoric Spanish Levantine Rock Art

Immagine: Pittura rupestre, Hugo Soria / Wikipedia

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