Da uno studio genetico nuove intuizioni sull’invecchiamento e sulle possibilità di allungare la vita

L’American Society of Human Genetics presenta i risultati di un’analisi degli effetti delle variazioni genetiche sulla lunghezza della vita.

di MIT Technology Review Italia

Paul Timmers, della University of Edinburgh, in collaborazione con un gruppo internazionale di ricercatori, si è dato il compito di individuare le chiavi genetiche della durata della vita umana. Lo studio è partito dall’analisi dei dati genetici di più di 500.000 partecipanti dell’UK Biobank e di altri gruppi simili, messi a confronto con la lunghezza della vita dei genitori di ciascun individuo studiato. Invece di concentrarsi su singoli geni con influenza sulla durata della vita, i ricercatori hanno valutato l’impatto dell’intero genoma sull’argomento, alla ricerca di nuove possibilità di studio.

La scelta di studiare un campione genetico tanto ampio è nata, spiega Timmers, dal fatto che l’effetto di u singolo gene è parziale, insufficiente a formulare un chiaro quadro statistico. L’approccio non ha deluso. I ricercatori, infatti, non solo hanno potuto confermare l’associazione tra invecchiamento e 6 geni già noti, come il gene APOE, associato al rischio di sviluppare malattie neurodegenerative, , ma anche individuato 21 nuove regioni genetiche con impatto sulla lunghezza della vita. I risultati sono stati utilizzati per sviluppare un modello poligenico per la durata della vita, capace di offrire una stima personalizzata della lunghezza della vita per ogni partecipante del progetto.

I ricercatori hanno anche analizzato quali varanti genetiche avessero effetto sul processo d’invecchiamento o sulle probabilità di incorrere in malattie mortali. Secondo i loro risultati, tra le varianti più comuni, ovvero presenti in almeno 1 individuo su 200, sono quelle associate ad Alzheimer, cardiopatie e condizioni legate al fumo ad avere un legame con la durata della vita. Le variazioni implicate nello sviluppo di altre forme di cancro, non correlate a fattori che partecipano della durata della vita, sembrerebbero dunque piuttosto dovute a variazioni genetiche più rare o fattori ambientali. Secondo Timmers, questo dato suggerisce la possibilità che le varianti individuate con maggiore frequenza, quali quelle legate al fumo ed all’Alzheimer, possano essere caratteristiche degli esseri umani moderni, da poco esposti agli effetti del tabacco, per esempio. Le variazioni rimarrebbero comuni perché la selezione naturale non ha ancora avuto il tempo di eliminarle.

Lo studio delle tipologie di cellule e delle proteine maggiormente affette dalle variazioni genetiche connesse alla lunghezza della vita ha portato alla conclusione che il cervello gioca un ruolo fondamentale nel determinare la durata della vita.

Le ricerche proseguiranno con analisi più dettagliate di come le varianti individuate interagiscano con i percorsi funzionali che determinano quanto vivrà un individuo, alla ricerca di metodi che permettano di rallentare l’invecchiamento e lo sviluppo di malattie.

Questa ricerca è stata supportata da AXA Research Fund e dal UK Medical Research Council.

(lo)

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