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La possibilità di usare l’agricoltura per sequestrare e immagazzinare più carbonio nel suolo sta suscitando molto interesse, ma gli scienziati ancora non sanno quanto possa essere efficace contro i cambiamenti climatici.

di James Temple

Un numero crescente di agricoltori sta esplorando il potenziale di sequestrare e immagazzinare maggiori quantità di anidride carbonica nel suolo come strumento per combattere i cambiamenti climatici.

Il suolo immagazzina naturalmente una certa quantità di anidride carbonica, per lo più proveniente da piante in decomposizione e materia animale. In uno studio pubblicato lo scorso anno, la National Academy of Sciences ha calcolato che i terreni agricoli del mondo potrebbero sequestrare e immagazzinare fino a 3 miliardi di tonnellate di anidride carbonica in più se gli agricoltori decidessero di adottare una serie di pratiche come l’utilizzo di sostanze organiche quali letame o compost, adottando colture che rilasciano una quantità maggiore del proprio carbonio nel suolo, o seminando colture di copertura fuori stagione.

La California ha iniziato sovvenzionare gli agricoltori che fanno uso di simili tecniche. Nel frattempo, una startup di Boston dal nome Indigo AG ha recentemente formulato un piano per sovvenzionare agricoltori impegnati in tali pratiche che a loro volta potranno vendere crediti crediti di carbonio, carbon credits, a società o individui che desiderano compensare il proprio impatto climatico.

Non è tuttavia certo quanti benefici possano produrre queste tecniche, quali pratiche funzionino meglio in base alle diverse condizioni del suolo e del clima e se esistono metodi più affidabili per bilanciare le emissioni di gas serra dell’industria. Secondo Noah Deich, direttore esecutivo di Carbon180, un think tank che promuove la rimozione e il riciclo dell’anidride carbonica, dall’inizio dell’agricoltura, il pianeta ha rilasciato circa 500 miliardi di tonnellate di anidride carbonica dal suolo, circa 14 volte la quantità rilasciata a livello globale da tutti i combustibili fossili l’anno scorso. Si tratta di un enorme bacino di raccolta da riempire, se gli ecosistemi coinvolti se ne dimostrassero capaci.

Sono molte le cose che ignoriamo, però. Non sappiamo, per esempio, come funzionano effettivamente gli ecosistemi dei microbi del suolo e quali pratiche sono più efficaci nel catturare e immagazzinare il biossido di carbonio. Servono esperimenti sul campo in più luoghi che possano studiare nel dettaglio ogni possibile ramificazione di queste tecniche. Secondo Tim Searchinger, ricercatore di Princeton specializzato in carbon farming, ci sono limiti a quanto gli agricoltori possono cambiare nelle loro pratiche di gestione del suolo e restrizioni su quanta anidride carbonica possiamo immagazzinare in modo affidabile nei terreni che continuiamo a coltivare.

Per ridurre al minimo l’impatto climatico dell’agricoltura, la priorità è smettere di abbattere foreste per creare nuovi campi coltivabili e proteggere o ripristinare le torbiere, un tipo di zona umida che rilascia grandi quantità di anidride carbonica quando viene essiccata e convertita in usi agricoli, spiega Searchinger. Aumentare la produttività di pascoli e campi coltivati può dare risultati migliori. Ancora meglio sarebbe convertire parte dei campi in pascoli e foreste, che immagazzinano molto più carbonio nelle loro foglie, tronchi, radici e suolo.

Secondo Calla Rose Ostrander del Marin Carbon Project, dedicato all’affinamento del sequestro dell’anidride carbonica nel terreno, l’approccio al carbon farming deve variare a seconda del luogo. Il programma californiano si basa su di un decennio di ricerche condotte sul territorio e mira a rendere il terreno più produttivo oltre che l’agricoltura più ecologica.

(lo)