Attivismo online: un anno in rassegna

I movimenti sociali hanno dovuto ridefinire il loro ruolo durante la pandemia. Per capire cosa è successo, abbiamo intervistato quattro voci virali in rete che hanno saputo mantenere viva la presenza di questi gruppi.

di Abby Ohlheiser

Nell’ultimo anno, le persone negli Stati Uniti hanno dovuto applicare le regole del distanziamento per prevenire la diffusione di un virus mortale. Allo stesso tempo, ci sono stati un aumento della violenza razzista, un incremento della disuguaglianza e un’elezione conflittuale. L’attivismo sociale per contrastare questi fenomeni è stato spesso organizzato in tutto o in parte online, a volte da giovani che sperimentavano nuovi modi creativi per costruire movimenti sociali. Abbiamo parlato con quattro ventenni che, attraverso Internet, sono diventate voci virali e organizzatori chiave nell’ultimo anno. 

Carlisa Johnson, 29 Foto di cortesia

Carlisa Johnson, 29

Georgia

Johnson ha creato un documento Google ampiamente condiviso con collegamenti a materiale didattico, dettagli di contatto per i funzionari pubblici, modi per agire e informazioni sul movimento Black Lives Matter nei giorni successivi all’omicidio di George Floyd da parte di un ufficiale di polizia di Minneapolis nel maggio 2020. Il documento è diventato una risorsa per gli attivisti, in particolare per quelli appena arrivati al movimento. 

Durante le manifestazioni della scorsa estate del Black Lives Matter, molte persone hanno iniziato a fare attivismo per la prima volta. Dal punto di vista personale, eravamo nel bel mezzo di una pandemia e vivendo con una persona immunodepressa, non potevo andare alle proteste, che è quello che faccio di solito. Mi sentivo decisamente impotente e avevo la necessità di trovare un modo per sentirmi utile. 

Le persone che sono direttamente intorno a me, quelle con cui interagisco di più sui social media, sono radicate nel mondo dell’attivismo allo stesso modo in cui lo sono io. Ho scritto un documento per i miei amici, in cui si parla specificamente di me come persona di colore. La maggior parte dei neri non aveva bisogno delle mie riflessioni perché conoscono già questa condizione. Gran parte della mia comunità è composta da neri.

Ho molti accademici come amici. Ho creato il mio post e la mia call to action sul mio Facebook personale e l’ho reso pubblico, quindi i miei amici lo hanno condiviso. È andato a gonfie vele. Ha girato di campus in campus. Non ho idea di come sia successo, ma ha iniziato a interessare anche le celebrità. Quindi il cast della serie TV Riverdale ha iniziato a condividerlo. Ho notato che c’erano molti adolescenti – un gruppo sociale a cui non ho accesso – che si domandavano se condividerlo.

È una specie di cliché ora, ma questo attivismo, lavorando per correggere le disuguaglianze, deve operare in modo sinergico. Quando una voce si spegne, ce ne sono altre che continuano a portare avanti il messaggio. Oggi esistono tanti altri documenti che hanno creato questa rete che è ancora fiorente oggi.

Fiona Lowenstein, 27Foto di cortesia

Fiona Lowenstein, 27

New York

Lowenstein è la fondatrice e caporedattrice di Body Politic, un’organizzazione mediatica e un collettivo di benessere con sede a New York che ospita un gruppo di supporto Slack per le persone con covid-19, comprese quelle con sintomi a lungo termine. Ora ha più di 10.000 membri e accoglie da 50 a 100 nuovi membri ogni settimana. Il gruppo è stato il luogo di incontro per la Patient-Led Research Collaborative, un collettivo globale di pazienti con covid-19 che stanno registrando e condividendo i dati sui propri sintomi e che ha iniziato a pubblicare ricerche sul covid a lungo termine.

Mi sono ammalata molto presto quando la pandemia ha colpito gli Stati Uniti. I miei primi sintomi sono stati il 13 marzo 2020. Il mio contagio risale a prima che ci fosse un elenco completo dei sintomi dal CDC, prima che ci fossero informazioni sui recuperi a lungo termine o sui giovani che si ammalavano gravemente. Quelle due settimane in cui mi sono trovata in ospedale, mi mancavano molte informazioni. 

Il gruppo è iniziato come una forma di supporto emotivo. Le persone con covid lungo avevano bisogno di un posto dove parlarsi. Presto il gruppo è diventato un centro di condivisione di informazioni, perché ci mancavano dati dai nostri medici e dalle agenzie sanitarie. Stavamo solo parlando tra di noi e cercando di capire. Il gruppo era effettivamente su Instagram in quel momento, come chat DM. C’erano forse da 25 a 30 persone.

Molte persone con encefalomielite mialgica, o sindrome da stanchezza cronica, si sono rivolte a noi all’inizio della pandemia. Sono, per la maggior parte, persone che hanno sintomi a lungo termine a seguito di infezioni virali. Ci hanno contattato per fornire indicazioni su come affrontare una malattia come questa, ma anche su salute, advocacy e come interagire con le agenzie sanitarie. 

La nostra intenzione è sempre stata quella di contestualizzare il covid lungo all’interno delle malattie a lungo termine e malattie croniche. In realtà il nostro gruppo di supporto è solo per i pazienti covid, ma abbiamo uno speciale canale di advocacy in cui abbiamo alcuni utenti di altre organizzazioni di malattie croniche e disabilità e giustizia sanitaria che affrontano il problema con una visione allargata. 

Per coloro che stanno vivendo o si stanno riprendendo dal covid-19, abbiamo canali per quasi tutti i sistemi del corpo: riproduttivo, neurologico, muscolare, circolatorio, gastrointestinale. È in questa sede che affrontiamo sintomi molto specifici. Abbiamo anche canali per comunità specifiche. Abbiamo tre canali privati a cui ci si iscrive su richiesta: un canale BIPOC, un canale LGBTQ e un canale per i professionisti medici.

Infine ci sono canali che sono più orientati alle tematiche di salute mentale delle persone. Abbiamo un canale Vittorie. È lì che si pubblica tutto, da “Ho fatto la doccia per la prima volta in una settimana” a “Mi sono riunito con la mia famiglia dopo sei mesi”. Abbiamo anche un canale chiamato Need to Vent, che è un po’ l’opposto: ci si va per esprimere come ci si sente e comme vanno le cose.

Erynn Chambers, 28 Foto di cortesia

Erynn Chambers, 28

North Carolina

Chambers ha visto una serie di statistiche negative sulla criminalità nei quartieri neri utilizzate per supportare e diffondere narrazioni razziste su TikTok e, dopo aver iniziato a creare un seguito sull’app, ha deciso di denunciarle in una canzone:

” I quartieri neri sono eccessivamente sorvegliati, quindi ovviamente hanno tassi di criminalità più alti. 
E i malfattori bianchi sono sottostimati, quindi ovviamente hanno tassi di criminalità più bassi. 
E tutte queste stupide statistiche che continui a usare funzionano su una piccola dimensione del campione. 
Quindi stai zitto! Zitto, zitto, zitto, zitto, zitto, zitto!”

La canzone ha fatto un balzo su Internet ed è stata ampiamente condivisa oltre TikTok la scorsa estate, guadagnando alla fine oltre 2 milioni di visualizzazioni. Chambers,@Rynnstar su TikTok, ha continuato a essere attivo e popolare sull’app, con 720.000 follower. 

E’ stato semplice. Un giorno della scorsa estate ero in veranda e ho cantato una melodia che mi è venuta in mente e l’ho pubblicata. Il giorno dopo, era decollata ed ero sbalordita. Un altro creatore, Alex Engelberg, ne ha fatto un remix corale e il successo è stato totale. 

Uso TikTok sapendo che non è la piattaforma ideale. È dove ho più follower. Ma l’esperienza è stata positiva. Ho incontrato molte persone che ora sono amici tramite TikTok. In realtà, è frustrante il modo in cui TikTok sembra avere un’idea preconcetta dei neri e scegliere ad hoc quello che viene mostrato sulla piattaforma. Io cerco di promuovere contenuti diversi, perché voglio che le persone sappiano che sono più di semplici video politici che condividono con le loro zie. Ho molti interessi. Voglio essere in grado di parlare dei miei hobby più frivoli tanto quanto qualsiasi creatore bianco. Mi piace anche parlare di linguistica, di teatro musicale e di storia. E non voglio che le persone pensino che se mi seguono per una cosa, non vedranno mai niente di diverso.

Sunnie Liu, 22 anni

Texas

Sonnie Liu, 22 Foto di cortesia

Nell’estate del 2020, Sunnie Liu, una studentessa universitaria a Yale, faceva parte di un piccolo gruppo di giovani cinesi-americani che volevano trovare modi per affrontare l’anti-Blackness all’interno della propriacomunità. Così hanno co-fondato il progetto WeChat, un’app cinese estremamente popolare tra la diaspora cinese negli Stati Uniti. Il progetto crea contenuti che cercano di contrastare quelli che spesso sono discorsi, notizie e disinformazione che arrivano prevalentemente da fonti di destra. Finora, il progetto ha pubblicato più di 25 articoli bilingue che hanno raggiunto centinaia di migliaia di lettori sui social media. 

Non ci sono molti giovani della diaspora cinese su WeChat e pochissime di queste voci sono progressiste. Quindi, anche se i conservatori sono una minoranza tra i cinesi-americani e gli asiatici-americani in generale, il discorso di destra e l’informazione politica dominano davvero la piattaforma WeChat.

Il modo in cui funziona l’app è che le notizie politiche di solito si diffondono dagli account dei media alle chat di gruppo, che spesso finiscono per essere casse di risonanza per diffondere sensazionalismo, teorie del complotto e, sfortunatamente, molta retorica di destra. La stragrande maggioranza degli utenti attivi di WeChat negli Stati Uniti sono membri della diaspora cinese che sono immigrati di prima generazione. E quindi sono in gran parte più vecchi di noi. Probabilmente fanno parte delle generazioni dei nostri genitori o nonni. 

Per la diaspora cinese, non c’è solo questo divario generazionale, ma anche uno linguistico e culturale.  A tavola, ci sono genitori che parlano mandarino e ragazzi che rispondono in inglese. Così accade che i più giovani esprimeano qualche idea politica complicata in inglese, ma i genitori non abbiano idea di cosa stia succedendo, e viceversa quando i genitori parlano mandarino. 

Anche i traumi subiti sono molto diversi in entrambe le generazioni, con i ragazzi che crescono e sperimentano il razzismo, forse da quando avevano cinque anni e sono entrati nelle scuole americane, rispetto ai genitori cresciuti in Cina, dove potrebbero aver vissuto la Rivoluzione Culturale. Stiamo cercando di colmare questo divario avviando conversazioni tra le generazioni online in una lingua che metta in comunicazione i genitori e i nonni della diaspora cinese.

La principale fonte di notizie su WeChat proviene dagli account dei media. WeChat li chiama “account ufficiali”. Sono essenzialmente microblog che pubblicano articoli che le persone possono leggere, condividere e discutere, mettere mi piace e commentare. Stiamo pubblicando con alcuni dei rari account di media progressisti su WeChat. 

In risposta alla violenza anti-asiatica, per noi, specialmente su WeChat ma anche più in generale, sui media, abbiamo sentito che la maggior parte della copertura dell’argomento mancava dell’analisi di classe e dell’analisi di genere. Soprattutto dopo Atlanta, questo è qualcosa di cui tutti gli asiatici-americani devono preoccuparsi perché si tratta della nostra vita, della nostra sicurezza. 

Ma se si guarda a chi è stato effettivamente attaccato, la stragrande maggioranza di queste persone era la più vulnerabile nelle nostre comunità: quelli a basso reddito, gli anziani e immigrati che non parlano inglese. Tutte persone poco visibili e che non hanno la possibilità di difendersi. Quindi abbiamo letto questa situazione non come singole provocazioni da parte di persone razziste, ma come il prodotto di pregiudizi strutturali.

(rp)

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