Intervista a Massimo Banzi, fondatore dell’azienda di microcontrollori che dimostra come sia possibile essere veramente open e fare impresa.
Chi ha mai messo piede in un FabLab, un acceleratore o un incubatore (per non parlare dei garage in stile Silicon Valley degli albori) avrà sicuramente avuto occasione di vedere all’opera anche giovani “smanettoni” con saldatore e schede con circuiti integrati di ogni tipo. Bene, gran parte di quelle schede riportavano un nome che è ormai diventato famoso ed è tutto made in Italy: Arduino.
Per tutti quelli che lavoravano e inventavano con queste schede, Arduino ha sempre rappresentato non soltanto un’azienda produttrice di sistemi elettronici ma, soprattutto, una filosofia di vita e di lavoro inscindibile da un’altra parola chiave: open-source.
A far nascere quest’azienda e questo sogno, tuttora vivi e in ottima salute, è stato Massimo Banzi che, a 20 anni dalla fondazione di Arduino, racconta a MIT Technology Review Italia un pezzo di questa vita e della sua visione del futuro.
Arduino ha di fatto sdoganato il concetto di maker, rendendo accessibile a molti la creazione di tecnologie anche innovative, un po’ come ChatGPT sta facendo con l’IA. Cosa è cambiato in questi quasi 20 anni?
Arduino è intervenuto in un momento in cui la gente già faceva sviluppo con microcontrollori e strumenti simili, ma erano tool molto complessi, tipicamente utilizzabili da ingegneri e, inoltre, costavano pure migliaia di euro. Quindi era un’attività costosa e complessa. Noi abbiamo cercato di democratizzare lo sviluppo dei microcontrollori: renderli quindi facili da usare per chiunque e al costo minore possibile. Questo è stato possibile facendo leva sul software. Abbiamo utilizzato diversi applicativi software open-source e li abbiamo avvolti in questa esperienza d’uso intuitiva. In questo modo basta scaricare un software, schiacciare un pulsante e andare avanti. Con quel pulsante succedono tante cose complesse ma l’utilizzatore non se ne rende conto, non ha la necessità di entrare in quel tipo di dettaglio e quindi quel sistema può essere utilizzato da chiunque. Oggi, con il boom dell’IA generativa, ci troviamo in una fase in cui, da una tecnologia molto complessa, appannaggio esclusivo di persone estremamente skillate o di ricercatori, viene fuori ChatGPT che è uno strumento con un’interfaccia facile da usare per il grande pubblico. Il percorso non è molto diverso da quello che Arduino ha rappresentato per i microcontrollori. L’ultimo pezzo che manca, per completare quel percorso, è rendere il tutto realmente “open”. Sebbene la società che ha per prima avviato questo processo si chiami OpenAI, in realtà ha molto poco di “open” e questo ha una serie di importanti implicazioni. Ci troviamo oggi ad avere un grande player americano che possiede gran parte del mercato del settore e che usa diverse tecniche per mantenere la propria leadership e, dall’altra parte, una serie di aziende che stanno mettendo sul mercato un sacco di modelli di IA disponibili in modalità open-source, un po’ anche per “redimersi” da alcune cose fatte in passato. Questa, secondo me, dovrà essere la prossima fase: riuscire a inserire questi modelli open-source in un involucro di esperienza d’uso facile. I computer che utilizziamo diventano sempre più potenti e sempre meno costosi e questo vuol dire che arriverà un momento in cui potrò far girare un modello potente a casa mia con diversi vantaggi. Solo per citarne alcuni: lavorare su dati di mia proprietà senza diffonderli; addestrare il modello con dati miei e non con dati presi dalla Rete e filtrati chissà da chi e come.
Uno dei punti di forza di Arduino è stata la filosofia open-source. Oggi il concetto è molto dibattuto e non c’è accordo unanime sulla definizione. Qual è il punto di vista di Arduino su questo tema?
È chiaro che in questo momento ci sono due voci: una che è d’accordo sull’open-source veramente open; un’altra di quanti credono che questo significherà il fallimento o la distruzione del mercato. Io credo che questi ultimi non abbiamo ragione. In realtà, avere disponibilità di tecnologie open-source è un grande processo di democratizzazione della tecnologia. Significa che anche una PMI italiana se ha anche pochi dipendenti con un minimo di conoscenza e competenza, con gli strumenti open-source facilmente reperibili potrebbe realizzare strumenti che, in campi specifici, possono rappresentare una validissima alternativa, ad esempio, a ChatGPT, ma realizzati sulle proprie esigenze. Inoltre, l’open-source è molto importante anche per i processi di innovazione. In queste settimane si è diffusa la notizia che l’Italia voglia dare milioni di euro a qualcuno per realizzare un Large Language Model tutto italiano. Io credo che questa scelta sia un disastro, perché si spera, alla fine, di creare un competitor di ChatGPT, ma abbiamo già visto che ogni volta che abbiamo utilizzato questo approccio (ricordo in Europa il tentativo di creare il “Google” europeo) non siamo mai riusciti a farlo, sprecando, tra l’altro, tanti soldi. Sarebbe molto meglio, invece, investire in un’infrastruttura che possa permettere a tutti di lavorare su modelli open-source. In questo modo si semina conoscenza tra tante persone che possono sviluppare diversi modelli open e tool veramente innovativi da cui potrebbero nascere tante aziende, italiane ed europee, capaci di competere a livello globale. Si parla tanto di sovranismo e credo che promuovere una forma di sovranismo tecnologico sia molto importante a livello europeo, ma la strada più consona dovrebbe essere quella dell’innovazione basata su apertura e accessibilità, non quella dell’emulazione di quanto già fatto da altri. Il modello open-source in sé non genera denaro, ma facilita l’ibridazione e la diffusione di conoscenza, creando un contesto nel quale possono nascere applicazioni specifiche che stanno benissimo sul mercato a tutti i livelli.
Come si pone Arduino dinanzi a quella che sembra essere una vera e propria guerra commerciale e tecnologica sui chip di nuova generazione? Che rischi/opportunità vede in questo?
Sicuramente una delle tematiche che sto verificando, anche con altre realtà e persone che fanno manufacturing di tecnologia in Europa, è che oggi ci si trova a competere con aziende che stanno arrivando sul mercato con prezzi impossibili perché ricevono finanziamenti molto importanti dai loro governi, con il solo scopo di aprire in Europa o negli USA e distruggere questi mercati per potervi entrare prepotentemente. Io credo nella concorrenza e nel mercato libero, ma con delle regole certe che valgano per tutti. Sembra che adesso, finalmente, l’Unione Europea se ne stia rendendo conto e prova ne è il fatto che a una gara per la realizzazione di un parco solare in Romania sono state escluse delle ditte cinesi proprio perché seguivano questo meccanismo di concorrenza sleale foraggiata dal proprio Stato. Perché ho portato questo esempio? Perché esiste un problema. A Ivrea, dove noi facciamo il manufacturing, c’era Olivetti che ha impiegato 100 anni per creare un indotto di gente che sapeva fare tutte le lavorazioni necessarie per realizzare oggetti tecnologici. Se noi lasciamo in maniera passiva che tutto questo venga definitivamente distrutto, non basteranno centinaia di milioni a una realtà che voglia ricostruire la supply chain. Ci sono delle cose che bisogna difendere. Questo è un tema molto importante. Poi c’è la competizione geopolitica che si basa anche sull’accesso ai semiconduttori. Molti attori oggi si domandano non se ma quando la Cina invaderà Taiwan e stanno già introducendo delle misure per capire come limitare o dissuaderla in maniera non violenta da questo intento. Siccome oggi il mondo è intriso di tecnologia, ci sono tanti strumenti per poterlo fare. Ci sono già macchine con dei kill switch, che, se vengono utilizzate in maniera impropria o da chi non dovrebbe, smettono di funzionare. Basta premere un pulsante e quella macchina smette di costruire chip. Questo lo sanno ormai tutti e la questione si sposta quindi su un piano geopolitico che non sarà mai bello e pulito – e non sarà mai solo bianco o solo nero perché è molto complesso – ma che impone, anche a noi europei, il dover attuare alcune misure per proteggerci.
Per arrivare ad Arduino, come azienda noi ci siamo sempre posti in questa situazione in maniera molto pragmatica. Arduino adotta una tecnologia se trova il modo per semplificarla a un punto tale da creare uno strumento che possa aiutare le persone a fare delle cose che non potevano fare prima o che richiedevano competenze troppo sofisticate o grossi investimenti. Per questo facciamo partnership con produttori di tutto il mondo. Anche noi abbiamo dovuto fare delle “magie” per superare periodo complessi, come durante la pandemia, quando i chip non si trovavano più. Ci siamo riusciti grazie innanzitutto alle persone che si occupano del manufacturing, che hanno fatto un gran lavoro di pianificazione. Certo, ci sono problemi che non si possono superare: se un fornitore non riesce proprio a produrti un componente che ti serve ci puoi fare ben poco. Sicuramente ci ha aiutato avere delle ottime relazioni con i partner con cui abbiamo contatti diretti, senza passare da un distributore, e questo facilita enormemente il raggiungimento di soluzioni quando si presenta un problema. Questo ci mette anche al riparo da strani approvvigionamenti di chip che, in un contesto come quello attuale, diventa una pratica molto rischiosa per chi la persegue perché i chip falsi sono un vero rischio per chi li utilizza. Il periodo della pandemia è stato terribile, ma aver sempre scelto la qualità e la prospettiva di lungo termine nella produzione ci ha premiati anche in quel caso. Mentre in molti usavano cloni cinesi di Arduino, una serie di soggetti, che hanno prodotto strumenti per malati Covid come i respiratori, hanno preferito non rischiare e acquistare le schede originali Arduino per i propri device. Inoltre, il fatto di avere il manufacturing in Italia ci ha aiutati molto. Quando in Cina hanno chiuso tutto, le nostre sedi in Italia, essendo ritenute strategiche proprio per la produzione di dispositivi sanitari, hanno potuto continuare l’attività.
Rimanendo un attimo sull’argomento chip, ha ragione chi dice che la Legge di Moore è arrivata al capolinea?
Mi viene in mente quella famosa frase di Mark Twain: “Le notizie sulla mia morte sono esagerate”. Ecco, anche la Legge di Moore sembra che si trovi sempre sull’orlo del baratro, ma alla fine TSMC riesce sempre a inventarsi qualcosa di nuovo che ne conferma la validità (ride, ndr).
Chi pensa ad Arduino pensa principalmente a piattaforme hardware. Quanto è importante il software? Quali novità e opportunità può rappresentare l’IA per le piattaforme Arduino e per i suoi utilizzatori?
Attualmente stiamo lavorando molto in un settore chiamato “Tiny ML” che non è altro che l’applicazione del machine learning attraverso oggetti molto piccoli. Si tratta di un mondo non molto conosciuto. Se consideriamo che i chip presenti in alcune schede Arduino hanno una potenza di calcolo paragonabile a computer di alcuni anni fa, posso pensare di realizzare degli algoritmi semplici, gestibili con la potenza di calcolo che ho a disposizione, e farli funzionare su oggetti molto piccoli, ad esempio per applicazioni di tipo industriale come sensori che mi permettono di monitorare le vibrazioni di un macchinario e di avvertirmi quando queste non sono normali, sintomo di un malfunzionamento. Parliamo di manutenzione predittiva che ha il potenziale di far risparmiare un sacco di soldi alle aziende. Oppure possiamo utilizzare questi sistemi per la visione computerizzata, sempre su oggetti molto piccoli e magari alimentati a batteria, che offrono una serie di vantaggi: da una parte posso avere la visione computerizzata nel punto esatto che mi serve monitorare; dall’altra, elaborando tutti i dati internamente, in locale, evito tutti i potenziali problemi di privacy, perché non ho la necessità di inviare le immagini in alcun cloud. L’abbiamo sperimentato anche durante la pandemia, con un sistema che monitorava in tempo reale quante persone, in una stanza, indossassero la mascherina. La cosa interessante è che da questa visione venivano fuori solo dati numerici (delle persone che, appunto non indossavano la mascherina) ma nessuna immagine con i volti delle persone. Quindi i vantaggi sono molteplici: consumi energetici molto bassi perché vengono alimentati chip molto piccoli; nessun problema di privacy; si risparmia anche sulla connettività perché, se elaboro i dati con il machine learning nel sensore stesso, i dati trasmessi sono molto piccoli ed essenziali perché già altamente filtrati. Per lo stesso motivo ho anche vantaggi in termini di velocità nella trasmissione di questi dati.
Quale sarà l’evoluzione di Arduino in un mondo sempre più dominato dall’IA?
Sicuramente il settore in cui stiamo investendo e che si sta sviluppando maggiormente è quello relativo alla linea Arduino Pro, dedicata all’industria. Un prodotto che abbiamo già realizzato e che rappresenta anche un buon indicatore della direzione in cui stiamo andando è Opta, che abbiamo realizzato per Finder, un’azienda italiana. Si tratta di un micro PLC (controllore logico programmabile, ndr) che ha delle caratteristiche innovative. Infatti, mentre i classici PLC sono abbastanza chiusi e lavorano con software proprietari, Opta ha sia un tool che mi permette di programmare utilizzando i classici linguaggi di programmazione di PLC, sia la possibilità di programmarlo utilizzando altri linguaggi, come il C++. Questo mi permette di avere funzionalità PLC con una soluzione molto flessibile e interfacciabile con tanti altri strumenti. Quindi la strada che stiamo percorrendo è quella di realizzare strumenti per il mondo dell’industria che siano il più open e accessibili possibile, e che possano adattarsi a diversi casi d’uso. Questa tipologia di sistemi è già utilizzata da alcune industrie, anche perché sono molto potenti e costano abbastanza poco. Oltre questo, è chiaro che c’è un mondo in cui l’IA diventa sempre più centrale e importante, ma è altrettanto vero che l’IA si nutre di dati che vengono generati dai sistemi. Per questo l’altro aspetto al quale ci dedichiamo è quello dei sistemi che vanno a leggere i dati dai sensori. Arduino costruisce strumenti che permettono di applicare le conoscenze software a un hardware che si può installare in azienda o in fabbrica per raccogliere, elaborare (anche in locale) e generare dati, che poi possono essere utilizzati per gli algoritmi. Parliamo sempre di tool che sono accessibili e open al punto da poter essere utili anche nei centri di formazione, dalle scuole alle università, per insegnare a utilizzare queste soluzioni. Cosa che già accade, infatti.
In generale, Massimo Banzi come immagina la società del futuro?
Io sono sempre ottimista circa le possibilità che la tecnologia e l’innovazione possono mettere a disposizione delle persone. Ma la stessa tecnologia può anche generare monopoli devastanti oppure, come alcuni autori immaginano, mettere nelle mani dei governi uno strumento potentissimo di controllo sulle persone. Io credo che oggi abbiamo un problema di mancanza di conoscenze di cos’è la tecnologia. Non intendo dire che tutti devono saper programmare, non serve a niente. Ma credo sia fondamentale spiegare e far capire al maggior numero di persone possibile cos’è realmente la tecnologia, quali rischi potenziali nasconde se non la si usa con consapevolezza. Oggi ci sono persone che ancora non sanno nulla di deepfake, pur essendo un fenomeno potenzialmente molto pericoloso e già molto diffuso. Per questo insisto sull’importanza di avere dei modelli open-source per il machine learning: perché diventi una tecnologia in mano alle persone, che possono sviluppare soluzioni alternative a quelle delle aziende. Altrimenti il rischio è quello di avere grandi aziende che controllano i governi, usati come strumenti per impedire la nascita e lo sviluppo di competitor. Oltre che sulla libertà di mercato e sull’innovazione, questo ha un impatto molto importante sulla geopolitica – lo stiamo già vedendo con questi blocchi che si combattono su diversi livelli – e sono molto deluso da come molti governi, in tutto il mondo, facciano finta di non capire che ci sono temi sui quali non è più possibile rimandare le decisioni, come quelle sul cambiamento climatico.
Oggi grazie a Internet viviamo una grande apertura verso l’esterno: abbiamo la possibilità di conoscere e condividere tutto. Ma è un sistema sotto minaccia, e ho l’impressione che, nel prossimo futuro, la società sarà investita da un fenomeno che chiamerei “caverna digitale”, in cui alcune persone si andranno a rifugiare creando bolle chiuse. Per fare un esempio: tutto quello che si mette su GitHub, in maniera gratuita e open, sarà utilizzato da Microsoft per addestrare i suoi modelli. Per cui immagino che tra un po’ gli sviluppatori che fanno le cose più innovative finiranno per lavorare con linguaggi “esotici”, strani, impossibili da comprendere e intercettare per i modelli normali, e non condivideranno più nulla all’esterno, creandosi una propria caverna digitale. Una sorta di inversione della globalizzazione con la creazione di sistemi più chiusi.