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Un esperimento in mongolfiera ad alta quota, da lanciare nella stratosfera antartica alla fine del 2022, ha l’obiettivo di rilevare segni indiretti della sostanza invisibile che rappresenta l’84 per cento della materia dell’universo.

di MIT Technology Review Italia

Qualche anno fa, durante la specializzazione in fisica alla Columbia, Kerstin Perez si è offerta volontaria in un laboratorio di nanotecnologia e si è unita al team principale che stava lavorando alla messa a punto di GAPS (General AntiParticle Spectrometer), una missione in mongolfiera nella fascia antartica per cercare antinuclei di raggi cosmici a bassa energia.

Poco tempo dopo, al Caltech, ha avuto l’opportunità di andare al CERN dove ha contribuito alla messa a punto di uno dei rivelatori di pixel dell’LHC, l’acceleratore di particelle. “Ero consapevole che tutti gli indizi della presenza della materia oscura provengono da osservazioni astrofisiche”, dice Perez. “Volevo l’opportunità, da zero, di progettare e costruire fondamentalmente un esperimento che potesse dirci qualcosa sulla materia oscura”.

Per questa ragione, nel 2016 è arrivata al MIT, e ha realizzato il suo obiettivo. E’ diventata una delle responsabili di GAPS, il progetto a cui inizialmente aveva lavorato alla Columbia. Questa missione, finanziata dalla NASA, mira a rilevare i prodotti della distruzione della materia oscura. 

In effetti, quando due particelle di materia oscura si scontrano, si pensa che l’energia di questa “interazione” possa essere convertita in altre particelle, inclusi gli antideuteroni che poi attraversano la galassia come raggi cosmici che possono penetrare nella stratosfera terrestre. Se gli antideuteroni esistono, dovrebbero provenire da tutte le parti del cielo e Perez e i suoi colleghi sperano che GAPS sia alla giusta altitudine e abbia strumenti sensibili per rilevarli. 

Oltre a GAPS, il lavoro di Perez si concentra sullo sviluppo di metodi per cercare la materia oscura e altre particelle esotiche nelle supernove e in altri fenomeni astrofisici catturati da telescopi terrestri e spaziali.

“Misuriamo così tanto dell’universo, ma sappiamo anche che stiamo perdendo pezzi enormi di ciò di cui è fatto l’universo”, spiega. “Ci devono essere più elementi costitutivi di quelli noti e credo che la via giusta per conoscerli sia fornita dai metodi sperimentali”.

(rp)