Il prezzo del petrolio

Per oltre quattro anni aveva continuato ad oscillare attorno ai 100$ al barile, ma nel luglio 2014 il prezzo del petrolio ha iniziato una brusca caduta che sembra tuttora inarrestabile. Intanto, in tutto il mondo si sono scatenati dibattiti sulle cause di questo calo, sul futuro del mercato petrolifero e sulle conseguenze per l’economia mondiale.

di Luca Longo

Per oltre quattro anni aveva continuato ad oscillare attorno ai 100$ al barile, ma nel luglio 2014 il prezzo del petrolio ha iniziato una brusca caduta che sembra tuttora inarrestabile.
Intanto, in tutto il mondo si sono scatenati dibattiti sulle cause di questo calo, sul futuro del mercato petrolifero e sulle conseguenze per l’economia mondiale.
Proviamo a ragionare su questi tre aspetti.

Tutti gli analisti sono concordi nell’individuare nella crisi finanziaria mondiale il fattore principale. Questa è stata innescata negli Stati Uniti da una sopravalutazione dei prezzi degli immobili nel 2006. Ne è seguita una crisi dei subprime (prestiti ad alto rischio finanziario da parte delle banche nei confronti di clienti a forte rischio debitorio) quando si è scoperto che molti investitori di Wall Street avevano scommesso su titoli che incorporavano mutui subprime senza che gli istituti di controllo avessero verificato correttamente l’effettiva solvibilità dei prestiti sottostanti. Da questo punto in poi, il panico fra gli investitori, amplificato dalla perdita di credibilità dei maggiori istituti di controllo, ha rapidamente portato alla grande recessione che ha coinvolto tutto il mondo. Gli USA ne sono più o meno usciti anche grazie ad alla forte iniezione di liquidità (800 miliardi di $) voluta da Obama per fare ripartire l’economia con una forte politica keynesiana.

Un’ulteriore, imprevista, spinta all’economia USA è giunta dalle nuove tecniche di fatturazione idraulica che hanno permesso di sfruttare giacimenti argillosi in territorio americano prima considerati inutilizzabili. Con lo shale gli Stati Uniti sono diventati addirittura esportatori di olio e gas nonostante siano ancora il più forte Paese consumatore di energia.

In Europa, invece, siamo riusciti a provocare un disastro da 400 miliardi di Euro per non aver saputo – o voluto – intervenire subito sulla microcrisi finanziaria greca (un Paese che, come ha più volte ricordato Romano Prodi, rappresenta il 2% del PIL europeo ed esporta meno della provincia di Reggio Emilia). L’America Latina rimane al palo trascinata dalla caduta del Brasile travolto dagli scandali, mentre il Medio Oriente resta schiacciato dai conflitti. Anche la Cina ha subito un brusco rallentamento della propria crescita provocato da una nuova bolla immobiliare.

Questa situazione ha prodotto la caduta dei prezzi dei combustibili, attraverso il ristagno dell’economia, il rallentamento della produzione e dei consumi e, di conseguenza, un eccesso dell’offerta di energia.

La crescita della domanda mondiale di petrolio, infatti, è salita da 90.7 milioni di barili al giorno (mb/d) nel primo trimestre del 2013 a soli 93.7 mb/d nel secondo trimestre del 2015. Le stime della International Energy Agency indicano una stabilizzazione attorno ai 95 mb/d per i prossimi 12 mesi. Solo dalla seconda metà del 2016 la domanda dovrebbe ricominciare a crescere fino a raggiungere i 96.2 mb/d e 96.8 mb/d rispettivamente nel terzo e quarto trimestre del 2016. La disponibilità di petrolio, invece, è rimasta in costante crescita dalla seconda metà del 2014. Il secondo trimestre 2015 si è chiuso, infatti, a 96.3 mb/d con un surplus record di circa 3 milioni di barili al giorno: il più alto dal 1998.

Quindi, nonostante il significativo rimbalzo della domanda petrolifera, che nella prima parte del 2015 ha messo a segno l’incremento maggiore degli ultimi cinque anni, il processo di riequilibrio del mercato è rallentato da un’offerta ancora sovrabbondante.

Imputato principale, non solo la produzione USA, scesa solo di 300 mila barili/g a 9,3 milioni di barili/g, ma il surplus di offerta OPEC. La decisione del cartello, nell’incontro tenutosi a novembre 2014, di perseguire una politica di espansione di quote di mercato, si traduce in una crescita record della produzione, con l’Arabia Saudita e l’Iraq ai massimi storici. In questo contesto, il possibile rientro del greggio iraniano, dopo l’accordo sul nucleare e l’eliminazione delle sanzioni raggiunto nel luglio scorso, costituisce un ulteriore fattore di spinta al ribasso del mercato.

La notizia che l’Arabia Saudita ha ritirato 73 miliardi di dollari dai suoi asset internazionali per fare cassa, sostenere la propria economia interna e finanziare la sua campagna militare nello Yemen è un indizio significativo delle difficoltà che stanno attraversando i paesi OPEC, ma evidenzia che il calo del prezzo del petrolio sta iniziando a destabilizzare il Medio Oriente.

Tuttavia, il crollo dei prezzi – che il 24 agosto ha raggiunto il minimo record di 42 $/barile – si spiega soprattutto con il perdurare delle incertezze sui mercati finanziari, in particolare la crisi cinese seppur orientata soprattutto al mercato interno, ed i possibili rischi di nuove ricadute a livello mondiale. Ad agosto questi timori hanno determinato una massiccia uscita dalle posizioni legate al petrolio tenute dagli operatori finanziari internazionali. E questo ha amplificato la caduta dei prezzi.

La componente finanziaria determina anche una maggiore volatilità delle quotazioni, che negli ultimi giorni, pur recuperando parzialmente terreno, mostrano oscillazioni molto violente.

Il mercato fisico è comunque in cammino verso un lento riequilibrio, che maturerà nel medio termine, quando il taglio degli investimenti upstream (circa 200 miliardi di $ già annunciati) e il calo della produzione interna statunitense, si tradurranno in una minore crescita dell’offerta futura.
Nel breve termine il prezzo resta vulnerabile ai rischi al ribasso, di natura economica, con il possibile ridimensionamento della domanda cinese, ed ai rischi di sovrapproduzione, con il rientro dell’Iran e l’eventuale recupero dei volumi di produzione libici. Permangono, ma restano in secondo piano, i rischi geopolitici che scenari di prezzo così bassi non fanno che accentuare.
La disponibilità di petrolio a un prezzo così basso provoca diverse conseguenze ma permette di prendere in considerazione scenari considerati non realistici solo un anno fa.

A questi prezzi, le compagnie petrolifere mondiali non possono sostenere gli investimenti previsti e stanno tagliando progetti per complessivi 1500 miliardi di $. Il più significativo è il fatto che – a prezzi di 50$/barile – lo shale oil & gas nordamericano risulta ormai fuori mercato ed ha subito tagli di oltre il 45%. Gli operatori stanno cancellando circa il 20-30% dei progetti previsti e secondo una analisi di Wood Mackenzie sul Financial Times, da quando i prezzi hanno iniziato a scendere nella scorsa estate già sono stati tagliati 220 miliardi di dollari di progetti, una ventina in più di quanto stimato solo un paio di mesi or sono.

Fra le misure allo studio, l’allungamento dei turni di lavoro – ma anche di riposo – per gli equipaggi delle piattaforme petrolifere offshore, un miglioramento della burocrazia necessaria per ottenere i permessi di lavoro, un miglioramento delle manutenzioni pianificate per fare sì che tutte le operazioni di messa a punto che deve subire ciascun macchinario siano effettuate contemporaneamente per tenerlo fuori produzione complessivamente per il minor tempo possibile.

Le piccole compagnie, maggiormente a rischio delle grandi, stanno ampliando accordi di collaborazione che prevedono la condivisione a turno delle risorse necessarie per le perforazioni, ma anche le grandi stanno studiando squadre di manutenzione centralizzata che gestiscano più piattaforme vicine invece di tenere una squadra dedicata su ciascuna. Si sono scoperte possibilità di razionalizzazione in luoghi inaspettati: ad esempio si è trovato che è urgente creare uno standard per le valvole distribuite negli impianti in produzione: ora possono essere dotate di 250 differenti diametri ciascuno differente dal successivo di solo 1/1000 di pollice.

Ma la necessità aguzza l’ingegno: per esempio, i comandanti delle navi che collegano le piattaforme Total sono stati invitati a procedere a velocità moderata per risparmiare carburante; la Shell ha scoperto che le proprie attrezzature sottomarine venivano dipinte con 28 diverse tonalità di giallo, prontamente portate a un solo colore ufficiale. Infine, è allo studio l’uso di … cani appositamente addestrati per individuare possibili falle sulle piattaforme del Mare del Nord. Almeno finché sindacati o enti per la protezione degli animali non protesteranno …

Tra i settori maggiormente colpiti, vi sono le aziende contrattiste che producono servizi per le grandi compagnie. Queste occupano una buona parte della manodopera totale del settore e forniscono, installano e gestiscono buona parte delle attrezzature necessarie allo sviluppo e al mantenimento dei pozzi. Sono numerosi i contractors basati in Emilia Romagna che hanno raggiunto una leadership mondiale in uno degli infiniti settori in cui si articola l’indotto petrolifero. Ma i libri ordini di queste società hanno subito importanti contrazioni dall’ultimo quarto del 2014.

Per gli investitori, gli effetti di questa spending review interna all’intero settore petrolifero saranno cruciali: godranno ancora della loro fiducia solo le aziende che saranno in grado di abbassare le spese e migliorare l’efficienza garantendo valori azionari e dividendi.

L’industria petrolifera sta ora al contempo subendo e promuovendo importanti innovazioni sul fronte dei costi; e la stagione di vacche magre non potrà fare altro che accelerare la trasformazione. Anche se la IEA scommette che dal 2017 i prezzi torneranno a salire, per allora il volto del settore oil & gas potrebbe essere cambiato in modo radicale.

Per l’Europa, e in particolare per il nostro Paese, questo sembra il momento giusto per rilanciare gli investimenti e dare una spallata che permetta di riavviare l’economia approfittando delle prospettive favorevoli create dalla nuova politica monetaria – il quantitative easing – della Banca Centrale Europea, dalla svalutazione dell’Euro che rende la nostra bilancia commerciale più competitiva di prima, dalla gigantesca scoperta di gas effettuata da Eni proprio nel Mediterraneo e, soprattutto, dell’attuale basso costo dell’energia.

Potrebbe essere anche il momento buono per investire seriamente sulla ricerca di nuove tecnologie per lo sfruttamento di fonti di energia rinnovabili, prima che giungano al termine i saldi di fine stagione sui combustibili fossili.

(MO)

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