Verso il riutilizzo per attività umane delle acque prodotte dall’estrazione petrolifera

Meno del 3% dell’acqua presente sulla Terra è utilizzabile per attività umane.

di Luca Longo

Meno del 3% dell’acqua presente sulla Terra è utilizzabile per attività umane. Questa la conclusione di una ricerca dell’United States Geological Survey, l’organizzazione che studia la salute del nostro ecosistema e dell’ambiente.

Per questo, in tutto il mondo sono in corso grandi investimenti scientifici e tecnologici per individuare fonti idriche alternative.
Fra tutti gli scarichi industriali, “l’acqua di produzione” – che viene portata in superficie insieme agli idrocarburi durante le attività di estrazione petrolifera – rappresenta di gran lunga la fonte più abbondante.

La valorizzazione di questa complessa miscela di prodotti organici ed inorganici disciolti nell’acqua può dare un contributo decisivo al bilancio globale dell’acqua per usi antropici. D’altra parte, il semplice smaltimento diretto di queste acque nelle falde superficiali comporterebbe gravi danni per l’ambiente a causa dei numerosi prodotti tossici in esse contenuti. Per questo motivo l’industria sceglie attualmente di reiniettarle nel giacimento stesso da cui sono state estratte.

Non stiamo parlando di quantità trascurabili: si stima che le acque di produzione generate nel mondo ammontino a circa 250 milioni di barili al giorno, un volume tre volte più ampio dei circa 80 milioni di barili di petrolio estratti quotidianamente.

Inoltre, il rapporto acqua/olio è aumentato negli ultimi dieci anni e continua a crescere a causa dello sfruttamento intensivo di giacimenti maturi, mentre può essere diminuito da migliori metodi di gestione delle acque e dalla scoperta di nuovi giacimenti.

Il trattamento per usi antropici delle acque di produzione è invece molto costoso, comprende numerose operazioni di purificazione fra le quali le più significative sono: la rimozione della frazione organica ancora in sospensione, la neutralizzazione, l’eliminazione di metalli pesanti, dei prodotti organici disciolti e, soprattutto, dei sali inorganici.

In particolare, il boro è un contaminante comune e abbondante nelle acque di produzione: può arrivare a valori di oltre 100 mg/l. Per evitare effetti tossici, le normative europee prevedono che la concentrazione di Boro debba essere portata sotto 2.4 mg/l per l’acqua potabile; ma questa deve scendere sotto 0.3 mg/l per essere utilizzabile anche per l’irrigazione di coltivazioni sensibili alla presenza dei suoi sali. Questi livelli di purificazione possono essere ottenuti grazie a processi di desalinizzazione tramite membrane ed in condizioni di pH elevato.

Risulta critico individuare, per ogni composizione di acque di produzione estratte in un determinato sito, la migliore scelta di membrane per la rimozione dei sali di Boro tramite osmosi inversa e nanofiltrazione.

Recentemente, scienziati del dipartimento di Tecnologie Ambientali del Centro Ricerche per le Energie Rinnovabili e l’Ambiente dell’Eni, in collaborazione con il consorzio Tecnologie Innovative per il Controllo Ambientale e lo Sviluppo Sostenibile e l’ Università di Genova, hanno dato un contributo decisivo in questo settore mettendo a punto un sistema di analisi multivariata basato sull’elaborazione di 15 descrittori delle prestazioni di ciascun tipo di membrana. Lo hanno poi messo alla prova con diverse membrane commerciali ottimizzando la scelta delle membrane più adatte alla composizione di determinate acque di produzione ed individuando i requisiti necessari per la rimozione efficace dei Sali di Boro disciolti in diverse condizioni di acidità.

Questo contributo è stato presentato dall’Eni al convegno internazionale EuroMed 2015 “Desalination for Clean Water and Energy” recentemente svoltosi a Palermo ed è ora oggetto di alcune pubblicazioni.

La ricerca di nuove soluzioni tecnologiche per il trattamento delle acque di produzione rappresenta per Eni un fattore determinante per la trasformazione di un sottoprodotto industriale tanto abbondante quanto fortemente inquinante in una risorsa per l’agricoltura e per le attività umane. Inoltre, la futura disponibilità di grandi masse d’acqua utilizzabili per attività umane risulta ancora più importante nelle zone desertiche dove spesso si trovano gli impianti di estrazione petrolifera.

(MO)

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