Vantaggi illeciti

Nell’intervista a Victor Mayer-Schonberger, professore di Internet Governance presso l’Oxford Internet Institute, si affronta il problema di come limitare il dominio incontrastato sui dati da parte delle grandi aziende tecnologiche.

di Angela Chen

Alcuni esperti di Internet suggeriscono di  “spezzettare” un’azienda come Google per rendere più facile l’accesso ai dati da parte delle nuove aziende. Mayer-Schönberger,  coautore di Reinventing Capitalism in the Age of Big Data, suggerisce invece l’adozione di  “misure progressive per la condivisione dei dati” che costringano le aziende oltre una certa dimensione a condividere parte dei loro dati, in forma anonima in rispetto della privacy, con aziende concorrenti più piccole. Angela Chen, redattore di Technology Review edizione americana, ha incontrato Mayer-Schönberger e gli ha posto alcune domande sulla proposta da lui avanzata.

Perché crede che la condivisione dei dati sia fondamentale per la regolamentazione dei colossi tecnologici?
In ogni mercato esiste una spinta verso la concentrazione. Ma nel corso degli anni passati è sempre stata presente una forza che contrastava questa tendenza: l’innovazione umana. Una piccola azienda poteva avere un’idea vincente e i mercati rimanevano competitivi.
Negli ultimi tempi, l’innovazione si sta affidando sempre meno all’ingegnosità umana, e sempre più all’apprendimento automatico basato sui dati.
Chi ha a disposizione l’ accesso al maggior numero di dati è portatore di un maggior grado di innovazione,  diventando progressivamente sempre più grande e minando alla base competitività e innovazione.
Quindi, se si prendono delle misure per  costringere coloro che hanno a disposizione grandi quantità di dati a condividere parti dei loro dati con altri, sarà possibile reintrodurre la competitività e diffondere l’innovazione.

Perché ridimensionare queste aziende dovrebbe danneggiare i consumatori?

È possibile suddividere una grande azienda, ma ciò non affronta la causa principale della concentrazione, a meno che non si modifichi la dinamica sottostante dell’innovazione basata sui dati.
Limitare il campo d’azione di una grande azienda di dati riduce il valore generato da questi stessi dati.
Il valore aggiunto deriva dalla raccolta e dal costante utilizzo della mole di dati.
Si pensi, per esempio, alle automobili di Google Street View, che forniscono viste panoramiche a 360° in orizzontale e a 160° in verticale lungo le strade, permettendo agli utenti di vedere parti di varie città del mondo a livello del terreno.
Tutto ciò non migliora solo le prestazioni di Google Street View, ma permette la geolocalizzazione su Android e favorisce la guida autonoma di Waymo.
Se si arrivasse a uno spezzettamento di Google, si  ridurrebbe la possibilità di sfruttare tali dati.
La semplice  limitazione della capacità di Google di crescere ed essere innovativa non consentirebbe, inoltre, ad altre aziende di raggiungere risultati simili perché non avrebbero a disposizione quei dati.

Aziende come Google o Amazon non godranno sempre di un vantaggio perché, pur condividendone una parte,  avranno accesso a un maggior numero di dati rispetto alle concorrenti?
Non è necessariamente così, almeno per due ragioni.
Innanzitutto, il valore dei nuovi dati diminuisce man mano che se ne possiedono sempre di più, quindi le aziende più piccole ne traggono vantaggio più delle aziende grandi.
In secondo luogo, la condivisione dei dati significa che le aziende più piccole possono ottenere dati da Google, Microsoft e vari altri colossi aziendali.
In questo modo ottengono dati eterogenei che consentono loro di avere un quadro più completo e forse migliore di quello di Google, che dispone di fonti omogenee.

Quali sono i problemi principali da affrontare per rendere attuabile la sua proposta?
La percentuale di dati da condividere.  Il 3-5% potrebbe essere una quantità accettabile, ma  non sono numeri incisi nella pietra.
Un altro passaggio importante è capire come facciamo a sapere di quali dati dispongono queste aziende.
Si potrebbe ipotizzare una directory online di detentori di dati, in cui si devono pubblicare le categorie di dati a disposizione, per esempio “dati di ricerca” o “dati di guida autonomi”.
Le potenziali aziende concorrenti potrebbero consultare le directories con estrema semplicità.

La scarsa protezione della privacy da parte di queste aziende ha creato numerose polemiche.
Come si può scongiurare il pericolo che l’obbligo di condivisione dei dati non darà vita a tante piccole Facebook con gli stessi problemi di privacy?
La privacy non è un singolo problema, ma un insieme di problemi.
Uno di questi è la concentrazione del potere dell’informazione.
E mentre la condivisione dei dati non aumenta il controllo individuale, limitare la concentrazione del potere delle informazioni potrebbe proteggerci da una situazione simile a un Grande Fratello.
Non dobbiamo comunque farci illusioni: l’obbligo di condivisione dei dati non risolve i problemi legati alla privacy.
Non è questo il suo obiettivo. Ma può aiutare a fornire alternative.
Ci sono state aziende di ricerca che hanno posto grande attenzione al rispetto della privacy, ma i loro risultati sono stati limitati dalla carenza di dati.
Se aiutiamo le aziende in competizione con Google o Facebook a offrire servizi davvero validi si difenderanno  i consumatori e si migliorerà la privacy.

(rp)

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