USA-OPEC, sfida all’ultimo barile

Dopo che a Vienna i Paesi esportatori hanno mantenuto invariata la produzione di greggio, l’ascesa della domanda, anche a causa dei prezzi ancora bassi, sta prosciugando le riserve dei terminal di stoccaggio statunitensi. Ma basterà per far risalire le quotazioni?

di James Hansen (Fonte ABO/OIL)

Avete presente le strutture di stoccaggio oltreoceano, che solo qualche mese fa dovevano fare i conti con un enorme surplus di petrolio invenduto? Dopo la decisione presa dall’OPEC, lo scorso novembre a Vienna, di mantenere invariati i livelli di produzione, i titoli della stampa hanno iniziato brulicare di storie di cisterne americane ai limiti del collasso.

“Il punto è”, scrivevano gli analisti del Petroleum Intelligence Weekly, “capire se il mercato esaurirà lo spazio di stoccaggio disponibile prima che la reazione in differita dei produttori esterni all’OPEC riesca a rallentare la fornitura globale”. E fu così che i costi per il noleggio di unità di stoccaggio galleggianti vuote raggiunsero l’apice.

Da allora, dopo gli sforzi profusi all’inizio della primavera per ampliare la capacità di stoccaggio, le scorte statunitensi di greggio sono diminuite, settimana dopo settimana, ad indicare un rallentamento della produzione e una domanda più elevata da parte dei consumatori.

Nonostante i segnali siano ancora incerti, gli ultimi dati sembrano suggerire un consumo in rapida accelerazione: al 5 giugno scorso, gli inventari nazionali hanno registrato un calo pari a 6,8 milioni di barili – il più consistente nell’arco di mesi.

Nuove campagne di estrazione

Nel frattempo, le ultime notizie dagli Stati Uniti hanno del paradossale. Dai dati pubblicati di recente dall’azienda di servizi petroliferi Baker Hughes, emerge che il numero degli impianti di perforazione è tornato a crescere dopo ben 29 settimane di declino ininterrotto. In altre parole, si stanno scavando più pozzi.

Forse è il segno che la produzione, colpita dall’abbassamento dei prezzi di mercato, ha finalmente toccato il fondo e, da questo momento, può solo risalire?

Per dovere di cronaca, nella settimana con termine al 2 luglio, sono entrati in attività altri 12 pozzi petroliferi. E se Baker Hughes sostiene che nello stesso periodo il numero di trivelle per l’estrazione del gas naturale sia diminuito di 9 unità, risulta comunque un guadagno netto di 3 trivelle dopo ben sette mesi consecutivi di picchiata.

In termini di quotazione del petrolio, questa evoluzione potrebbe rivelarsi poco proficua dal momento che, nonostante i prezzi siano diminuiti del 40 percento rispetto allo scorso anno, gli operatori stanno ancora avviando nuove produzioni.

Le nuove forniture, unite alle incertezze legate alle tensioni geopolitiche in Grecia, al disastroso crollo del mercato azionario cinese e alle possibili ripercussioni del ritorno dell’Iran nel panorama commerciale internazionale, non lasciano ben sperare riguardo al recupero dei prezzi del greggio.

Incognita cinese

Tra tutte le variabili dell’equazione, la Cina è improvvisamente diventata la più preoccupante, in quanto primo importatore di petrolio a livello globale. Le difficoltà finanziarie di un attore di tale portata potrebbero produrre effetti fortemente negativi sulla domanda di energia e, di conseguenza, sul prezzo del petrolio. 

Come ha sottolineato un analista, non si tratta di una “ricetta per l’equilibrio del mercato”. Infatti, dopo gli scambi di barili West Texas Intermediate nell’ordine dei 60 dollari (superati solo di poco dai barili Brent), oggi i prezzi del greggio si sono riavvicinati alla soglia dei 50 dollari, colpiti dall’ondata di cattive notizie (a seconda del punto di vista: consumatori o produttori).

Il bilancio, in attivo, degli impianti di trivellazione, per quanto innegabilmente modesto, è abbastanza interessante, non tanto come indicatore a posteriori delle tendenze del mercato, quanto come manifestazione del punto di vista personale (supportato da capitali concreti) degli operatori ben informati.
“Che cosa sanno che noi non sappiamo?”, si domandano gli osservatori a bordo campo.

A confondere ulteriormente le acque ci pensano i dati diffusi dalla Energy Information Administration (EIA), che prospettano una lenta e più profonda contrazione della produzione americana di scisto.

L’agenzia prevede che a luglio la produzione di petrolio giornaliera nelle principali regioni registrerà una flessione pari a 91.000 barili e che poco più della metà proverrà dal giacimento di Eagle Ford, nel sud del Texas, destinato a perdere, in base alle stime, 49.000 barili al giorno.

Domanda in alto, prezzi in basso

Contro ogni aspettativa, l’EIA conferma che comunque al momento la produzione di petrolio in America è in aumento, con picchi di 24.000 barili nelle ultime settimane, sebbene i dati sull’occupazione nel settore siano tutt’altro che incoraggianti.

A maggio, lo Houston Chronicle ha segnalato il taglio di 16.900 posti di lavoro presso le aziende che forniscono servizi di assistenza ai trivellatori, ai quali se ne aggiungono altri 500 nella produzione diretta di gas e petrolio. Il tutto, in un contesto economico generale che vede la creazione di centinaia di migliaia di nuovi impieghi ogni mese.

Al tempo stesso, un altro rapporto della International Energy Agency (IEA) dimostra che la domanda globale è di nuovo in rialzo, corroborata dai prezzi del petrolio più vantaggiosi e dalla crescita economica.
Due fattori che, secondo l’agenzia, hanno contribuito a stimolare la domanda di energia da parte dei consumatori mondiali nel corso dell’anno. 

L’IEA ha corretto le previsioni sull’aumento della domanda aggiungendo altri 300.000 barili al giorno e portando così il consumo globale a +1,4 milioni di barili al giorno nel 2015.

L’agenzia ha sorvolato sul fatto che l’aumento della domanda potrebbe essere sufficiente a innescare una significativa ripresa dei prezzi, concentrandosi invece sulla quantità in eccesso di petrolio. L’EIA ritiene infatti che lo scarto fra produzione petrolifera globale e domanda si avvicini ai 2 milioni di barili al giorno. A quanto pare, gli Stati Uniti nuotano ancora nel greggio.

L’articolo è disponibile anche su abo.net
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