Carbon offset: risorsa per una transizione sostenibile

L’adozione di programmi per la compensazione delle emissioni può contribuire a finanziare la ricerca di nuove tecnologie per contrastare il cambiamento climatico e sostenere le comunità.

di Lisa Ovi

L’Europa sogna da tempo il passaggio ad un’economia più sostenibile. I finanziamenti stanziati sul Green Deal per la ripresa post-pandemica sono un’occasione per realizzare questo sogno, ma serve un impegno veramente globale.

E l’Europa non è sola. Il Regno Unito ha dichiarato l’intenzione di decarbonizzare la propria economia entro il 2050. Negli USA, il presidente Biden ha riconfermato l’adesione della nazione all’accordo di Parigi, mentre investimenti decennali hanno reso la Cina una potenza globale anche nel mercato delle rinnovabili. Le attività economiche di questi ultimi due paesi sono all’origine della porzione più importante di emissioni a livello globale.

Con l’obiettivo di conseguire la neutralità carbonica entro il 2050, l’UE ha fissato al 2030 il traguardo di ridurre le proprie emissioni del 55% . La data del 2030 è significativa anche in relazione agli obiettivi per lo sviluppo sostenibile elaborati per il pianeta dall’ONU, in cui emerge chiara la necessità di collaborare su più fronti. La neutralità carbonica, infatti, richiede una trasformazione radicale di ogni settore economico, dai trasporti all’agricoltura, dall’industria alla gestione delle risorse idriche.

Ogni aspetto della vita quotidiana ed economica deve assumere un’impronta circolare, eppure alcuni settori potrebbero non essere in grado di annullare completamente le proprie emissioni dirette. Torna dunque in evidenza una fra le prime strategie messe in campo per combattere le emissioni: il carbon offset, o compensazione delle emissioni di carbonio, che permette di affiancare a queste emissioni inevitabili il sostegno ad una pari riduzione delle emissioni altrove.

In origine, secondo il protocollo di Kyoto, l’invito a ridurre e compensare le proprie emissioni era rivolto ai paesi industrializzati. Questi avrebbero trovato nei paesi in via di sviluppo le occasioni per finanziare progetti di carbon-offset. È con l’accordo di Parigi che ogni paese aderente si impegna a ridurre le proprie emissioni ed il programma delle compensazioni diventa centrale alla riduzione dell’impronta carbonica globale.

Si tratta di veri e propri mercati di scambio tra emissioni e compensazione. Primo tra tutti, il Sistema di Scambio di Quote di Emissione dell’Unione Europea (EU ETS) nel 2005 è un pilastro importante della politica energetica dell’UE. In base al principio “cap and trade”, l’Europa determina un quantitativo di emissioni massimo (cap) per ogni settore economico. Chi eccede questo valore, ha l’occasione di acquistare crediti da chi ha invece avuto particolare successo, andando così ad alimentare i sistemi virtuosi.

Nel sistema europeo, l’adesione dei singoli stati membri all’ETS è obbligatoria e prevede penali economiche o legali in caso di mancata ottemperanza, ma nella stragrande maggioranza dei casi, partecipare ad un programma di carbon-offset è una scelta volontaria. Sono state le recenti pressioni dell’opinione pubblica a rendere questo strumento per la limitazione delle emissioni sempre più popolare.

Pur non riconosciuto ufficialmente dall’ETS europeo, uno degli strumenti di compensazione più affascinanti è quello dei crediti forestali. Le foreste, infatti, sono perfette macchine per la cattura dell’anidride carbonica ed il loro ripristino compensa le emissioni di CO2, sostenendo la biodiversità.

Piantare alberi, però, non basta. Servono nuove soluzioni, investimenti, ricerca e sviluppo per arrivare ad una vera e propria transizione energetica. Recentemente, la Taskforce on Scaling Voluntary Carbon Markets, sostenuta dall’Institute for International Finance, ha invitato il mondo finanziario internazionale ad investire sulla neutralità carbonica. Proprio l’adesione ad un programma di offset potrebbe rivelarsi lo strumento ideale per indirizzare nuove risorse alla transizione energetica e garantire il mantenimento degli impegni.

Questo invito internazionale al mondo della finanza riconosce la natura globale del problema e della soluzione. L’impegno a costruire un futuro sostenibile ed un’azione equa su tutto il pianeta richiede la partecipazione di tutti, dai governi alle grandi multinazionali.

La natura articolata delle azioni necessarie ad ottenere questo futuro e contrastare i cambiamenti climatici è esemplificata dal programma evolutivo adottato da Eni.

Presente in 68 paesi, la multinazionale dell’energia non si è limitata a finanziare le ricerche necessarie allo sviluppo di energie rinnovabili, ma ha fatto propri i 17 Obiettivi di Sviluppo Sostenibile lanciati dall’ONU.

Ecco dunque che il piano strategico della multinazionale dell’energia per conseguire la neutralità carbonica entro il 2050 affianca ad un’intensa attività di sviluppo di nuove fonti di energia rinnovabile, operazioni di compensazione come REDD+ (Reducing Emissions from Deforestation and Forest Degradation) per la cura e la riqualificazione delle foreste, o l’adesione al CEO Water Mandate, l’iniziativa dell’ONU a cui si ispira il suo ‘Posizionamento sull’Acqua‘.

Il programma di Eni mette in chiaro l’importanza di investire nella ricerca. Il potenziale di rinnovabili più tradizionali come il solare o l’eolico potrà essere realizzato appieno solo con la realizzazione di nuove batterie per l’accumulo dell’energia prodotta. La scelta europea di puntare sull’idrogeno come vettore energetico richiede lo sviluppo delle tecnologie necessarie alla sua produzione, trasporto ed utilizzo. La decarbonizazione di prodotti ed operazioni conta sullo sviluppo di nuove tecnologie di cattura e stoccaggio dell’anidride carbonica.

Il rapporto ‘Eni For 2020‘ di recente pubblicazione rivela il quadro di una multinazionale che sta trasformando la produzione di energia in una rete di contributo globale alla sostenibilità e resilienza delle comunità in cui opera.

(lo)

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