Una “nuova” strategia per la riduzione dell’effetto serra parte dalla ricerca italiana di 40 anni fa

L’ultimo rapporto del Intergovernmental Panel on Climate Change mostra che la temperatura del Pianeta è aumentata di quasi un grado centigrado dal 1880 al 2012 a causa dell’effetto serra.

di Luca Lungo

L’ultimo rapporto del Intergovernmental Panel on Climate Change mostra che la temperatura del Pianeta è aumentata di quasi un grado centigrado dal 1880 al 2012 a causa dell’effetto serra, e questo aumento è per la maggior parte prodotto dall’aumento dei gas-serra di origine antropica.

Sappiamo che il riscaldamento della Terra è prodotto dall’assorbimento, da parte dei gas atmosferici, della radiazione solare riemessa dalla superficie terrestre sotto forma di radiazione infrarossa. Senza questo effetto, la superficie del Pianeta avrebbe una temperatura media di -18 C: 33 gradi in meno della temperatura media attuale.

Il vapore acqueo è responsabile di circa il 70% di questo effetto; può essere generato rapidamente per evaporazione delle acque superficiali ed altrettanto facilmente eliminato quando in eccesso tramite le precipitazioni. La concentrazione di H2O atmosferica si mantiene in equilibrio da milioni di anni: un aumento locale di umidità nell’aria fa aumentare l’effetto serra (l’atmosfera più umida trattiene più calore) mentre la formazione di nuvole lo diminuisce contrastando l’insolazione diretta ed eliminando l’umidità atmosferica in eccesso con le piogge.

Invece, i meccanismi naturali sono molto meno efficienti quando si tratta di eliminare l’eccesso di l’anidride carbonica o di metano (questi due gas insieme sono responsabili del 25% dell’effetto serra, mentre il restante 5% è causato da protossido d’azoto, clorofluorocarburi ed altri gas).

Un recente rapporto di Jorgen Randers per il Club di Roma, stima che entro il 2052 la temperatura media del Pianeta salirà di due gradi centigradi, mentre entro il 2080 il surriscaldamento raggiungerà i 2.8 gradi, con conseguenze potenzialmente drammatiche per l’ambiente e per lo stesso genere umano. Nel 2012 è stato calcolato che la quantità di gas-serra emessa in un anno è doppia rispetto a quella che può essere assorbita naturalmente dalle foreste e dagli oceani.

I Paesi che emettono la maggior parte dei gas-serra sono quelli più industrializzati, Stati Uniti in testa, ma da alcuni anni il ruolo dei Paesi in via di sviluppo sta crescendo in maniera esponenziale in quest’ambito a causa della crescita della produzione interna, del consumo energetico e della diffusione della tecnologia.

Un primo tentativo di limitare l’alterazione climatica indotta dall’uomo è la Convenzione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici (UNFCCC), stipulata nel 1992 a Rio. Essa vede nel Protocollo di Kyōto del 1997 il primo strumento di attuazione di una politica ambientale più responsabile focalizzata sulla riduzione delle emissioni di anidride carbonica.

La riduzione della concentrazione di CO2 nell’aria può però avvenire anche realizzando metodi efficienti per sequestrarla dall’atmosfera e, se possibile, riutilizzarla. L’impiego di anidride carbonica come elemento di costruzione per sintesi organiche potrebbe in teoria sfruttare un enorme serbatoio di carbonio (si stima che in atmosfera si trovino 2.3 1012 tonnellate di CO2, mentre negli oceani se ne potrebbero trovare altre 1.4 1014 tonnellate). Inoltre, l’uso di questa sorgente di carbonio avrebbe il potenziale di conservare le nostre riserve di combustibili fossili.

L’ostacolo principale che si frappone fra la realtà e questa ipotetica rivoluzione nella chimica verde connessa con la possibile risoluzione dei problema del cambiamento climatico è insita nella estrema stabilità termodinamica dell’anidride carbonica: questa rappresenta proprio la forma più ossidata, e quindi più stabile, in cui si può trovare un atomo di carbonio. Fino ad ora, soltanto pochi processi di utilizzo della CO2 sono stati considerati economicamente accettabili e sfruttabili anche a livello industriale, fra questi, i più importanti sono la sintesi dell’urea, del metanolo, dei carbonati ciclici e dell’acido salicilico. Oltre alla stabilità termodinamica, occorre considerare che la maggior parte delle reazioni che riducono la CO2 soffrono di una elevata barriera cinetica di attivazione.

Studi catalitici effettuati negli ultimi quaranta anni concordano nel ritenere che le vie di sintesi più promettenti passano per reazioni di catalisi omogenea a base Palladio su butadiene e CO2 con la produzione di δ-lattone, un intermedio organico altamente funzionalizzato e quindi facilmente utilizzabile in diverse vie di sintesi organica.

Fra i numerosi lavori pubblicati su questo tema, se ne possono evidenziare due recentemente usciti sulla ben nota rivista scientifica Nature e sulla specializzata Angewandte Chemie: il primo di Kyoko Nozaki e collaboratori dell’Università di Tokyo ed il secondo di Arjan W.Kleij e Giulia Fiorani dell’Università di Catalonia. Entrambi propongono di utilizzare l’anidride carbonica impiegandola come co-monomero all’interno di polimeri che risultano, quindi, in grado di sequestrare questo gas serra in modo stabile incorporandone il carbonio all’interno di polimeri organici.

In particolare, presso l’Università di Tokyo è stata sviluppata una strategia di polimerizzazione in grado di superare le barriere termodinamiche e cinetiche che ostacolano la co-polimerizzazione diretta di CO2 e butadiene, adottando come intermedio di polimerizzazione un δ-lattone facilmente ottenibile da una reazione di telomerizzazione di CO2. Quest’ultimo è un intermedio organico facilmente inseribile all’interno delle reazioni di sintesi di diversi polimeri di interesse industriale. La fattibilità del processo è già stata dimostrata sia su scala di laboratorio che di impianto pilota.

Interessante notare che questo stesso lattone, intermedio fondamentale per questa via di sequestrazione della CO2, fu per la prima volta sintetizzato a questo scopo alla fine degli anni ‘70 grazie ad una collaborazione fra l’ Istituto Donegani di Novara (ora Centro Ricerche per le Energie Rinnovabili e l’Ambiente dell’Eni) e ricercatori del CNR. Ne sono testimonianza un brevetto internazionale del 1978 e un articolo sulla rivista Inorganica Chimica Acta dello stesso anno. Questo dimostra che la chimica italiana già quasi 40 anni fa era al lavoro e produceva risultati all’avanguardia sul problema della riduzione dei gas serra.

(MO)

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