Un software predice il declino delle funzioni cognitive grazie al neuroimaging

È difficile individuare le persone più a rischio di Alzheimer. Ora un network neurale è in grado di segnalare gli individui a cui potrebbe essere diagnosticato nel giro di tre anni

di Emerging Technology from the arXiv

Il morbo di Alzheimer, una condizione neurologica cronica, è una delle malattie più insidiose dei nostri tempi. Circa 30 milioni di persone ne sono risultate possibilmente affette nel 2015. Si tratta di una condizione costosa da gestire, onerosa per ogni sistema sanitario di tutto il pianeta.

Nonostante non ci sia modo di fermare la malattia nella sua forma avanzata, ci sono prove del fatto che il suo progresso può essere rallentato o interrotto se viene diagnosticata per tempo. È quindi importante trovare come identificare gli individui a rischio.

Secondo Hongyoon Choi del Cheonan Public Health Center e Kyong Hwan Jin del Korea Advanced Institute of Science and Technology, nella Korea del Sud, è ora possibile individuare queste persone con tre anni di anticipo grazie al deep learning.

Il declino delle facoltà cognitive è inevitabile per tutti con l’età. Perdiamo la memoria, la capacità di prendere decisioni o portare a termine compiti e pensieri. Non pochi individui affetti da lievi forme di declino cognitivo finiscono con lo sviluppare il morbo di Alzheimer. In questo caso il paziente perde gradualmente la facoltà di parlare, riconoscere i propri cari, prendersi cura di sé, fino a divenire completamente dipendenti da chi se ne prende cura. I più muoiono dopo pochi anni. Non tutti coloro che presentano forme lievi di declino cognitivo, arrivano a questo punto. Una diagnosi tempestiva può rendere le cure attuali più efficaci.

Lo studio delle immagini del cervello ottenute con la tomografia ad emissione di positroni (PET) potrebbe aiutare ad identificare con maggiore anticipo le persone a rischio. Dell’Alzheimer si sa con certezza che si accompagna alla crescita indesiderata di grumi di proteine, chiamate placche amiloidi, e presenta un rallentamento del metabolismo cerebrale, misurato in relazione al consumo di glucosio. Alcuni tipi di PET possono rivelare segni di entrambe queste condizioni e quindi segnalare, in teoria, un rischio di Alzheimer. In pratica, l’interpretazione delle immagini non è così semplice. I ricercatori hanno individuato uno o due segni forti che osservatori addestrati possono cercare, ma questo metodo richiede tempo e non è infallibile.

Hongyoon e Kyong hanno sostituito gli osservatori umani con una rete neurale capace di deep-learning. Negli ultimi anni, i ricercatori interessati allo studio dell’Alzheimer hanno raccolto un database d’immagini del cervello di persone affette da Alzheimer e non. Hongyoon e Kyong hanno addestrato una rete neuronale convoluzionale a distinguere gli uni dagli altri, con le immagini del cervello di 182 settantenni sani e 139 affetti da Alzheimer. Hanno raggiunto un livello di accuratezza del 90 percento. Il passo successivo è stato far analizzare alla macchina le immagini di 181 settantenni affetti da lieve declino cognitivo, 79 dei quali sono stati poi colpiti da Alzheimer nel giro di 3 anni. Hongyoon e Kyong hanno dato alla macchina il compito di identificare questi individui. Secondo i loro risultati, la loro rete neurale avrebbe riconosciuto le persone a rischio con un livello di accuratezza dell’81 percento, un risultato molto migliore di quello ottenuto dagli osservatori umani.
Si direbbe che abbiano trovato un sistema relativamente veloce per individuare persone a rischio più suscettibili ai benefici di un intervento tempestivo. Il miglioramento della qualità della vita di molti non sarebbe l’unico beneficio, anche i sistemi sanitari nazionali potrebbero ricavarne un significativo risparmio di risorse.
Si tratta inoltre di un nuovo punto a favore dell’utilizzo del deep-learning per diagnosticare più velocemente e con più accuratezza del personale medico umano condizioni mediche complesse come cardiopatie o cancro.

(LO)

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