Skip to main content

Un chimico di Toronto, Alan Aspuru Guzik, utilizza l’intelligenza artificiale, i robot e persino l’informatica quantistica per scoprire molecole utili alla produzione dei materiali di cui avremo bisogno per combattere il cambiamento climatico.

di Simon Lewsen

Davanti ai modelli di cambiamento climatico, gli occhi di Alán Aspuru-Guzik si soffermano sulle barre di errore, che mostrano la gamma di incertezza che circonda ogni previsione. “Come scienziati”, dice, “abbiamo il dovere di contemplare gli scenari peggiori”. Se il cambiamento climatico procede come previsto, l’umanità potrebbe avere un paio di decenni o giù di lì per trovare materiali che ancora non esistono, vale a dire molecole che consentano di catturare il carbonio in modo rapido ed economico e batterie, fatte di qualcosa di diverso dal litio, un metallo costoso e difficile da estrarre, per immagazzinare la fornitura globale di energia rinnovabile. 

Aspuru-Guzik (uno dei 35 giovani innovatori di “MIT Technology Review” nel 2010) ha dedicato gran parte della sua vita a rispondere a questa esigenza. La scoperta dei materiali, la scienza della creazione e dello sviluppo di nuove sostanze utili, spesso si muove a un ritmo frustrante e lento. Il tipico approccio per tentativi ed errori, in base al quale gli scienziati producono nuove molecole e poi le testano in sequenza per verificare le proprietà desiderate, richiede in media due decenni, rendendo il processo troppo costoso e rischioso da portare avanti per la maggior parte delle aziende.

L’obiettivo di Aspuru-Guzik, che condivide con un numero crescente di chimici esperti di computer, è ridurre tale intervallo a una questione di mesi o anni, consentendo all’umanità di accumulare rapidamente un arsenale di risorse, principalmente batterie e filtri per la cattura del carbonio, per combattere il cambiamento climatico. Il tentativo è di far rivivere la moribonda industria dei materiali incorporando simulazioni digitali, robotica, scienza dei dati, intelligenza artificiale e persino informatica quantistica nel processo di scoperta. 

Laboratorio di robotica. Derek Shapton

Il chimico, messicano di origine, ma residente a Toronto, lavora a programmi per computer che utilizzano una conoscenza precisa della struttura elettronica delle molecole per creare nuovi progetti e robot che producono e testano queste molecole.  Dirlo è semplice, ma farlo nella realtà è tutt’altra cosa. Le strutture delle molecole sono incredibilmente complesse e la sintesi chimica è spesso più arte che scienza. Comunque, i progressi nell’intelligenza artificiale, nella robotica e nell’informatica stanno aprendo nuove prospettive. 

Aspuru-Guzik ha presieduto un seminario nel 2017 a Città del Messico in cui 133 partecipanti, tra cui scienziati vincitori del premio Nobel e rappresentanti di 17 governi nazionali, si sono riuniti per fare il punto della situazione della comunità di ricerca globale su questo obiettivo. La conferenza è stata un momento cruciale, poiché ha contribuito a trasformare il campo della scoperta accelerata di materiali da un’area di indagine di nicchia a una priorità mondiale per molti dei partecipanti. Dopo questo evento, Canada, India e paesi europei, tra gli altri, hanno iniziato a investire in iniziative per accelerare la ricerca sui materiali. 

Il lavoro in sé è ambizioso e tecnicamente difficile perché abbraccia tante discipline. Ma come chimico, ingegnere del software, pioniere dell’intelligenza artificiale, programmatore di computer quantistici, appassionato di robotica e imprenditore seriale, Aspuru-Guzik potrebbe avere il giusto mix di competenza computazionale e immaginazione per collegare i molteplici strumenti essenziali per realizzarlo. Non a caso, è emerso come uno dei paladini più convincenti del nuovo modo di fare chimica.

“Alán può vedere oltre ciò che la gente pensa sia possibile”, afferma Jousha Schrier, chimico della Fordham University. È il tipo di innovatore, continua, che cambia il modo in cui tutti coloro che gli stanno vicino fanno scienza. Per Ryan Babbush, capo del team di algoritmi quantistici di Google, il tratto caratteriale più importante di Aspuru-Guzik è la sua irrequietezza creativa. “Alán spende il suo tempo e le sue energie nei territori inesplorati”, dice. “Non si ferma e si concentra su sviluppi incrementali”.

Questo può essere un problema dato il tempo e il duro lavoro necessari per portare un nuovo materiale sul mercato, un’impresa che richiede una ricerca ostinata e un’infinita pazienza aziendale. Ma, nel complesso, spiega Babbush, Aspuru-Guzik è interessato a reimmaginare il processo di scoperta dei materiali, per dotare gli scienziati della comunità degli strumenti computazionali e di automazione di cui hanno bisogno per accelerare il loro lavoro. 

Oggi Aspuru-Guzik sta costruendo un laboratorio a Toronto nel quale gli algoritmi di intelligenza artificiale progettano nuove molecole e i robot le realizzano e le testano rapidamente. Il laboratorio è una sorta di prototipo, pensato per dimostrare come la scoperta dei materiali potrebbe funzionare in futuro. “La mia idea è favorire l’avvento dell’era dei materiali on demand, in cui ogni laboratorio può facilmente creare nuovi composti”, afferma. “I problemi del mondo richiedono nuove molecole”, aggiunge, “e siamo ancora a dir poco carenti nel produrle”.

Sistema automatico di gestione dei fluidi. Derek Shaptonv

Le cicatrici della battaglia 

Aspuru-Guzik parla in modo esuberante, rapido e con continue digressioni. Quando ho visitato per la prima volta il suo ufficio all’Università di Toronto, mi ha mostrato una collezione di maschere lucha libre (il wrestling messicano), una specie di passamontagna blu brillante, verde e rosa adornati con motivi aztechi. “Le maschere sono uno strumento di umanizzazione”, sostiene.  

Quando era uno studente di chimica di 19 anni alla National Autonomous University del Messico, stava tornando da un rave notturno nella città di Cuernavaca ed è uscito di strada con la sua auto. I chirurghi hanno dovuto operarlo all’intestino, lasciandolo con una cicatrice che corre, come una linea mediana, al centro del suo addome. Dopo questo primo incontro con la morte, Aspuru-Guzik, cresciuto in una famiglia di scrittori, musicisti e architetti metà cattolica e metà ebrea si è dedicato a una vita di avventure intellettuali. Se un campo di indagine lo intrigava, lo perseguiva, anche se esoterico o al di là delle sue competenze. 

All’epoca, c’era grande entusiasmo per la possibilità di utilizzare la modellazione basata su computer per progettare molecole con le proprietà desiderate, eliminando al lunga trafila degli esperimenti. Gli scienziati hanno parlato di una nuova era della chimica virtuale, solo che i risultati non hanno dato loro ragione. I computer erano troppo lenti e le molecole troppo complesse. 

Nella biblioteca dell’università, Aspuru-Guzik si è imbattuto in un articolo sulla possibilità di fare chimica molecolare all’interno di un computer. Nel 1926, il fisico Erwin Schrödinger aveva pubblicato un’equazione per prevedere il comportamento delle particelle subatomiche, come elettroni e protoni. Se si riesce a modellare matematicamente una molecola a livello subatomico, si possono iniziare a fare inferenze sul materiale risultante: come si combina con altri materiali, quanto è duro o morbido o quanto velocemente si decompone. Almeno questa è l’idea. Ma per la maggior parte dei materiali l’equazione di Schrödinger appare troppo complicata anche per il più grande supercomputer di oggi. 

Per rendere la matematica fattibile, Aspuru-Guzik ha iniziato a creare versioni dell’equazione che richiedono meno approssimazioni, rendendole più accurate, un progetto che è diventato il fulcro dei suoi studi di dottorato presso l’Università della California, a Berkeley. L’obiettivo era snellire i calcoli al punto in cui un computer potesse gestirli, ma non così tanto da rendere scientificamente inutile il modello. Utilizzando gli algoritmi di Aspuru-Guzik, un ricercatore era in grado di modellare, ovvero simulare, una molecola casuale e fare immediatamente previsioni sulle proprietà della sostanza risultante. 

Altri scienziati avevano progettato algoritmi simili, ma quelli che Aspuru-Guzik ha inventato da studente universitario erano abbastanza impressionanti da procurargli un lavoro ad Harvard, dove il gruppo da lui diretto, un team di 40 persone di scienziati informatici, biologi, ingegneri, fisici e chimici, si è lanciato in un’iniziativa chiamata Harvard Clean Energy Project. La maggior parte dei pannelli solari utilizza il silicio per trasformare la luce solare in elettricità. Ma c’erano sostanze organiche economiche e facili da produrre che potevano fare lo stesso lavoro? 

Per sei anni, Aspuru-Guzik e il suo team hanno eseguito simulazioni di 2,3 milioni di diverse molecole organiche per vedere quali avrebbero potuto avere proprietà fotovoltaiche. Non era certo il primo ricercatore a praticare la chimica virtuale, ma lo stava facendo su una scala senza precedenti. La maggiore capacità di calcolo dell’epoca significava che una singola molecola poteva essere simulata in pochi minuti; negli anni 1990, tali simulazioni avevano richiesto giorni. 

Cosa più importante, aveva accesso a uno spazio server apparentemente illimitato, in gran parte preso in prestito dai dispositivi di altre persone. In un sistema simile al vecchio programma SETI@Home, le persone che volevano supportare il progetto potevano scaricare uno screen saver che avrebbe prestato temporaneamente il proprio disco rigido ad Aspuru-Guzik e al suo team. “Avevamo uno dei più grandi supercomputer del mondo”, dice, “ma era distribuito in tutto il pianeta”.

Alla fine, Aspuru-Guzik ha scoperto molti materiali organici che potrebbero, in teoria, essere utilizzati per le celle fotovoltaiche. Il problema era che queste molecole vincenti erano troppo complicate per essere prodotte a basso costo. “Il mio errore”, dice, “non è stato quello di consultare i chimici organici all’inizio per scoprire quali molecole erano facilmente realizzabili”.

Maschere messicane. Derek Shapton

Con il Clean Energy Project, Aspuru-Guzik aveva praticamente fatto esperimenti di chimica combinatoria – il vecchio approccio per tentativi ed errori – all’interno dei computer invece che in un laboratorio. Poi, a partire dal 2012, i ricercatori a Toronto e altrove hanno fatto una serie di scoperte sull’apprendimento profondo e su altri metodi di apprendimento automatico. Come molti chimici alla ricerca di nuovi materiali, Aspuru-Guzik è passato all’intelligenza artificiale, che gli ha permesso di scoprire le molecole in modo più rapido e mirato. “Le simulazioni al computer sono come una mitragliatrice che spara a caso in aria nella speranza di colpire il bersaglio”, dice. “L’AI è un cecchino. Sceglie un obiettivo e prende la mira”.

In primo luogo, ha dovuto addestrare una rete neurale alimentandola con un set di dati che descrive la composizione molecolare e le proprietà chimiche di 100.000 sostanze organiche. Il programma di intelligenza artificiale potrebbe iniziare a riconoscere schemi, ovvero correlazioni tra una data molecola e la sostanza che forma. Potrebbe quindi utilizzare questa conoscenza per inventare molecole candidate da sintetizzare e testare in laboratorio. 

Con l’aiuto dell’intelligenza artificiale, Aspuru-Guzik ha scoperto nuovi diodi organici a emissione di luce, o OLED, più luminosi dei tipici LED. Ha anche identificato nuove sostanze chimiche da utilizzare nelle future batterie a flusso organico, enormi batterie industriali che non richiederanno metalli come il litio.

Nel frattempo, si è lanciato nel nascente campo dell’informatica quantistica. L’equazione di Schrödinger è difficile da eseguire sui computer tradizionali proprio perché elettroni e protoni non obbediscono alle leggi della fisica classica. Funzionano, invece, secondo la meccanica quantistica: possono essere entangled (comportandosi di concerto tra loro, anche se non sono collegati), e possono esistere nella cosiddetta sovrapposizione (occupando contemporaneamente più stati opposti).

Anche la matematica richiesta per modellare questi complessi fenomeni è vertiginosamente complessa. Ma poiché i qubit nei computer quantistici obbediscono anche alle leggi della meccanica quantistica, i dispositivi sono più adatti, almeno in teoria, alla simulazione di molecole. In pratica, però, qualcuno doveva capire come far funzionare le simulazioni. 

Nel 2014, Aspuru-Guzik e un team di ricercatori hanno rilasciato il Variational Quantum Eigensolver (VQE), un programma per modellare le molecole, anche se su piccoli dispositivi quantistici soggetti a errori. Mentre l’equazione di Schrödinger è una sorta di astrazione, una formula matematica destinata a descrivere le particelle subatomiche, il VQE utilizza bit quantistici per imitare il comportamento delle particelle in una molecola. 

Col tempo, man mano che le aziende sviluppano computer quantistici più potenti, il VQE potrebbe consentire ai chimici di eseguire simulazioni straordinariamente accurate. Questi modelli potrebbero essere così precisi che gli scienziati non avranno bisogno di sintetizzare e testare i materiali. “Se mai raggiungeremo questo punto”, afferma Aspuru-Guzik, “il mio lavoro nella scienza dei materiali sarà finito”. 

Quando Donald Trump è stato eletto presidente degli Stati Uniti nel 2016, la carriera di Aspuru-Guzik era fiorente, ma improvvisamente la prospettiva di rimanere nel Paese non lo attraeva più. Una settimana dopo le elezioni, ha iniziato a inviare e-mail ai colleghi in Australia e Canada, alla ricerca di un nuovo lavoro. 

L’Università di Toronto gli ha offerto una prestigiosa posizione finanziata dal governo con lo scopo di attirare ricercatori di alto livello nel paese e un posto al Vector Institute for Artificial Intelligence, un’azienda senza scopo di lucro cofondata dal pioniere dell’apprendimento automatico Geoffrey Hinton che sta trasformando rapidamente Toronto in un hub globale per l’intelligenza artificiale. Il più grande incentivo, tuttavia, è stata la promessa di costruire un laboratorio di materiali radicalmente nuovo chiamato Matter Lab, un progetto che Aspuru-Guzik aveva sognato per anni.

Sticker per l’arte di strada. Derek Shapton

Se non è importante per il mondo, allora non se ne fa nulla

“Nel Matter Lab, affrontiamo un problema solo dopo aver risposto a tre domande”, spiega Aspuru-Guzik. “Ha importanza per il mondo? Se no, è inutile metterci mano. Qualcun altro l’ha già fatto? Se sì, non ha senso farlo. E’ possibile risolverlo “a distanza”? Aspuru-Guzik vuole operare in un range di fattibilità, ma se la sfida è troppo semplice la lascia ad altri. 

Situato in un edificio in mattoni del dopoguerra nel centro di Toronto, il laboratorio è diverso da qualsiasi altro presente nell’università. Il soffitto è decorato con pannelli acustici marrone e bordeaux, un omaggio all’amato architetto messicano Luis Barragán. Nascosto in un angolo poco appariscente c’è un tipico banco da laboratorio, un tavolo con ampolle, bilance e bicchieri sotto una cappa aspirante, sul quale gli studenti laureati possono esercitarsi in chimica più o meno allo stesso modo della generazione dei loro nonni. La sensazione è che questa workstation non venga utilizzata spesso.

Al centro c’è un robot da 1,5 milioni di dollari, un involucro di vetro e metallo riempito di azoto che ospita un braccio meccanico che si muove avanti e indietro lungo un binario. Il braccio può selezionare polveri e liquidi da una serie di contenitori vicino ai lati dell’involucro e depositare il contenuto, con la massima precisione, in uno dei numerosi reattori. “Il robot è come un instancabile assistente di laboratorio che mescola prodotti chimici 24 ore su 24, 7 giorni su 7”, afferma Aspuru-Guzik. Può produrre 40 composti in sole 12 ore.

Due funzionalità aggiuntive rendono unica la configurazione sperimentale del Matter Lab. Il primo è un software progettato da Aspuru-Guzik e dai suoi collaboratori, chiamato ChemOS. Include un sistema di intelligenza artificiale che genera molecole candidate e un programma che si interfaccia con il robot, indirizzandolo a sintetizzare i candidati su richiesta. 

La seconda caratteristica distintiva è la natura “a circuito chiuso” del processo produttivo. Per spiegare come funziona, Aspuru-Guzik indica un paio di tubi stretti sul retro del robot. “Ecco da dove esce il prodotto”, dice. Una volta terminata la reazione, il liquido risultante scorre attraverso i tubi di plastica fino a una macchina analitica delle dimensioni e della forma di un mini-frigo, che separa i sottoprodotti indesiderati. 

Il materiale raffinato confluirà in un altro robot che lo testerà per conoscerne le proprietà. A questo punto il robot reimmetterà i risultati dell’esperimento nel programma ChemOS, consentendo all’intelligenza artificiale di aggiornare i suoi dati e generare istantaneamente una nuova lista di molecole candidate, fino a quando, dopo una serie di previsioni, sintesi e test, emergerà un vincitore.

L’idea di un sistema di scoperta automatizzato a circuito chiuso, in parte grazie al continuo sostegno di Aspuru-Guzik, è diventata sempre più popolare tra i nuovi professionisti della chimica. I colleghi di Vancouver, New York, Champaign-Urbana e Glasgow stanno costruendo strutture simili. Questi laboratori sono intesi come spazi automatizzati di creazione molecolare. Per questa ragione, Aspuru-Guzik non specula troppo su cosa, nello specifico, il Matter Lab produrrà in seguito. Tali decisioni saranno dettate dalla curiosità, o probabilmente dagli imperativi di una crisi globale.

Il nuovo laboratorio dei materiali a Toronto combina apparecchiature chimiche convenzionali e le ultime novità in fatto di automazione e intelligenza artificiale. Derek Shapton

Lasciare il segno

Nel 2020, la cicatrice allo stomaco di Aspuru-Guzik si è riaperta a causa del suo aumento di peso. Allo stesso tempo si è sentito intrappolato e annoiato dal mondo 2D delle chiamate Zoom e frustrato per non essere in grado di vagare liberamente per il suo laboratorio. La sua frenetica vita lavorativa aveva lasciato poco spazio per il tipo di attività senza scopo, o apparentemente senza scopo, che, in passato, avevano favorito scoperte creative. Aveva bisogno di un cambiamento. 

Pochi mesi dopo, ha iniziato a scarabocchiare sul suo computer, disegnando una maschera lucha libre che ricordava Screamin’ Jay Hawkins, il pioniere del rock ‘n’ roll noto per la sua voce operistica e le sue macabre buffonate sul palco. Ha chiamato il personaggio Bruho (una variazione di “brujo”, spagnolo per stregone) e ha deciso di trasferire la sua opera d’arte nel paesaggio urbano. Ha comprato una stampante per adesivi e ha iniziato a intonacare l’avatar di Bruho sulle cassette della posta e sui lampioni. Ben presto è diventato uno dei protagonisti della vivace street-art cittadina.

Oggi Aspuru-Guzik ha due obiettivi per il prossimo futuro. Il primo è progettare una versione modulare e conveniente del suo sistema a circuito chiuso che possa fungere da modello per gli scienziati di tutto il mondo. Vuole costruire una scatola da laboratorio all-in-one, contenente il pacchetto ChemOS insieme a robot di sintesi e caratterizzazione. Con questo dispositivo, un utente inserirà una descrizione di un determinato materiale e il sistema simulerà e testerà immediatamente le molecole candidate. Se vogliamo inaugurare una nuova era di materiali on demand, sostiene Aspuru-Guzik, la tecnologia deve diffondersi e deve essere facile da usare.

Il suo secondo obiettivo a medio termine è quello di lasciare il segno, artisticamente, nella città di Toronto. Pochi giorni dopo la mia visita al laboratorio, mi sono unito a lui e alla sua squadra per una notte di adesivi e poster. Come il suo lavoro sui materiali, anche questo era collaborativo. Il nostro gruppo di otto persone includeva Soap Ghost, una giovane donna altera con le braccia completamente tatuate; Urban Ninja, un uomo magro di mezza età che è arrivato tirando un carretto con un secchio di pasta di grano, un adesivo liquido fatto in casa; e Life, con i capelli tinti due colori diversi. «Andremo avanti fino all’alba», mi ha detto. Tutti avevano mazzi di adesivi o rotoli di poster che avevano disegnato loro stessi.

A Toronto, questo tipo di arte di strada, che non richiede vernice spray, è punibile con multe (anche se la polizia spesso guarda dall’altra parte), quindi ci siamo mossi rapidamente e di nascosto. Ninja ci ha portato in un vicolo fino a una nuda parete di compensato di un edificio sbarrato e l’abbiamo tappezzata di  immagini: un Buddha barbuto, un topo che suona l’ukulele, una strega vestita come un Jedi. L’assemblaggio non aveva molto senso dal punto di vista delle immagini, ma aveva una sorta di bellezza anarchica. In un lasso di tempo incredibilmente breve, il vuoto aveva lasciato il posto alla molteplicità e Aspuru-Guzik era elettrizzato. “Questo muro era vuoto un minuto fa”, ha esclamato. “Guardalo adesso.

(rp)