Prima delle elezioni politiche italiane, e a integrazione di quanto ampiamente dibattuto in merito alle recenti elezioni presidenziali statunitensi, una riflessione sulla relazione tra esercizi mediatici e opzioni di voto può contribuire a una maggiore consapevolezza di quanti s’interrogano sulla comunicazione pubblica.
di Mario Morcellini
Le elezioni politiche sono da sempre uno straordinario banco di prova del livello di salute del sistema dei media. Questo vale soprattutto nel contesto italiano, afflitto da una ormai cronica crisi di legittimità della rappresentanza pubblica, pericolosamente intrecciata a un ecosistema comunicativo in sofferenza.
Una politica in evidente confusione, stretta tra la disaffezione dei cittadini e i pessimi esempi di gestione della cosa pubblica forniti da molti suoi esponenti, vive già di per sé una fase di vera e propria afasia: una difficoltà a trovare le parole giuste per intercettare i bisogni di una società ormai stanca di vedere ridotto il discorso politico a una fredda rendicontazione di numeri (peraltro tutti negativi) da cui è stato quasi scientificamente estromesso ogni riferimento ai valori.
Soprattutto per quanto riguarda il palcoscenico del generalismo, stiamo assistendo a un radicale assoggettamento della sfera pubblica a un cambiamento linguistico spostato a tutto vantaggio delle routines produttive e degli schemi interpretativi dei media. è quello che altrove abbiamo provato a tematizzare in termini di “cannibalizzazione della comunicazione sulla politica”.
La seconda dimensione di disagio si esprime nel riconoscimento di una costrizione che obbliga la politica a una ennesima stagione di cambiamento. In termini storico-sociali, infatti, il tempo che ci separa da Tangentopoli e dalla nascita della Seconda Repubblica è davvero breve. Eppure, nel rapido volgere di un ventennio (cercando di salvaguardare il termine dal turbine della polemica partitica) il sistema politico italiano è praticamente costretto a una profonda autoriforma. Il confronto con altri paesi avanzati è impietoso. Le tradizioni politiche nordamericane (ma anche quelle inglesi) sono riuscite a esprimere valori e posizioni differenti e plurali – anche in drammatico contrasto tra loro – senza avere la necessità di nuovi battesimi elettorali.
La politica come spazio pubblico
Rispetto al quadro davvero poco promettente che abbiamo brevemente richiamato, emerge un interrogativo che vuole aprirsi alla speranza. Detto bruscamente: dove (e se) ci potrà essere un recupero di politica come spazio pubblico? Sappiamo che, da questo punto di vista, la comunicazione gioca un ruolo essenziale. Seguendo il ragionamento che abbiamo sviluppato, infatti, la comunicazione sembra essere il principale attore dell’erosione dei confini di legittimità del sistema politico. Ma una rinnovata sfera pubblica (anche nella suggestiva declinazione plurale del concetto) non può non fondarsi su un nuovo patto comunicativo. Una comunicazione è nuova quando a essere rinnovati sono gli attori sociali che la interpretano e non quando l’ultimo dispositivo alla moda guadagna il centro della scena.
L’ipotesi che qui si vuole esplorare riguarda in maniera esplicita il ruolo della rete e la sua capacità di giocare fuori dagli schemi di un generalismo che, con il suo continuo travaso di ansia nel racconto dei fatti, lavora a gonfiare le vele dell’antipolitica. Da questo punto di vista, si può ipotizzare che la rete subisca meno questo stress perché più capace di diversificare i tempi del racconto e dell’approfondimento. Internet sembra fare compagnia all’incertezza, o almeno concede il premio dell’approfondimento a quegli utenti che non si accontentano del primo click. Non c’è il ritmo incessante della comunicazione generalista, o almeno non c’è solo quel costante richiamo ai “tempi televisivi” che smorza sul nascere ogni tentativo di ragionamento. Sappiamo, infatti, che i tempi della conoscenza sono diversi da quelli dell’esposizione e nelle navigazioni a differenti velocità è, almeno a livello potenziale, più facile seguire il proprio personale ritmo di metabolizzazione dei contenuti.
Quella di febbraio 2013 sarà la prima tornata elettorale italiana a vedere un utilizzo maturo dei media digitali. Il tradizionale ritardo che separa il nostro paese da altri tecnologicamente più evoluti ha avuto tempo sufficiente per venire recuperato. A titolo di esempio possiamo ricordare che già nelle elezioni americane del 2010 il 73% degli utenti adulti di internet (pari al 54% degli adulti americani), ha utilizzato la rete per informarsi di politica (L. Rainie, 2011, The Internet and Campaign 2010, disponibile in rete presso http://www.pewinternet.org/Reports/2011/The-Internet-and-Campaign-2010.aspx).
I New Media e i nuovi rapporti tra elettori e classe dirigente
I protagonisti di questa nuova fisionomia del rapporto tra elettore (in cerca di informazioni) e classe dirigente (in cerca di visibilità) sono senza dubbio i social network sites. Facebook detiene lo scettro di piattaforma più usata con più di 21 milioni di utenti italiani iscritti; Twitter viene utilizzato da più di 3 milioni di utenti, anche se la frequenza di utilizzo varia da un uso quotidiano e stabile a una frequentazione più sporadica (R. Rossitto, 2012, I numeri di Twitter in Italia, disponibile in rete presso http://daily.wired.it/news/internet/2012/09/26/numeri-twitter-italia.html). Ma è proprio questo servizio di micro-blogging ad attirare le attenzioni maggiori.
Rispetto alla questione dell’uso di questi strumenti da parte degli utenti comuni e degli operatori professionali, è necessario disinnescare alla radice qualsivoglia opzione deterministica. L’attività on line delle persone non è infatti scollegata dalla vita reale e risulta praticamente impossibile (oltreché scorretto da un punto di vista metodologico) ridurre un comportamento complesso e multidimensionale come quello del voto alla somma meccanica delle attività svolte on line.
Senza dubbio Twitter funziona come misuratore di sentiments, e cioè delle emozioni/valutazioni intorno a uno specifico tema o proposta (anche politica). Può, dunque, venire utilizzato dagli addetti ai lavori per monitorare il clima di opinione, funzionando come strumento per dire la propria su un certo tema. Tecniche di analisi come la real-time sentiment analysis e la opinion-mining debbono essere considerate in uno stato iniziale, ma è ipotizzabile che saranno raffinate nel prossimo futuro. La comunità accademica italiana sta già dando prova di impegnarsi su questo versante, alla ricerca di protocolli di analisi e modelli esplicativi più solidi.
Twitter premia gli utenti esperti, in grado di esprimere un’opinione su alcuni argomenti specifici. Tale considerazione viene confermata da un recente studio che mostra come la scelta di focalizzarsi su specifici argomenti renda più plausibile la crescita di una rete di contatti , rispetto a uno stile di comunicazione generalista (Y.C. Wang, R. Kraut, 2012, Twitter and the Development of an Audience: Those Who Stay on Topic Thrive!, CHI’12, May 5-10, 2012, Austin, Texas).
Del resto, la natura asimmetrica della relazione su Twitter (detto in altre parole: posso seguire un contatto che non mi segue) ha finora reso comune un utilizzo della piattaforma per monitorare alcuni personaggi più influenti, scelti appunto in relazione alla loro competenza su uno specifico tema e non attraverso la formalizzazione di una relazione di amicizia.
In generale, parafrasando Orwell, anche su Twitter ogni utente è uguale, ma ce ne sono alcuni più uguali degli altri. Pochi utenti significativi per la loro competenza, per dinamiche interne alle piattaforme, ma molto più spesso come riflesso di un ruolo rilevante all’esterno (per esempio, personaggi televisivi, giornalisti) addensano su di loro la maggior parte dell’attenzione, mentre una platea sconfinata di utenti si scambia messaggi su temi meno rilevanti.
La questione del protagonismo di Twitter non va necessariamente in contrasto con la presenza di altri media. Anzi. Il servizio di micro-blogging viene sempre più utilizzato contemporaneamente ad altri consumi mediali, sfruttando la sua immediatezza e la capacità di raccogliere in tempo reale le opinioni su un dato avvenimento (mentre l’avvenimento sta accadendo). Esempio ormai diffuso: commentare su Twitter un evento televisivo (una gara sportiva, uno spettacolo come il Festival di Sanremo, ma anche un dibattito politico) esprimendo la propria opinione o retwittando un commento di un altro utente per noi significativo.
In questo peculiare gioco di rimandi tra media vecchi e nuovi, in cui spesso la critica per quello “venuto prima” è funzionale a guadagnare una patente di novità (e quindi di migliore performance), si giocano le chance di cambiamento dei cittadini italiani.