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Ricercatori di Harvard hanno inserito immagini nei genomi di batteri per testare i limiti di immagazzinamento del DNA

di Emily Mullin

Ricercatori di Harvard hanno utilizzato il sistema di gene-editing CRISPR per inserire questo GIF di un cavallo e cavaliere al galoppo nel DNA di batteri viventi.

La promessa di poter utilizzare il DNA come strumento di immagazzinamento dati si tradurrebbe nella possibilità di salvare ogni foto che avete mai scattato, la vostra intera libreria iTunes, e tutti e 839 gli episodi di Doctor Who in una minuscola molecola invisibile all’occhio nudo senza nemmeno sfiorarne la capacità totale.

E se fosse possibile portare sempre con sé questo quantitativo di informazioni digitali addirittura sotto pelle? George Church, genetista della Harvard University, e la sua squadra credono che la cosa possa essere possibile in futuro. Hanno utilizzato il sistema di gene-editing CRISPR per inserire una breve immagine animata, un GIF, nel genoma di batteri di Escherichia coli vivi. I ricercatori hanno convertito ciascun pixel di ogni immagine in nucleotidi, i mattoncini base del DNA.

Il GIF selezionato era composto di cinque fotogrammi, immagini di un cavallo e cavaliere al galoppo realizzate dal fotografo inglese Eadweard Muybridge. I ricercatori sono poi riusciti a recuperare i dati sequenziando il DNA dei batteri arrivando a ricostruire il filmato con una precisione del 90 percento.

Il metodo, descritto su Nature, è specifico per i batteri, ma secondo Yaniv Erlich, informatico e biologo della Columbia University non coinvolto nello studio, rappresenterebbe un sistema su scala per raccogliere informazioni su cellule viventi applicabile in futuro anche alle cellule umane. L’ammontare di dati digitali generati dal mondo moderno è in costante crescita. Il DNA si è dimostrato capace di conservare ingenti quantitativi di informazioni per migliaia se non centinaia di migliaia di anni

La ricerca sull’utilizzo del DNA per archiviare dati ha finora fatto uso di DNA di sintesi, prodotto in laboratorio. Caricare informazioni su cellule viventi è più complesso, in quanto quest’ultime tendono ad essere in costante movimento, cambiamento, suddivisione e sono soggette a decesso.

Secondo Erlich però, le cellule viventi potrebbero offrire maggiore protezione. Ci sono batteri, ad esempio, che sopravvivono senza problemi ad esplosioni nucleari, radiazioni o temperature estreme. Seth Shipman, del laboratorio di Church ad Harvard ed a capo dello studio, vorrebbe fare uso di questa tecnica non solo per l’immagazzinamento dati, ma anche per creare “sensori viventi” capaci di registrare quanto accade all’interno di una cellula o nel suo ambiente. Per quanto si sia lontani dalla possibilità di immagazzinare grandi quantitativi di dati nel nostro corpo, si possono già immaginare dei primi utilizzi per questa tecnica. Si potrebbero registrare gli eventi molecolari che conducono l’evoluzione dei diversi tipi di cellule, come ad esempio la formazione dei neuroni durante lo sviluppo del cervello.

Shipman immagina un futuro in cui si possano rilasciare questi batteri nel corpo o ovunque nel mondo per registrare qualunque evento a cui si fosse interessati per poi sequenziarne il DNA per avere accesso a tutte le informazioni così raccolte.

(LO)