Un gruppo di scienziati coordinato da Francesco Papaleo, ricercatore IIT, ha dimostrato che il gene Arc ha un ruolo preponderante nell’insorgenza della schizofrenia. Si prospettano screening per diagnosi precoce e terapie farmacologiche personalizzate.
La schizofrenia è una patologia psichiatrica cronica e devastante che colpisce oltre 23 milioni di persone nel mondo (dati Global Burden Disease Study -GBDS 2013), le cui cause genetiche non sono ancora del tutto chiare. L’attuale diagnosi avviene tramite la lettura di un insieme di alterazioni comportamentali considerate tipiche, ma estremamente variabili da paziente a paziente.
Il gruppo di ricerca coordinato da Francesco Papaleo dell’IIT – Istituto Italiano di Tecnologia, in collaborazione con gli NIH– National Institutes of Health (USA), ha chiarito il ruolo preponderante di un gene specifico, il gene Arc (Activity-Regulated Cytoskeletal-associated postsynaptic signaling complex), nell’insorgenza dei sintomi comportamentali e delle caratteristiche fisiologiche della patologia. Tale risultato, appena pubblicato sulla rivista Cell Reports, è un primo passo verso lo sviluppo di test genetici per la diagnosi precoce e di terapie farmacologiche personalizzate.
Gli effetti della schizofrenia non si manifestano solo a livello mentale: le persone colpite da questa patologia muoiono 12-15 anni prima rispetto alla media della popolazione e questa differenza è in continuo aumento. La diagnosi avviene in base alla definizione del manuale DSM- Diagnostic and Statistical Manual of Mental Disorders, che fa riferimento all’insorgenza nel paziente di tre categorie di disturbi: “sintomi positivi” (attacchi psicotici, allucinazioni), “sintomi negativi” (anedonia e difficoltà sociali) e deficit cognitivi . La variabilità di tali sintomi all’interno della popolazione di pazienti è notevole, e porta a pensare alla schizofrenia come uno spettro di patologie, piuttosto che un’unica malattia. Le risposte ai trattamenti farmacologici (per lo più farmaci antipsicotici) sono altrettanto variabili, e tutte le guide cliniche suggeriscono di adattare la terapia alle caratteristiche di ogni singolo paziente. Tuttavia non esistono ancora degli indicatori biologici certi che possano aiutare in questo percorso. Una maggiore comprensione delle cause biologiche costituisce oggi una necessità per affrontare in maniera più specifica ed esatta il trattamento della malattia.
Le cause biologiche, in particolare quelle genetiche e fisiologiche a livello cerebrale, sono state il focus delle ricerche del gruppo coordinato da Francesco Papaleo dell’IIT. Il gruppo di scienziati ha iniziato il proprio lavoro dalle più recenti evidenze in letteratura: la schizofrenia, pur trattandosi di una patologia multifattoriale, è associata a variazioni genetiche che sembrano convergere sul gene Arc, coinvolto nella formazione e comunicazione delle sinapsi nel cervello. Papaleo e i suoi collaboratori hanno mostrato per la prima volta che, diminuendo l’espressione del gene Arc nel topo, si osservano tutta una serie di anomalie comportamentali rilevanti per la schizofrenia tra cui deficit cognitivi selettivi, disfunzioni sociali, perdita di alcune abilità senso-motorie (capacità di reagire a stimoli esterni), ipersensibilità a farmaci stimolanti come le anfetamine.
Dagli esperimenti condotti all’interno dei laboratori IIT, in collaborazione con gli NIH americani e con il supporto delle Università di Padova e Cagliari, è emerso poi che Arc regola anche il sistema dopaminergico cerebrale. In particolare, la soppressione del gene Arc causa una riduzione dei livelli di dopamina nella corteccia prefrontale e un eccesso nel tessuto striatale, presente nelle zone più interne del cervello. Questo stesso squilibrio del sistema dopaminergico cerebrale è stato riscontrato nei pazienti con schizofrenia, e si pensa possa essere collegato ai disturbi comportamentali tipici della patologia.
Il collegamento tra mutazione di Arc e alterazione del sistema dopaminergico ha suggerito ai ricercatori di trattare le alterazioni comportamentali nei topi attraverso una terapia farmacologica diretta solo alle aree cerebrali alterate. Hanno così dimostrato che somministrando stimolatori di dopamina nella corteccia prefrontale, i soggetti recuperano le normali capacità cognitive. Viceversa, la somministrazione di inibitori nel tessuto striatale ripristina le funzioni senso-motorie. Il monitoraggio accurato e in-vivo dei livelli di dopamina è stato possibile grazie a tecniche di microdialisi e di imaging molto sofisticate.
I risultati ottenuti dal lavoro di Papaleo e colleghi definiscono una nuova direzione di sviluppo della diagnosi e della cura della schizofrenia. La comprensione dei meccanismi biologici e genetici alla base della patologia permetterà di progettare screening genetici in grado di diagnosticare precocemente la malattia, e allo stesso tempo di mettere a punto piani terapeutici personalizzati basati sul corredo genetico di ogni singolo individuo. Inoltre, in prospettiva, la somministrazione in situ dei farmaci potrebbe essere affidata a nano particelle ingegnerizzate in modo da essere indirizzate in zone specifiche del cervello, così da determinare terapie ad alta efficacia e con ridotti effetti collaterali.
L’articolo è disponibile anche sul sito di IIT
(SA)