Risposta!

Epstein è arguto, ma continua ad avere torto

di LAWRENCE LESSIG

Anni fa giurai di non rispondere più al Professor Epstein su carta stampata, non tanto perché le sue riflessioni non siano originali e spesso anche giuste

(entrambe le cose e anche più), ma piuttosto perché è veramente difficile farsi ascoltare (una volta pubblicò un articolo nel quale fraintendeva ripetutamente una posizione che avevo preso; malgrado i miei tentativi non sono riuscito a fargli capire che in realtà la pensavamo allo stesso modo). Tuttavia la sua risposta al mio articolo su questa rivista dimostra che la mia decisione era precipitosa. Si tratta di considerazioni interessanti e stimolanti per chi ha un atteggiamento veramente consapevole nei confronti del copyright, del software e della cultura. A parte i giochi di parole ai margini, c’è poco con cui sia decisamente in disaccordo.

Epstein sostiene che “nella storia ogni sistema legale ha unificato due distinti regimi di proprietà: quello privato e quello comune”; che “la giustificazione dei diritti privati…deve essere sociale”; che abbiamo bisogno “di una motivazione sociale per tutelare le opere scritte e altre creazioni intellettuali”.

Tutto vero. E niente di quanto ho scritto afferma il contrario. Abbiamo bisogno di un equilibrio ( o “mescolanza”, come dice Epstein) fra privato e comune. Prima di regolare qualsiasi cosa, sono necessarie motivazioni sociali; specialmente il linguaggio (come fa il copyright in modo pertinente). Pertanto il ragionamento che ho fatto in molti contesti (sia “dai principi giuridici, come dovrebbe fare un buon avvocato” che dalle storie vere su persone vere, come i buoni scrittori talvolta fanno) è semplicemente che dobbiamo essere scettici in merito all’esplosione di regole che va sotto il nome di “copyright”. Ribadisco: scetticismo, non condanna. Dove le regole sono finalizzate al progresso, allora dovremmo dargli il benvenuto. Dove invece c’è poco più che corruzione introdotta da interessi personali, dovremmo condannarle.

Pertanto Epstein ha ragione nel sostenere che io non spiego “per quale motivo la visione comune, che offre una sensata anche se limitata difesa dei diritti di proprietà intellettuali, sia sbagliata”. Semplicemente perché non credo che il pensiero comune sia sbagliato. Né condanno la cultura proprietaria che ci ha accompagnato fin dall’inizio della nostra storia e ha in gran parte contribuito efficacemente alla creatività e alla cultura.

Ciò che condanno è l’estremismo, vale a dire il distacco dalla visione comune verso un’interpretazione estrema della “cultura propietaria”, che potrebbe facilmente diventare un elemento centrale nell’economia digitale.

Dubito che Epstein approvi l’estremismo, pertanto sarebbe interessante sapere come riesce a giustificare le sue vedute panglossiane. Ho descritto, per esempio, un particolare schema di tecnologia della gestione dei diritti digitali (DRM) che vieta un certo tipo di “remix” culturale. Epstein apparentemente non ha alcun problema con la DRM. Come scrive “la tecnologia DRM non è più minacciosa per la cultura libera di quanto non lo siano le telefonate a scatti”. Ma il male, ovviamente, non è nella teoria bensì nei dettagli. Se la DRM funzionasse semplicemente come un meccanismo di controllo, sarei d’accordo. Ma Epstein parte dal presupposto che la funzione principale della DRM sarà la discriminazione di prezzo. La questione che sto sollevando io è se la DRM verrà utilizzato per qualcosa di molto più insidioso.

Il progetto DRM che stavo analizzando di fatto “impedirà il “rimescolamento” di frammenti e pezzi di esperienza comune condivisa dentro nuovi lavori creativi”, per dirla come Epstein. Ma sono scettico riguardo a questo particolare programma, se non altro perché non riesco a vedere nessuna ragione per cui la legge dovrebbe restringere la mia libertà di entrare in rapporto con la cultura soltanto perché mi avvalgo di nuove tecnologie digitali. Dopo tutto la legge mi ha lasciato libero quando utilizzavo le tecnologie precedenti.

Epstein semplicemente asserisce che la DRM non avrà questo effetto restrittivo. Ma non dice perché. Invece insiste nel dire: “Posso essere ispirato da Hemingway o da Bellow per scrivere il mio capolavoro, a patto che non si tratti di un lavoro derivato”. Ma ispirarsi a Hemingway o Bellow non è “”rimescolamento” ….pezzi e frammenti di esperienza comune”. Questo era l’oggetto della mia domanda : che ragione plausibile può esserci per la legge di limitare una nuova articolazione di pezzi e frammenti di esperienza comune? E che motivo c’è per ritenere che le tecnologie di DRM non saranno così restrittive?

Infine una parola in merito alla promessa brasiliana del free-software. Concordo sul fatto che non dovrebbe esserci alcuna preferenza per lo sviluppo di un particolare modello di software indipendentemente dal valore che ogni modello trasmette. Mi oppongo allo slogan “Comprate americano”; ma mi opporrei anche allo slogan “Comprate indiscriminatamente” . In ogni caso se un governo stabilisce che per la società il valore di un modello è superiore a un altro, allora non c’è alcun principio di neutralità che può stabilire che non è possibile promuovere il modello ritenuto più valido.

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