Raccontarsi tutti insieme

La narrazione costituisce un esercizio di artificialità che sfocia nella costruzione di mondi alternativi. L’immagine del mondo offerta oggi dalla tecnoscienza recupera la dimensione evolutiva e contingente e trova nella narrazione di storie un sorprendente rispecchiamento.

Da sempre gli uomini narrano e si narrano e ciascuno di noi, dalla nascita alla morte, si racconta un seguito ininterrotto di storie. Questa incessante narrazione ha un duplice effetto: primo, quello di sostituire al mondo «dato» un mondo artificiale, più semplice e a misura d’uomo, che ci consente di sopravvivere. In secondo luogo, con la narrazione ciascuno si costruisce l’immagine del sé che si riassume nel pronome personale «io» e che costituisce l’attore dei nostri ricordi e il protagonista dei nostri progetti. L’immagine del sé e l’immagine del mondo sono strettamente intrecciate e sono correlate agli scopi che via via perseguiamo.

C’è forse anche un altro motivo per narrare e ascoltare storie: abbiamo una sola vita, e ne vorremmo tante. Per superare questo limite invalicabile, o averne almeno l’illusione, ci immedesimiamo nelle vite alternative create dalla narrazione. Pur sapendo in qualche recesso della coscienza che si tratta di «finzioni», vogliamo viverle come verità, sia pure effimere, vogliamo almeno per un po’ abitare quei mondi che non ci sono dati.

Vi è un’interazione senza fine tra i ricordi e i progetti, che formano il nucleo del sé, e le narrazioni: i progetti mutano, i ricordi si modificano di continuo, diventando ricordi di ricordi e allontanandosi sempre più dalla vividezza primitiva. In questa dinamica non agisce solo la memoria, ma anche quel singolare meccanismo che è l’oblio: un filtro selettivo e spesso salvifico, che conserva ed esalta i ricordi positivi e attenua o trascolora quelli negativi. Ne risulta un vero e proprio rimescolamento di livelli di osservazione-descrizione e una diversa messa a fuoco della loro importanza. Il mondo artificiale e la vita artificiale costruiti dalla narrazione sono sempre mutevoli. Si tratta, è vero, di un artificiale quasi sempre confinato a livello mentale, ma poco importa.

Anche i progetti, sia pure in forma diversa, sono sottoposti a un continuo aggiornamento e rimaneggiamento attraverso l’attività simulativa, che, al pari della narrazione, è tipica degli esseri umani. La simulazione sta ai progetti più o meno come la narrazione sta ai ricordi ed entrambe si situano non tanto nel mondo della materia e dell’energia quanto nel mondo dell’informazione. Per gli umani, la simulazione costituisce uno strumento di notevole valore economico e di sopravvivenza, che consente di analizzare i possibili effetti di un’azione e decidere se compierla, correggerla o rinunciarvi.

La narrazione-simulazione è, squisitamente, un esercizio di artificialità. Quest’artificialità può avere un modello reale (e allora è il resoconto di un fatto avvenuto nel mondo) oppure esserne priva (ed è un racconto immaginario). Nel secondo caso il termine «artificiale» sembrerebbe meno appropriato, ma non è così perché i racconti sono pur sempre costituiti da componenti in cui si può riconoscere un elemento di artificialità, cioè di imitazione ed elaborazione di tracce reali, oggettive.

SCIENZA E TECNOLOGIA: LA NECESSITà DELLA NARRAZIONE

L’Occidente ha sempre reputato l’intelligenza della mente, che costruisce i teoremi della matematica o gli edifici della metafisica, superiore all’intelligenza della mano. Di questo atteggiamento è figlia la nostra scienza. Ma il nostro sogno di spiegare il mondo per via puramente mentale non si è avverato. Infatti negli ultimi tempi la mente si è collegata in modo intimo a strumenti d’indagine sempre più raffinati, soprattutto informatici, che hanno modificato il nostro modo di conoscere. Non bisogna sottovalutare gli effetti epistemologici della tecnologia: gli strumenti sono sempre catalizzatori e filtri di conoscenza.

La tecnologia è matrice di cultura, ma di una cultura molto diversa da quella cui siamo abituati, più superficiale e manipolativa. Mentre la scienza ha sempre cercato di far affiorare la complessità dei fenomeni studiati per ridurla e darne una descrizione semplice attraverso le teorie, la tecnologia tende a nascondere la complessità dei suoi manufatti sotto una superficie o «interfaccia» di grande semplicità ed efficacia operativa: la tecnologia è importante per ciò che ci consente di fare, non di capire.

Inoltre i confini tra naturale e artificiale, che credevamo netti, tendono a scomparire. Infatti la tecnologia tende sempre più a produrre non tanto macchine isolate e ben individuabili quanto complessi privi di confini definiti, che s’intersecano in modo complicato e quasi caotico con altri sistemi artificiali o naturali. Per esempio i prodotti della biotecnologia s’infiltrano in modo difficile da districare nei prodotti dell’evoluzione naturale con i quali possono interagire in modi imprevedibili e svilupparsi in direzioni talora sorprendenti.

Insomma il nostro legame con la tecnologia (una vera e propria simbiosi) non riguarda solo le attività pratiche, bensì anche quelle epistemologiche. La mente e gli strumenti si alleano intimamente per dar luogo a nuove forme di conoscenza di cui non siamo più noi i piloti esclusivi. Finora abbiamo conosciuto la realtà attraverso i sensi e la mente, ora la conosciamo anche attraverso il computer, la simulazione, la virtualità, che sono nuove forme sui generis di narrazione. Anzi, grazie a questi strumenti stiamo addirittura creando realtà inedite, tutte da esplorare.

Forse gli strumenti che stiamo costruendo, quando supereranno una certa soglia di complessità e d’interazione comunicativa con gli esseri umani, ci faranno compiere un balzo cognitivo e ci faranno scoprire qualcosa di nuovo nella natura o nel mondo artificiale, attuando una svolta conoscitiva radicale. La conoscenza, dopo una lunga storia di astrazione progressiva, comincia forse a incorporarsi nel nuovo simbionte uomo-macchina (l’homo technologicus) e nella creatura planetaria di cui Internet è il primo nucleo. Così la tecnologia, specie quella informatica, segna un ritorno all’unità e alla completezza multimediale della conoscenza, quale forse esisteva agli inizi della nostra storia: ma è un ritorno filtrato da un codice astratto, quello binario, e gli effetti di questo filtro sono tutti da scoprire.

Nel contempo la nostra immagine del mondo è cambiata: nelle pieghe della realtà scopriamo dosi massicce d’incertezza e di complessità. Fino alla metà del Novecento (e nell’immaginario collettivo anche molto dopo) si riteneva che l’universo fosse caratterizzato da un’estrema semplicità soggiacente, che prima o poi sarebbe stata disvelata e riassunta in un’unica formula. Pare invece che così non sia.

Abbiamo scoperto che il presunto ordine regolativo ipotizzato dalla fisica, chiaro e semplice, non ancora conosciuto del tutto, ma di certo attingibile ed esprimibile con poche e semplici leggi prescrittive è una nostra chimera. La complessificazione del reale ha riabilitato la narrazione di storie. Si tratta di storie multiple, corrispondenti a una complessità irriducibile e a una molteplicità di punti di vista che possono rivelarsi complementari, concorrenti, antagonisti, contraddittori… Il mondo complesso esige storie complesse.

è solo con le storie che si riacquista il senso delle possibilità perdute e della contingenza che trasforma una sola di quelle in necessità irreversibile. Le storie sono uno specchio della Storia, perché hanno in comune con essa la struttura arborescente. Solo con una narrazione si può capire e far capire un fenomeno nel suo dispiegarsi: la narrazione ha la forma di ciò che narra.

L’astrattezza unifilare e progressiva della scienza classica viene sostituita dalla storia viva dei manufatti, dei risultati, delle invenzioni, dei singoli eventi. Oggi le scienze non rifiutano più la storia, il cambiamento, l’evoluzione, la produzione d’informazione e di novità. Con la nozione di evento entra nella nostra concezione della scienza anche il senso che invano vi abbiamo a lungo cercato. E anche la dimensione affettiva dell’attività conoscitiva acquista una giusta collocazione, poiché il risvolto personale della prospettiva storica fa riemergere il legame inscindibile tra pensiero e sentimento. E forse, interpretando queste indicazioni, la futura Scienza, come la Storia, potrebbe essere costituita da un intreccio di moltissime storie individuali variamente orientate, ma tutte tese verso la conquista di una verità personale. La Scienza sarebbe così la totalità delle narrazioni di ciascuno di noi nel mondo.

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