Nell’era post-genomica Italia e Stati Uniti insieme per studiare le proteine del cancro.
di Paola Mariano
La lotta al cancro, battendolo sul tempo con la diagnosi precoce o trattandolo con armi sempre più mirate e quindi meno tossiche per l’organismo, si fa a colpi di tecnologia informatica e in un campo di battaglia d’elezione spianato dall’avvento della proteomica. Usando avanzatissimi sistemi bioinformatici di intelligenza artificiale e studi di proteomica, infatti, gli oncologi dei centri di ricerca più all’avanguardia in Italia ed il Ministero della Salute degli Stati Uniti hanno fatto fronte comune dando vita al progetto Italy-Usa program on cancer pharmacogenomics, lanciato nel 2003 dopo un accordo firmato tra i Ministeri della Salute italiano e americano.
A seguito della decifrazione del genoma umano e del diffuso impiego della genomica, la proteomica sta acquisendo un ruolo sempre più importante nella ricerca oncologica, spiega il professor Gennaro Citro dell’Istituto Nazionale Tumori Regina Elena IRCCS di Roma, che è all’avanguardia nello studio per la raccolta dei sieri da pazienti affetti da cancro al polmone nell’ambito del network italiano che ha aderito al programma Italia-USA su proteomica e fosfoproteomica.
In effetti, afferma Citro che ha una lunga esperienza nell’area della ricerca maturata in Italia e all’estero, la proteomica è in grado di superare una serie di limiti della genomica, in quanto è in grado di analizzare direttamente il prodotto finale proteico della attivazione genica, anche in relazione alle modificazioni post-traduzionali, cioè tutte quelle modifiche cui è soggetta la proteina nella cellula dalla sede di produzione, i ribosomi, alle sedi di smistamento, e che le sono necessarie per il suo corretto funzionamento.
Il programma Italia-USA su proteomica e fosfoproteomica è un progetto molto articolato, continua Citro, che fa capo a molti centri di ricerca d’eccellenza italiani e
all’Istituto Superiore di Sanità e che ha come partner i National Institutes of Health (NIHs) e il National Cancer Institute americani.
Si tratta dunque di un “gemellaggio” tra la rete dei centri di ricerca italiani, Alleanza contro il cancro, che riunisce tutti gli Istituti di Ricovero e Cura a Carattere
Scientifico Oncologici (IRCCS) che sul territorio nazionale si occupano di ricerca sulla diagnosi e la terapia dei tumori e il National Cancer Institute (che presenta varie sezioni sul territorio americano).
Ognuno degli istituti italiani partecipanti, dice Citro, è capofila per un certo tipo di neoplasia: l’Istituto Europeo di Oncologia di Milano (IEO), capofila per il cancro alla mammella, l’Università di Brescia e il Centro Oncologico di Aviano, capofila per il tumore dell’ovaio, l’Ospedale Maggiore di Milano per le leucemie, l’Istituto Nazionale Tumori di Milano per gli epatocarcinomi, l’Istituto Oncologico di Bari, per il cancro del colon-retto. A questi centri, rileva Citro, se ne aggiungeranno altri che hanno chiesto di aderire alla rete.
Grazie a un programma di borse di studio ognuno dei centri italiani ha inviato, sia ai NIHs di Bethesda, sia in vari atenei statunitensi, due ricercatori che stanno lavorando e acquisendo un bagaglio di esperienza sul campo per riportare in Italia i metodi usati nei centri di ricerca statunitensi. “Tali metodologie saranno in seguito applicate anche nei nostri laboratori per studiare i profili proteomici di pazienti affetti da malattia neoplastica, in modo che − precisa Citro − ci sia corrispondenza esatta di metodologie e esame dei risultati tra noi e gli Stati Uniti, così da poter incrociare e confrontare in modo significativo i rispettivi dati”.
La proteomica e le sue applicazioni al cancro
Il progetto genoma ha permesso di decifrare il codice della vita, il Dna, che contiene tutte le informazioni necessarie alla cellula per produrre le proteine. Subito dopo il suo completamento, però, gli scienziati si sono resi conto che queste informazioni, per quanto indispensabili nella moderna ricerca biomedica, da sole non sono sufficienti. Questo perché una proteina, sintetizzata sulla base dell’informazione contenuta nel Dna, dopo essere uscita dalla “fabbrica di produzione” (i ribosomi), subisce una serie di modifiche chimiche come l’aggiunta di altre molecole, per esempio zuccheri e grassi, o gruppi chimici come i fosfati con un processo, importantissimo in molte funzioni cellulari, detto di fosforilazione. Oltre al genoma, quindi, si deve tener conto del “Proteoma”, ovvero dell’insieme delle proteine umane, e la proteomica studia proprio questo, mentre la fosfoproteomica si interessa in particolare di quelle proteine che vengono fosforilate; infatti l’aggiunta di gruppi fosfato è cruciale per la regolazione dell’attività di moltissime proteine, molte delle quali con un ruolo nei tumori.
Quando una di queste modifiche non avviene correttamente, quando una proteina è eccessivamente o troppo poco attiva, ecco che da queste e molte altre aberrazioni proteiche si può scatenare il cancro. Le informazioni offerte dalla proteomica, dunque, sono essenziali per tracciare un “identikit molecolare” del tumore, ovvero per descrivere in modo puntuale tutte le proteine che contraddistinguono il cancro, alcune delle quali potranno in seguito divenire bersaglio di nuove terapie.
Il progetto Italy-Usa program on cancer pharmacogenomics
“Il programma Italia-Stati Uniti sulla proteomica si articolerà in due sezioni principali”, spiega Citro: “la prima, che ha già apportato dei risultati molto significativi, prevede di sfruttare le ultimissime innovazioni nel campo della proteomica classica e di identificare specifiche alterazioni proteiche rilevanti per la patogenesi, la prognosi e la terapia; la seconda si occuperà di individuare le combinazioni farmacologiche più favorevoli e di identificare nuovi bersagli terapeutici”. Tutto ciò, aggiunge Citro, permetterà lo sviluppo di farmaci «intelligenti» mirati alla personalizzazione della terapia con basse tossicità collaterali e quindi consentirà di concretizzare il sogno della «farmacogenomica» applicata al cancro, ossia della medicina su misura del singolo paziente.
Dopo una corretta fase di validazione su tipi diversi di neoplasia, precisa l’esperto, l’analisi dei profili proteici nel sangue (studio delle proteine presenti nel siero o sieroproteomica) potrebbe rappresentare uno strumento rivoluzionario per la diagnosi precoce e per l’identificazione di molecole coinvolte nella patogenesi e nella progressione della malattia neoplastica con un impatto importante sulla curabilità dei tumori.
Praticamente, chiarisce Citro, si lavora su campioni di sangue di pazienti e di individui sani di controllo che siano in tutto comparabili con i malati oncologici, salvo per il fatto di non avere la malattia.
Dal sangue si estrae tutto il contenuto proteico e con sofisticate tecniche di laboratorio si purificano e si separano i differenti tipi di proteine.
Incrociando i dati di proteomica raccolti dai campioni dei pazienti e dei soggetti di controllo si possono trovare differenze critiche nella composizione proteica del sangue degli uni rispetto agli altri e valutare se alcune di queste differenze sono riconducibili al tumore, permettendo di tracciarne l’identikit molecolare: gli esempi sono infiniti, una proteina troppo o troppo poco fosforilata trovata nel sangue dei pazienti, una proteina in eccesso rispetto ai controlli sani, oppure ancora frammenti di proteine differenti, eccetera, possono rappresentare l'”impronta” della neoplasia.
Le banche dei sieri e l’intelligenza artificiale
I campioni per la sieroproteomica vengono stoccati in banche dei sieri, dice Citro che coordina quella dell’IFO che finora ha raccolto 2.700 campioni dei complessivi 13 mila raccolti fino a oggi nei vari centri di ricerca italiani che fanno capo ad Alleanza contro il cancro.
Tutte le informazioni ottenute dall’analisi proteomica sui sieri vengono raccolte in banche dati di dimensioni titaniche e messe in rete in modo che siano subito consultabili dai ricercatori di tutti i centri partner del progetto.
Nelle banche dati l’identità del paziente si perde e a essa, per motivi di natura etica e tutela della privacy, si sostituisce un codice a barre, mentre “cervelloni” centrali custodiscono la storia clinica del malato.
Solo grazie a sofisticatissimi sistemi informatici ogni ricercatore in qualunque momento potrà confrontare una proteina sospetta trovata in un paziente con le migliaia presenti nelle banche dati e in tempo reale sapere se in altri centri di ricerca, magari al di là dell’oceano, è stato già scoperto qualcosa sul conto di quella proteina e sul suo eventuale ruolo nel tumore.
Il centro di ricerca dell’IFO
La ricerca Oncologica svolta nell’Istituto Regina Elena è sviluppata presso la sede di Pietralata “Centro della Ricerca Sperimentale” dal 1985 e, in seguito al trasferimento presso la nuova sede di Mostacciano, dal 2005 è parzialmente attivato in questa struttura il Dipartimento Sviluppo Nuovi Programmi Terapeutici (dedicato proprio alla ricerca traslazionale, ovvero a quella pensata per portare risultati immediati al letto del paziente). “Oggi ci sono circa 900 metri quadri di laboratori dotati di sofisticatissimi apparecchi, ma sono solo l’inizio di un progetto che porterà complessivamente a 6.000 metri quadri tutti a disposizione della ricerca oncologica”, afferma Citro.
Alcuni risultati del progetto Italy-Usa program on cancer pharmacogenomics
“I risultati preliminari ottenuti fino a oggi sono inerenti a 300 casi di tumore della mammella, dai quali è emersa l’esistenza di un probabile
marker del tumore, un frammento proteico (peptide) la cui origine e identità è tuttora in fase di studio”, sostiene Citro. Se arriverà la conferma che il peptide è
identificativo del tumore alla mammella, egli continua, esso potrebbe divenire uno strumento diagnostico o nell’ipotesi migliore anche terapeutico.
Ma 300 campioni è un numero troppo piccolo dal punto di vista della significatività del dato, sottolinea Citro, infatti i risultati fin qui ottenuti sono in corso di
valutazione con l’analisi di altri campioni della stessa patologia al fine di ottenere dati su grandi numeri per valicare in modo statisticamente significativo il dato di
interesse. Altri risultati di caratterizzazione proteomica si registrano per il cancro all’ovaio, e a questi molti altri seguiranno rapidamente ora che il programma
dispone di un cospicuo numero di campioni e la fase operativa potrà andare a regime sia in Italia sia negli Stati Uniti.
“Con il rapido avanzamento tecnologico sia in metodologie biologiche sia dell’intelligenza artificiale che permette un’analisi multiparametrica sempre più rapida e
ampia”, conclude Citro, “se qualcosa che caratterizza il tumore a livello molecolare o metabolico esiste, nel giro di cinque anni scoveremo queste differenze”. Ciò
aprirà la strada a una nuova era della lotta al cancro a 360 gradi, dalla diagnosi precoce alla previsione esatta della malattia del singolo paziente e alle terapie su
misura.