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Nell’aprile scorso ho visto un nuovo meraviglioso film della saga Guerre Stellari. Non era prodotto da Lucas. Ho avuto modo di vederlo gratuitamente, avendo scaricato il file digitale, senza contravvenire alla legge sul copyright.

Guerre Stellari: Rivelazioni è un lavoro imperdibile per gli amanti della fantastica saga: un omaggio di 40 minuti prodotto da cineasti dilettanti che ricostruisce il passaggio tra Guerre Stellari Episodio III: la Rivincita dei Sith e il primo Guerre Stellari (ora Episodio IV: una Nuova Speranza).

Rivelazioni è un “remix”, che ha al suo interno tutto quello che un film della famosa serie dovrebbe avere: eserciti imperiali, duelli con sciabole laser e una colonna sonora coinvolgente. è stato possibile realizzare il film solo perché George Lucas ha rinunciato a molti dei tradizionali privilegi dei possessori di copyright. I produttori di Rivelazioni sono stati autorizzati a riutilizzare liberamente gran parte degli elementi dell’universo di Guerre Stellari, a condizione di non vendere il film.

Lawrence Lessig, professore di diritto alla Stanford University e un noto sostenitore di forme di regolamentazione del copyright meno rigide, elogia questo tipo di riadattamento culturale in uno degli articoli dedicati in questo numero della rivista alla proprietà intellettuale (si veda The People Own Ideas!, pag XX): “Molte più persone (in realtà anche milioni) potrebbero fare buoni film. Le nuove tecnologie digitali potrebbero consentire una esplosione del lavoro creativo”.

Lessig va oltre: a suo parere, le nuove combinazioni di contenuti sono “la molla della produzione culturale”. Egli scrive: “è quasi impossibile immaginare una cultura di successo in cui le persone non siano libere di impegnarsi in questo tipo di pratica contaminatoria”. Ma Lessig è anche preoccupato del fatto che le nuove tecnologie per la gestione dei diritti digitali (DRM) renderanno prodotti come Rivelazioni sempre più rari, in quanto dipendenti dalla disponibilità a concedere il permesso da parte dei possessori del copyright, non sempre illuminati come Lucas.

L’argomento di Lessig è acuto. Per apprezzarne la profondità, è necessario comprendere quanto le norme del copyright abbiano esteso i loro scopi. Inoltre, non bisogna dimenticare una proprietà peculiare delle tecnologie digitali.

La legge statunitense sul copyright ha origine nella tecnologia dell’era industriale: nacque all’inizio per governare il funzionamento delle stampatrici. In una prima fase pochi prodotti culturali erano sottoposti a regolamentazione: solo libri, mappe e carte. Ma la legge si è poi estesa ad altri media e, dopo la Copyright Act del 1976, tutti i lavori creativi materiali sono stati automaticamente protetti dal copyright.

Inoltre, prima dell’era digitale, la legge sul copyright non comprendeva l’uso ordinario dei prodotti culturali. La lettura o la distribuzione di un libro non era regolamentata, perché non c’era produzione di copie. Ma con le tecnologie digitali è inevitabile che ogni utilizzo del lavoro creativo produca una copia, che può essere condivisa con milioni di altre persone.

In realtà, le tecnologie DRM dovrebbero garantire il pagamento dei diritti ai possessori del copyright, dopo anni di pirateria pressoché universale. Anzi dovrebbero fare anche qualcosa in più: consentire l’applicazione della Copyright Act, finora rimasta lettera morta. “Se Internet fornisce ai proprietari di copyright il controllo assoluto dei loro contenuti, allora, poiché tutto è automaticamente soggetto a copyright, ogni utilizzo sarà presumibilmente impossibile senza una richiesta di permesso”.

Lessig è così spaventato da questa prospettiva da invocare un “movimento per la cultura libera» sostenuto dal movimento di software libero che ha diffuso Linux (si veda How Linux Could Overthrow Microsoft, pag. XX). Lessig guarda con favore al recenti politiche del governo brasiliano in favore della cultura libera.

Richard Epstein, professore di diritto all’Università di Chicago e noto fautore del primato dei mercati, avanza serie obiezioni a questa linea di ragionamento. In una replica a Lessig (si veda The Creators Own Ideas, pag. XX) egli rifiuta l’idea “del tutto illiberale” che il governo, il cui ruolo deve essere quello di arbitro neutrale, possa favorire un tipo di commercio rispetto a un altro. Epstein sostiene inoltre che i sistemi proprietari non ostacolano la creatività, ma la incoraggiano, garantendo anche gli incentivi finanziari.

Chi ha ragione? Sicuramente in tutte e due le posizioni c’è una parte di verità. In effetti Lessig ed Epstein riconoscono che sono sempre esistite idee di proprietà comune e privata; entrambi riconoscono tacitamente che difficilmente ciò cambierà nell’era digitale. Entrambi desiderano una società che garantisce forme di copyright ragionevoli e limitate, evitando allo stesso tempo di porre limiti estremi alla possibilità di creare “remix” culturali. Essi auspicano un sistema di copyright consono all’era digitale.

Comunque Lessig è eccessivamente allarmista sulle tecnologie DRM: esse non renderanno “impossibile” la contaminazione culturale. Invece queste tecnologie potrebbero consentire ciò che gli economisti definiscono “discriminazione dei prezzi”, vale a dire la capacità dei venditori di far pagare i loro prodotti secondo l’uso. Si tratta di una innovazione positiva per le economie digitali: chi vuole conservare un e-book, per esempio, potrebbe sostenere un costo maggiore di chi vuole solo leggerlo una volta.

Un efficace argomento contro Lessig è che Rivelazioni è stato realizzato con materiali culturali protetti da uno dei copyright tradizionalmente più remunerativi. I sistemi proprietari non scoraggiano necessariamente l’innovazione. è più facile il contrario. Se non siete d’accordo potete scrivere a jason: pontin@technologyreview.com.



Jason Pontin è direttore di «Technology Review», edizione americana.