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Un gruppo di ricercatori analizza quali passi siano necessari per dare il via ad un piano globale unitario di salvaguardia degli oceani.

di Lisa Ovi

Se la pandemia da Covid-19 ci ha insegnato qualcosa è quanto la salute degli abitanti del pianeta sia intrinsecamente legata a quella dell’ambiente. Un concetto intuitivo per tutti, ma solo recentemente entrato a far parte del dialogo ufficiale sulla salute. Quando parliamo di ambiente, però, tendiamo a fare riferimento a quello a noi più prossimo, a città, campi coltivati, industrie e boschi. Un gruppo di autorità scientifiche invita ora il mondo a realizzare che anche gli oceani fanno parte dell’ambiente e rappresentano un elemento chiave della lotta per la salute e per il clima.

Dal G7 del 2016 sono nati programmi come il G7 Future of the Seas and Oceans Initiative,  affiancato ad iniziative europee come The Future of Seas and Oceans Flagship Initiative,  ma il grosso dell’attenzione di questi programmi si concentra sul fatto che mari ed oceani, pur nella loro natura mobile, rappresentano dei veri e propri confini politici e sono una fonte di risorse sia energetiche che alimentari in costante sfruttamento.

Gli oceani non sono, però, solo un elemento chiave della vita sul pianeta in virtù del loro valore economico in quanto fonte di cibo e reddito a livello internazionale. Dal loro equilibrio dipendono le temperature globali e la resilienza climatica del pianeta, ma anche la possibilità di studiare nuovi elementi per la medicina del futuro e nuove fonti di energia rinnovabile.

Il mondo scientifico ci richiama ora a prendere consapevolezza del fatto che le acque del pianeta sono un ecosistema ricco in biodiversità ed in estrema sofferenza. Non basta piantare un trilione di alberi per invertire il corso dei cambiamenti climatici. Ai progetti di ripristino del territorio nelle catene montuose e nelle foreste, si deve affiancare un’azione di sostegno alla salute delle acque del pianeta globale.

Un gruppo di ricerca interdisciplinare europeo chiamato Seas Oceans and Public Health In Europe (SOPHIE), sotto la direzione di ricercatori della University of Exeter, propone una mappa dei passi che potrebbero portare alla collaborazione tra una vasta gamma di organizzazioni internazionali dedicate alla protezione del più grande ecoInsistema connesso sulla Terra. Pubblicato dall’American Journal of Public Health, lo studio chiede che alle Nazioni Unite di assumere il ruolo di coordinatore di un cambiamento globale fondamentale per la salute umana.

Tra i 35 passi necessari ad avviare quest’azione comune a favore della salute degli oceani, i ricercatori invitano ad esempio:

– Le grandi aziende ad esaminare il proprio impatto sulla salute degli oceani, condividere le politiche più efficaci e supportare le iniziative della comunità.
– Gli operatori sanitari a prendere in considerazione le “ricette blu”, integrate con attività di promozione individuale e comunitarie.
– Gli operatori turistici a condividere informazioni sui benefici per la salute di una visita in riva al mare e raccogliere le esperienze dei propri clienti su questi vantaggi.
– I singoli cittadini possono partecipare ad attività di ricerca sull’oceano o di pulizie delle spiagge e incoraggiare i progetti scolastici sulla sostenibilità.

Il documento invita pianificatori, politici e organizzazioni a comprendere e condividere la ricerca sui legami tra l’oceano e la salute umana e ad integrare questa conoscenza nelle scelte di vita quotidiana e legislativa. Nelle parole di Lora Fleming, professoressa della Exeter e prima autrice dello studio, “La nostra bussola morale ci indirizza ad affrontare la miriade di minacce e potenziali opportunità che incontriamo senza lasciare indietro nessuno ed imparando a sostenere tutti gli ecosistemi”.

(lo)