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Secondo due nuovi studi i getti astrofisici spiegano in parte le dimensioni abnormi dei buchi neri e le onde radio, mai viste prima dagli astronomi, che vengono emesse.

di Neel V. Patel

Al centro di ogni galassia c’è un buco nero supermassiccio, un “mostro” che tiene insieme l’insieme di stelle e pianeti, gas e polvere nelle sue vicinanze. Nel corso dei decenni trascorsi, da quando gli astronomi hanno iniziato a studiarli seriamente, si è avuta la conferma che questi oggetti esistono davvero e che sono probabilmente essenziali per aiutare la formazione delle stelle. Anche le tecniche a disposizione per riprodurli sono di gran lunga migliorate. Tuttavia, una domanda lascia ancora perplessi gli astronomi: come fanno ad assumere queste dimensioni gigantesche? 

La chiave potrebbe risiedere nei getti astrofisici: esplosioni di particelle energizzate e radiazioni che i buchi neri supermassicci emettono occasionalmente. Non sappiamo esattamente perché lo facciano, ma due nuovi studi di grande importanza dello stesso team internazionale di astronomi suggeriscono che qualunque sia la causa, questi getti potrebbero aiutare a far diventare i buchi neri supermassicci.

La prima scoperta, riportata sull’”Astrophysical Journal”, è la scoperta di un buco nero supermassiccio a 13 miliardi di anni luce di distanza che è 300 volte più imponente del Sole. Gli astronomi hanno utilizzato le osservazioni a infrarossi del telescopio Magellan presso l’Osservatorio di Las Campanas in Cile per confermare che si tratta di un getto astrofisico rilevato per la prima volta nel 2015. Questo buco nero supermassiccio è ora il buco nero più distante (cioè il più antico) produttore di emissioni di materia nella galassia mai rilevato.

Il secondo, in uno studio in prestampa, che sarà presto pubblicato sull’”Astrophysical Journal”, è la scoperta di un getto astrofisico da un buco nero supermassiccio a 12,7 miliardi di anni luce di distanza e oltre un miliardo di volte più grande del Sole, scoperto per la prima volta nel 2018. Il team ha utilizzato l’Osservatorio a raggi X Chandra della NASA, che cerca le emissioni di raggi X da oggetti molto caldi nell’universo. È il getto astrofisico più distante mai osservato ai raggi X. 

Entrambi gli studi aiutano a spiegare perché i buchi neri supermassicci sono in grado di crescere così rapidamente, anche se rilasciano costantemente materia ad alta energia. Ciò che il team ha scoperto è la prova che i getti incoraggiano effettivamente la crescita del buco nero. Nella prima indagine, dopo che Magellan ha confermato l’esistenza del buco nero, il team ha utilizzato altri strumenti, come il Very Large Telescope in Cile, per discernere altre proprietà del buco nero e del suo getto, come la massa. 

I dati aggiuntivi dimostrano come i getti incoraggiano la crescita. L’intensa forza gravitazionale del buco nero sta cercando di attirare enormi quantità di gas e polvere nel suo orizzonte degli eventi (il punto di non ritorno). Questa materia ha un momento angolare, il che significa che non cade direttamente dentro, ma orbita attorno all’orizzonte degli eventi. Nel frattempo, la pressione di radiazione nell’area (creata dall’attrito e dallo stress nel disco della materia orbitante che si riscalda fino a diventare incandescente) continua a spingere il gas lontano dall’orizzonte degli eventi. 

Quello che accade è abbastanza complesso, ma essenzialmente il fascio di particelle altamente energizzate del getto toglie il momento angolare dal gas mentre si sposta verso l’esterno. E a differenza della pressione di radiazione, che brilla e spinge in tutte le direzioni, il getto è stretto e quindi è a malapena in grado di interagire e influenzare gli strati di gas meno densi più lontani. Con la perdita del momento angolare del gas e con poca resistenza, gran parte del gas che circonda l’orizzonte degli eventi cade semplicemente dentro.

“In questo modo, il getto assicura che il buco nero possa continuare a nutrirsi”, afferma Thomas Connor, astronomo della NASA e coautore di entrambi gli articoli. Sebbene gli scienziati sospettassero che i getti potessero svolgere un ruolo nell’incoraggiare il processo di alimentazione del buco nero, “fino ad ora non abbiamo realmente visto prove convincenti a riguardo”, egli spiega.

Lo studio a raggi X rafforza questa idea. “Questo rilevamento a raggi X su larga scala, il primo per lunghezza della distanza coperta, significa che questi getti sono attivi per periodi di tempo incredibilmente lunghi”, afferma Connor. Non sono semplicemente segnali intermedi transitori, ma esistono da centinaia di migliaia di anni, vale a dire il tempo sufficiente per aiutare effettivamente un buco nero supermassiccio a nutrirsi e crescere molto rapidamente. “Questo è il pezzo mancante che collega 15 anni di teoria a dove siamo ora”, egli dice.

Entrambi gli studi aiutano a gettare le basi per risultati di follow-up che potrebbero aiutarci a saperne di più su come i buchi neri supermassicci si sono evoluti e hanno contribuito a plasmare l’universo primordiale. Ora abbiamo un’idea migliore di come cercare i buchi neri di tempi così antichi, oltre a comprendere che più osservazioni a raggi X potrebbero essere fondamentali per imparare come funziona la dinamica di alimentazione dei getti. 

Per Connor, queste osservazioni aggiuntive saranno la chiave interpretativa e l’astronomo della NASA appare piuttosto incoraggiato dopo l’uno-due di questa settimana. “La scoperta potrebbe indicare che ci sono molti altri oggetti simili là fuori”, egli conclude, “e spero che saremo in grado di battere di nuovo il record di distanza attraversata dai getti abbastanza presto”.

(rp)